
Nel 1300 il mondo venne attraversato da una serie di eventi naturali drammatici e devastanti: pestilenze, inondazioni, piccole glaciazioni, carestie. Eppure le tre grandi civiltà del tempo, quella europea, quella islamica e quella cinese, seppero costruire dei veri e propri 'paesaggi adattativi' per affrontare le sfide del momento. Un libro che ci conduce alla riscoperta di una grande lezione dimenticata che ci viene dal passato.
Il fenomeno del pauperismo e la sua considerazione sociale subiscono un salto di qualità nel trapasso dal medioevo all'età moderna. Dalla miseria quale fenomeno endemico, in un certo senso istituzionalizzato e integrato dalla dottrina della misericordia cristiana e dalle pratiche degli ordini mendicanti, si passa a una pauperizzazione di diversa qualità, indotta dai processi di accumulazione primitiva del capitale. Prende vita una nuova etica del lavoro e della produttività che reprime l'accattonaggio e ogni manifestazione della miseria, considerata una devianza. Accanto a una profonda riforma delle politiche assistenziali, nell'Europa moderna si introducono il controllo e la 'schedatura' dei mendicanti, avviati a lavori coatti o rinchiusi in istituti di pena. Un libro diventato un classico, una lettura imprescindibile per l'uso di una documentazione amplissima - dai registri delle tasse ai cahiers de doléances, dai trattati teologici ai testi letterari - e per l'attenzione continua alla storia economica e sociale e a quella della mentalità.
Nel 1992, trent'anni fa, cominciava il crollo della prima Repubblica e il passaggio alla seconda, segnato dalla scomparsa di un'intera classe politica che dal 1945 in poi aveva governato la democrazia repubblicana; un passaggio cruciale che nell'opinione pubblica italiana resta legato alle inchieste sulla corruzione del pool Mani Pulite. Questo libro, per la prima volta, affronta invece l'insieme dei fattori politici, economici, sociali e internazionali che dagli anni Ottanta in poi hanno concorso alla caduta del sistema, un evento senza precedenti tra i paesi dell'Europa occidentale dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. Malgrado la rottura profonda intervenuta nel 1992-1994, gli stessi problemi lasciati irrisolti, aggravati dal progredire della globalizzazione, hanno continuato a condizionare anche la seconda Repubblica: debito pubblico, crisi della rappresentanza, incapacità di fare riforme, crescita dei populismi e di una comunicazione politica che oggi come ieri sembra dettare l'agenda ai nuovi partiti, riportano al passato e mettono ancora una volta a rischio la stabilità politica e istituzionale del paese. Attraverso una scrittura agile e un linguaggio sintetico, Simona Colarizi ricostruisce una fase cruciale della storia d'Italia che ha lasciato una così difficile eredità nel presente.
La storia straordinaria e tragica di una famiglia che si intesse intorno al Novecento italiano. Con il ritmo incalzante del racconto, Giuseppe Fiori segue Carlo e Nello Rosselli dall'infanzia alla maturità, narrandone la giovinezza, gli studi, le lotte, ma anche i legami con la madre Amelia, le mogli Marion e Maria, i figli, i maestri e gli amici. Carlo, una vita avventurosa, turbolenta, centrata sull'azione politica oltre che sull'elaborazione del 'socialismo liberale': l'evasione dal confino, la costruzione del movimento Giustizia e Libertà, la guerra in Spagna. Nello, votato alla carriera universitaria (poi interrotta per l'opposizione al fascismo), studioso, impegnato. Entrambi uccisi a Bagnoles-de-l'Orne, pugnalati a morte all'età di 38 e 37 anni da terroristi di estrema destra inviati da Galeazzo Ciano. In queste pagine Giuseppe Fiori ci immerge a tutto tondo nella vita e nella formazione di una classe intellettuale che costituì un'anomalia nel panorama culturale dell'Italia degli anni Trenta. Una ricca biografia corale in cui si intravede tutto lo spessore umano dei Rosselli e l'universo affettivo della famiglia, anche grazie alla citazione di numerose fonti. Particolarmente forte e significativo il legame con Amelia; nel suo prezioso Memoriale, l'anziana madre pone una questione bruciante: «Fino a quale limite un uomo, un marito, deve sacrificare la famiglia per l'ideale?».
Le disuguaglianze economiche sono antiche quanto l'umanità e i poveri, purtroppo, sono sempre esistiti. Quello che è cambiato storicamente è il modo in cui gli ultimi sono stati considerati e trattati. Questo libro tesse le fila di una secolare vicenda che parte dagli albori dell'età moderna, quando per la prima volta il povero perde la concezione sacrale che aveva avuto nel Medioevo e diventa agli occhi dei gruppi dominanti colpevole del proprio stato. S'avvia un processo di criminalizzazione per cui accattoni, vagabondi, stranieri iniziano a essere percepiti come una minaccia. La società via via si trasforma sotto l'impulso di una borghesia che trionfa sulle altre classi sociali imponendo una nuova cultura e un diverso stile di vita, pretendendo il decoro delle città e dei comportamenti delle persone che le abitano, difendendo con ogni mezzo la proprietà e la sicurezza. L'idea che i poveri, e più di recente i contadini e gli operai, siano un pericolo sociale diventa pratica di governo, si trasforma in leggi, seleziona i soggetti che devono essere sorvegliati e, nel caso, messi al bando o rinchiusi lontano dal consesso civile. È una storia che dal Cinquecento arriva all'oggi, evidenziando linee di sconcertante continuità.
Dal primo avventurarsi su due gambe nelle pianure africane alla produzione di pitture rupestri, piramidi, bastimenti, parlamenti e molto altro: tanto si è scritto sul cammino evolutivo dell'umanità grazie al lavoro di paleontologi, archeologi e genetisti. Ciascuno di loro ha messo un tassello a formare un quadro generale della nostra storia. Ma oggi siamo riusciti a compiere un altro passo: con la capacità che abbiamo acquisito di leggere a fondo il DNA di tante persone, passate e presenti, e di interpretarne le differenze, quei resti non solo ci danno un'idea delle migrazioni, degli scambi, dei processi di adattamento all'ambiente che hanno fatto di noi quello che siamo, ma ci hanno anche permesso la ricostruzione delle sembianze dei nostri antenati. Il lavoro scrupoloso di un gruppo di artisti ci fa finalmente guardare in faccia Homo erectus, che per primo ha imparato a maneggiare il fuoco, e i piccoli ominidi dell'isola di Flores in Indonesia, che qualcuno ha ribattezzato hobbit; i vecchi europei, gli uomini di Neandertal e quelli nuovi come Ötzi, l'uomo dei ghiacci del Museo di Bolzano, e tanti altri. Guardandoli negli occhi possiamo capire meglio quanto abbiamo in comune, quanto ci siano vicini, quanto è vero che, nonostante la grande distanza temporale, noi in qualche modo siamo loro.
Il 3 settembre 1982 a Palermo veniva ucciso dalla mafia il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Nella storia dell'Italia repubblicana, dalla Chiesa era l'uomo per gli incarichi difficili, fin da quando aveva scelto di andare volontario nella Sicilia di Salvatore Giuliano. Successivamente le istituzioni democratiche si affidarono a lui in alcuni dei momenti più drammatici, chiamandolo a contrastare l'offensiva del terrorismo brigatista, sia prima che dopo il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro. La sua ultima missione, conclusasi con l'attentato che lo colpì assieme alla moglie, fu quella di prefetto di Palermo, dove era stato inviato a fronteggiare un'escalation di violenza della mafia senza precedenti. La sua carriera lo portò a vivere una molteplicità di situazioni, nel corso delle quali è stato dipinto come il più fedele dei servitori dello Stato, ma che, allo stesso tempo, lo hanno messo al centro di accuse e polemiche di varia natura. Finalmente la vita di uno degli uomini simbolo della nostra Repubblica viene ricostruita e raccontata da uno storico, grazie all'accesso a una documentazione vasta e inedita.
Cominciamo col dire che non erano tre. Le caravelle, ovviamente. Si tratta di un mito durevole, entrato prepotentemente nell'immaginario. Tre come i Magi, come i Moschettieri, per non citare altri e più sublimi paragoni. Volendo essere precisi, due caravelle e una nao: una grossa nave commerciale. Ma poco importa: il mito si costruisce a suon di semplificazioni. L'invito è a salire a bordo e a ripercorrere, passo dopo passo, le tappe del primo viaggio di Cristoforo Colombo, proprio quello che il 12 ottobre del 1492 porterà l'Ammiraglio ad avvistare la terra (le Indie o una sconosciuta?). Come per ogni navigazione, dovremo prepararci imparando a conoscere i tipi nautici, il regime dei venti, strumenti come la bussola, le carte, le tavole di martelogio per il calcolo del punto nave. Ma soprattutto saremo introdotti alla vita di bordo e incontreremo gli uomini che stanno per compiere la traversata. A guidarci sarà il Giornale di bordo, il diario su cui Colombo annotava tutto ciò che viveva in quelle settimane.
Perché il fascismo? E perché in Italia? Perché proprio nel nostro paese si è imposto un regime dittatoriale che ha proposto una formula politica che è stata presa a modello non solo in Europa e continua a esercitare un suo fascino sinistro? Queste domande ci interrogano da vicino e ne sollecitano molte altre quando proviamo a individuare cause ed effetti per elaborare una risposta. Ad esempio: l'Italia prefascista era una democrazia o era un sistema politico fragile? È bastata la guerra a produrre il fascismo? Ma soprattutto, che ruolo ha avuto l'uso della violenza da parte dei fascisti? È stata una risposta al clima insurrezionale generato da socialisti e comunisti o qualcosa di profondamente nuovo e diverso? Chi erano dunque gli squadristi? L'impressionante numero di uccisioni, bastonature e devastazioni è interpretabile come la reazione della borghesia di fronte alla 'grande paura' prodotta dalla rivoluzione russa? E in tutto questo, Mussolini fu 'l'uomo della Provvidenza' o un opportunista di successo? Tutte questioni ancora aperte e che ancora ci sfidano, soprattutto quando vogliamo rispondere alla domanda principe: il fascismo si poteva evitare?
Il sole splendeva sincero l'11 maggio 1860 sulle poche barche di pescatori nel porto di Marsala e sulle due navi di Sua Maestà britannica che servivano d'appoggio alle industrie che fabbricavano il famoso liquore della città. Nessuno, svegliandosi quella mattina a Marsala, avrebbe immaginato di essere alla vigilia di una 'giornata particolare', nemmeno quelli - per la verità assai pochi - che avevano sentito sussurrare di uno sbarco di banditi, cioè di gente che parlava di libertà e di unità dell'Italia. Ma ora qualcuno giurava che alla testa di quelli che sarebbero venuti dal mare c'era addirittura Garibaldi, un dettaglio che entusiasmava o atterriva, ma che aiutava a rendere ancor meno credibile la notizia. Tutto cambiò in poche ore con lo sbarco dei Mille. Dietro le mura della loro cittadina, gli abitanti di Marsala furono i primi spettatori di quella 'avventurosa impresa' che in meno di sei mesi avrebbe rivoluzionato la mappa della penisola e gli equilibri del continente. Era l'intero Risorgimento italiano che aveva preparato quella giornata. Era l'Europa moderna che attendeva l'indipendenza italiana. Era la Sicilia e i siciliani che avevano voluto fortemente l'impresa di Garibaldi. In definitiva quella di Marsala era anche una storia siciliana vecchia di sei secoli, nata nei giorni eroici e mai dimenticati dei Vespri, che trovava allora il suo epilogo o forse, meglio, la sua vendetta.
Quella del missionario è una delle figure chiave della modernità: un uomo pronto ad andare in terre lontane obbedendo a un ordine o a quella voce interna che si chiama vocazione. Fu così il mediatore dell'incontro tra diversi, il professionista del contatto fra popoli che si ignoravano, il testimone posto alla giuntura di culture e universi mentali diversi, spesso incompatibili. Fu a lui che spettò mettere d'accordo l'idea occidentale di Dio come persona con le nozioni totalmente diverse delle culture orientali. Il suo modello doveva scontrarsi con quello del crociato, pronto a ogni violenza, compresa la guerra, pur di ottenere con la forza l'adesione che gli era negata. Nel tempo, il potere di dare la missio, concentratosi a lungo nelle mani del pontefice, venne via via delegato ad altre figure della gerarchia ecclesiastica, ma anche a sovrani degli Stati europei che videro nell'organizzazione di ordini missionari un potente strumento di dominio coloniale.
Nel 1494, solo due anni dopo la 'scoperta dell'America', a Tordesillas, una piccola località della Castiglia, veniva firmato un trattato tra Spagna e Portogallo che divideva il mondo in due e inventava l'Occidente come spazio, comunità e cultura. Mai nessuno si sarebbe potuto aspettare che una semplice firma avesse conseguenze così gigantesche e durature. Questa è la storia di come, tra medioevo ed età moderna, le società europee (all'inizio spagnoli e portoghesi in testa) spinsero le proprie ambizioni sempre più verso l'oceano e così facendo trasformarono l'idea che esse avevano dell'Ovest: quella che era una direzione divenne poco alla volta uno spazio pensabile. È perciò una storia di grandi navigatori e di dibattiti violenti tra geografi, una storia di sfide e di esplorazioni che solcarono l'ignoto. Ma è anche la storia dei dibattiti culturali che ne seguirono e che inventarono e definirono quell'Occidente che prima mancava dalle mappe. E il punto di arrivo di questa storia siamo noi. In un momento in cui tutto questo appare ormai largamente messo in discussione, forse vale la pena riprendere il discorso da capo e chiedersi come si sia giunti alla nostra idea di Occidente. Come una direzione geografica ha fatto nascere e maturare un'idea di appartenenza. Quel che non possiamo fare è darlo per scontato. Pensare che noi si sia davvero da sempre così, che la nostra storia, la nostra cultura e la nostra civilizzazione corrispondano da sempre a quello spazio indistinto con i piedi in Europa e la testa nell'Atlantico: quell'Occidente che in questo secolo faticoso appare sempre più difficile da stringere nelle nostre idee e nelle nostre mappe