
Che cos'è il Mediterraneo? Un 'mare tra le terre'. Un mare interno, come altri nel mondo. Eppure questo spazio, compreso tra lo stretto di Gibilterra e le coste del Medio Oriente, tra Venezia e Alessandria d'Egitto, ha qualcosa di speciale. Non soltanto perché è il 'nostro' mare. Le acque del Mediterraneo sono una barriera tra i tre continenti che vi si affacciano, l'Europa, l'Asia e l'Africa, ma sono soprattutto un luogo di incontro e di passaggio. Quante civiltà, quanta gente, religioni, vite, amori, terrori, passioni e paure si sono incontrati su questo mare. Per secoli. Per millenni. Oggi proviamo a ripercorrerne la storia. E lo facciamo sulle tracce di semplici oggetti, quotidiani e strani, ordinari o curiosi. Che ci parlano. Forte, tanto. Venti oggetti, venti storie che, come una stella polare, ci fanno da guida nella navigazione attraverso fatti, episodi, avvenimenti. E si intrecciano, si mescolano fino a creare una grande trama che ci racconta cosa è stato questo mare, lungo i secoli.
Quando l’Europa iniziò la sua esplorazione del Vicino Oriente, le notizie riguardanti quest’area erano sommarie e spesso facevano riferimento a un passato leggendario e mitico. In particolare, due miti ne avevano simboleggiato il paesaggio: la ‘Torre di Babele’ come metafora per la città e il ‘Giardino dell’Eden’ come metafora per la campagna. Entrambi erano caratterizzati da un elemento di crisi e di collasso: la torre di Babele era rimasta incompiuta e abbandonata, il giardino dell’Eden era stato chiuso all’uomo, costretto a migrare verso ambienti meno ospitali. Invece di città, i primi viaggiatori nel Vicino Oriente trovarono rovine, e invece di giardini trovarono il deserto. Col progredire dell’indagine storica e archeologica, le informazioni sulle antiche città (da Ninive a Babilonia) crebbero, mentre le informazioni sulle campagne rimasero scarse e quasi nulle. La storia orientale antica divenne una questione di re e dinastie, di città e palazzi, di scribi e artigiani e mercanti. Si sapeva che la stragrande maggioranza della popolazione antica era costituita da contadini e pastori, ma la ricostruzione della loro vita e del loro ambiente venne a lungo esclusa dal quadro. Oggi le condizioni sono cambiate. Possiamo provare, per la prima volta, a dare un volto al ‘giardino dell’Eden’, a quel paesaggio in cui è germinata alcuni millenni fa la nostra civiltà.
«Nel 1648 la credenza che la terra fosse il centro del mondo era condivisa quasi universalmente; nel 1815 era ormai screditata anche negli ambienti più conservatori. Nel 1648 per scongiurare le tempeste elettriche si recitavano preghiere e si suonavano le campane; nel 1815 venivano installati i parafulmine. Nel 1648 in tutta Europa si bruciavano ancora gli eretici e le streghe; nel 1815 erano i loro accusatori a trovarsi nella condizione di imputati.» Il prima, era la società degli ordini, della ricchezza fondiaria e del governo autoritario; il dopo, il mondo delle classi, del capitalismo, della democrazia e delle rivoluzioni.
Dieci storici indagano le sfumature attraverso cui il fascismo trovò espressione: dalla ritualizzazione della politica al rapporto con il comunismo, dall’attenzione per la propaganda alla repressione del dissenso, dagli interventi urbanistici nella capitale alle teorie esteticoarchitettoniche. Il fascismo come esperienza di modernità totalitaria.
Progresso tecnologico, sviluppo economico, potere sulla natura, controllo sul proprio destino: in poco più di un centinaio di anni la modernità sconvolge una condizione umana legata ad assetti millenari. Eppure quelle conquiste sono segnate da un ambiguo marchio di contraddittorietà. La civiltà moderna, mentre emancipa gli uomini da epidemie, carestie, servitù e ignoranza, produce nuove miserie e innesca guerre sempre più letali; mentre esalta il principio dell’eguaglianza e della sovranità popolare, si fa culla di una nuova forma di tirannide politica, il totalitarismo. L’Italia fascista è il primo fra i paesi occidentali a vivere un’esperienza del genere (tanto che il termine ‘totalitarismo’ è di conio italiano). In questo libro alcuni tra i maggiori storici nazionali e internazionali illustrano il carattere del regime fascista come espressione di una modernità totalitaria. La loro tesi – che fino a pochi decenni fa avrebbe suscitato un coro di protesta e condanna mentre oggi ha un proprio rilievo nella storiografia internazionale – è che il fascismo sia stato un esperimento politico moderno nato da tensioni e conflitti caratterizzanti la modernità, con la capacità di proporre in molti suoi aspetti, dalla sacralizzazione della politica alla mobilitazione delle arti, dalla organizzazione del consenso all’antagonismo con il bolscevismo, soluzioni politiche, culturali e sociali che gli italiani giudicarono più efficaci del liberalismo e del comunismo nell’affrontare e guidare i processi sconvolgenti della modernizzazione. Presto milioni di europei avrebbero compiuto la stessa scelta.
Venezia è nel 1499 una grande potenza europea. Solo dieci anni dopo – sconfitta militarmente e politicamente dalla Lega di Cambrai – è una sopravvissuta. Con quell’inizio Cinquecento si sgretola il suo dominio e inizia una decadenza dorata che durerà ben tre secoli: uno stato tanto ricco e potente poteva deteriorarsi solo con una magnificente lentezza. La Serenissima repubblica sostituirà allora la forza con l’ostentazione, la potenza con la ricchezza, il ferro con l’oro. Sarà il suo modo per recuperare il formidabile colpo inferto da tutti i grandi stati d’Europa – esclusa la sola Inghilterra – coalizzati contro di lei e il conseguente rischio di scomparire per sempre dalla carta geografica. Venezia non sarà più potente, ma splendente, e riuscirà a mantenere un proprio ruolo centrale utilizzando l’arte, l’architettura, le celebrazioni delle ricorrenze civili e religiose. Non potrà più intimorire con il clangore delle armi, ma riuscirà a meravigliare con il tintinnare delle monete. E che monete: a metà Cinquecento il ducato comincia a essere chiamato zecchino e il suo prestigio sarà tale che ancora oggi definiamo zecchino l’oro puro. La Venezia del Cinquecento è quella del mito arrivato fino a noi: la città dei palazzi di Sansovino, della celebrazione del governo perfetto e della giustizia equanime, della rivoluzione del colore che influenzerà tutta la pittura successiva. Nel magnifico decennio raccontato in queste pagine avvincenti, Venezia diventa l’ombelico del mondo: Giorgione dipinge la Tempesta, esordisce Tiziano, muore Gentile Bellini, si devia il fiume Brenta, si inaugurano monumenti (primo tra tutti la torre dell’Orologio); brucia il fondaco dei Tedeschi e in tre anni (tre anni!) viene ricostruito; Aldo Manuzio pubblica il primo libro tascabile della storia e Ottaviano Petrucci il primo libro musicale a caratteri mobili (entrambi nel 1501); i portoghesi circumnavigano l’Africa e rompono il monopolio veneziano nel commercio delle spezie; nel Maggior consiglio i patrizi votano utilizzando un’urna chiusa – la prima che si conosca – e quando vogliono farsi eleggere si accordano nel broglio; si ha per la prima volta notizia di un’asta di opere d’arte; risiedono a Venezia il pittore Albrecht Dürer e il filosofo Erasmo mentre il matematico Luca Pacioli pubblica il libro che riproduce i solidi leonardeschi. Alessandro Marzo Magno ricostruisce lo stupefacente susseguirsi di eventi che hanno portato la Dominante – così veniva chiamata la città di Venezia – a essere la fucina delle arti che conosciamo e amiamo.
Il volume si concentra in maniera particolare sul periodo centrale degli anni della Guerra fredda, dal 1961 al 1978. La definitiva composizione di alcune essenziali questioni, quali la riparazione dei danni di guerra e l’atteso rientro in patria degli italiani trattenuti in Albania al termine del conflitto mondiale in un regime di semi-prigionia, aveva senza dubbio contribuito ad abbassare i toni del confronto tra i due Paesi, allora ideologicamente contrapposti. Il riavvicinamento intrapreso e la pur stentata collaborazione finì comunque per contrassegnare l’apertura di una nuova fase politica che avrebbe portato al raggiungimento di un equilibrio più stabile nel Mediterraneo centrale. Questi alcuni temi trattati dagli studi raccolti nel libro: i numerosi tentativi messi in atto dall’Italia di aprire canali di collaborazione con il regime di Tirana attraverso la costruzione di relazioni culturali; il mutamento avvenuto nel corso degli anni, per effetto delle evoluzioni politiche interne ed internazionali, delle posizioni sostenute dal Partito Comunista Italiano e dal Partito del Lavoro d’Albania; il processo di avvicinamento, avvenuto negli anni Sessanta, tra il Partito del Lavoro d’Albania e il Partito Marxista-Leninista d’Italia; le drammatiche persecuzioni religiose messe in atto in Albania nei confronti delle fedi storicamente presenti nel Paese; la presenza in Italia dei fuoriusciti anticomunisti albanesi.
Una piccola storia ignobile della giustizia italiana, subito cancellata e rimossa. La prova generale della strategia della tensione. A cinquant’anni dai fatti, un libro-inchiesta, degno erede dei lavori di Corrado Stajano e di Camilla Cederna, rivela le verità nascoste di uno dei momenti chiave della storia repubblicana.
Milano, 25 aprile 1969: due ordigni scoppiano alla Fiera campionaria e all’Ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni della Stazione centrale, provocando una ventina di feriti. È il primo atto della campagna di attentati che pochi mesi dopo porterà a Piazza Fontana. L’Ufficio politico della questura, fin dalle prime ore, punta verso gli anarchici. A condurre le indagini sono il commissario Luigi Calabresi e i suoi uomini, gli stessi che si troveranno nel suo ufficio la notte della morte di Giuseppe Pinelli, nome che nell’inchiesta spunterà di continuo, come quello di Pietro Valpreda, che già qui si profila come futuro capro espiatorio. Nel giro di pochi giorni vengono arrestati tre giovani (e altrettanti nelle settimane successive) e una coppia di noti anarchici milanesi, amici dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, che pure verrà rinviato a giudizio assieme alla moglie. Due anni dopo, con un colpo di scena dietro l’altro, il processo chiarirà le dimensioni della macchinazione anti-anarchica innescata da quegli attentati. Una vicenda determinante per comprendere fino in fondo i misteri di Piazza Fontana. Un racconto serrato di una pagina nera per la giustizia italiana, da allora totalmente rimossa dalla memoria, che assume nuova luce grazie alla scoperta di documenti fin qui inediti.
Nel 1933 viene lanciato nei cinema USA I tre porcellini di Walt Disney. Questo piccolo avvenimento segna l'inizio della parabola della cultura mainstream promossa dai film delle majors hollywoodiane, raccolta e amplificata dalla radio e dalla tv. Questo tipo di cultura, basata su un'idea consolatoria dell'intrattenimento, fondata su una visione manichea del bene contro il male e sul must del lieto fine, prende forma allora e mette radici nell'immaginario collettivo dell'Occidente. Basti pensare a film come Via col vento, Il mago di Oz e Gli uomini preferiscono le bionde, o a fumetti come Tarzan, Dick Tracy o i supereroi. Dopo la seconda guerra mondiale si assiste invece alla nascita e al successo di una controcultura di massa, animata - sin dai primi anni Sessanta - soprattutto dalla formazione e dal successo della musica rock. Bob Dylan, Beatles, Pink Floyd intrecciano i loro rapporti con il coevo 'nuovo cinema' di Hollywood, da Easy Rider a II laureato, fino alla nuova produzione teatrale di Broadway e alle nuove forme della programmazione televisiva. Una cultura alternativa, con al centro gli afroamericani, i ragazzi e le ragazze delle subculture giovanili, i militanti per i diritti civili. Questa costellazione potente si dissolve a partire dalla metà degli anni Settanta permettendo alla cultura di massa mainstream di rinnovare la sua egemonia, ancora oggi evidente.
Tra il 20 e il 29 maggio 1937 ebbe luogo, in Etiopia, il più grave eccidio di cristiani mai avvenuto nel continente africano: nel villaggio monastico di Debre Libanos, il più celebre e popolare santuario del cristianesimo etiopico, furono uccisi circa 2000 tra monaci e pellegrini, ritenuti ‘conniventi’ con l’attentato subito, il 19 febbraio, dal viceré Rodolfo Graziani. Fu un massacro pianificato e attuato con un’accurata strategia per causare il massimo numero di vittime, oltrepassando di gran lunga le logiche di un’operazione strettamente militare. Esso rappresentò l’apice di un’azione repressiva ad ampio raggio, tesa a stroncare la resistenza etiopica e a colpire, in particolare, il cuore della tradizione cristiana per il suo storico legame con il potere imperiale del negus. All’eccidio, attuato in luoghi isolati e lontani dalla vista, seguirono i danni collaterali, come il trafugamento di beni sacri, mai ritrovati, e le deportazioni di centinaia di ‘sopravvissuti’ in campi di concentramento o in località italiane, mentre la Chiesa etiopica subiva il totale asservimento al regime coloniale. L’accanimento con cui fu condotta l’esecuzione trovò terreno in una propaganda (sia politica che ‘religiosa’) che andò oltre l’esaltazione della conquista, fino al disprezzo che cominciò a circolare negli ambienti coloniali fascisti ed ecclesiastici nei confronti dei cristiani e del clero etiopici, con pesanti giudizi sulla loro fama di ‘eretici’, scismatici. Venne a mancare, insomma, un argine ad azioni che andarono oltre l’obiettivo della sottomissione, legittimate da una politica sempre più orientata in senso razzista. I responsabili di quel tragico evento non furono mai processati e non ne è rimasta traccia nella memoria storica italiana. A distanza di ottant’anni, la vicenda riappare con contorni precisi e inequivocabili che esigono di essere conosciuti in tutte le loro implicazioni storiche.
Nella primavera del 2011 il mondo arabo è stato investito da una serie di proteste radicali che chiedevano un reale cambiamento dei regimi politici al governo. Dopo decenni di dittature militari, di corruzione generalizzata, malversazioni, inefficienza amministrativa e sperpero delle risorse nazionali, per un breve spazio di tempo è sembrato che finalmente la democrazia stesse per affermarsi anche in Medio Oriente. Il sogno si è infranto quasi subito nella tragedia: la sanguinosissima guerra civile in Siria, i conflitti tribali e petroliferi in Libia che hanno smembrato quella parvenza di Stato che era la Jamahiriyya di Gheddafi, le guerre religiose che nella penisola arabica hanno ridotto alla fame lo Yemen. Tunisia a parte, ovunque la richiesta di democrazia è stata disattesa, ovunque i problemi economici e demografici sono rimasti irrisolti, ovunque si è preferito utilizzare la forza per affrontare le tensioni tra Stato e società civile. Ripercorrere la storia di questa stagione è fondamentale per comprenderne fino in fondo le ragioni, per analizzare le responsabilità e per prevedere le conseguenze che essa avrà anche sulla nostra parte di mondo. Una lettura indispensabile per chiunque voglia approfondire le contraddizioni e i conflitti del nostro tempo, soprattutto in un paese come l’Italia che dal legame con il mondo arabo viene direttamente coinvolto.
L'emergenza Covid-19 ha rappresentato uno spartiacque epocale proprio mentre eravamo immersi in un'età di profondi mutamenti: l'affermazione della tecnoscienza nella sfera dell'economia e della società; l'avvento, nell'età del web e dei Big Data, di nuovi strumenti di potere e di gestione del consenso; l'emergenza ambientale. In questo scenario, denso di pesanti incognite, si stanno giocando diverse partite volte a ridefinire gli equilibri mondiali. Da un lato gli Stati Uniti e la Cina si stanno scontrando per stabilire chi avrà l'egemonia globale. Allo stesso tempo, una risorgente Russia e alcune potenze regionali (come l'India, il Giappone, l'Arabia Saudita, l'Iran e la Turchia) stanno assumendo un ruolo di rilievo e una autonomia fino a ora sconosciuta. Intanto l'Unione Europea si trova in grande difficoltà. Il suo indebolimento non si deve solo a cause di ordine strutturale e agli effetti della globalizzazione, ma al fatto che s'è inceppato il processo d'integrazione nei versanti nevralgici della politica estera e della sicurezza, del welfare e delle innovazioni di sistema. Un libro in cui un grande maestro della storia economica presenta un'analisi penetrante dello stato di salute del pianeta e dei rischi che ci troviamo ad affrontare.
Forse non lo sapete, ma il piccolo oggetto che avete in mano - così maneggevole, chiaramente stampato, dai caratteri eleganti, corredato da un frontespizio e da un indice - deve quasi tutto al genio di Aldo Manuzio, che cinque secoli fa ha rivoluzionato il modo di realizzare i libri e ha reso possibile il piacere di leggere. Benvenuti nel mondo del primo editore della storia.