
L'Italia è un enorme museo: nelle sue città, fra le sue colline, lungo le sue spettacolari coste sono nati - e in qualche caso sono tutt'ora conservati - alcuni dei più grandi capolavori artistici della nostra civiltà. Chi non conosce "L'ultima cena" di Leonardo Da Vinci, il "David" di Michelangelo e la "Primavera" di Botticelli? Ma sono tante le opere create in Italia che hanno vissuto destini travagliati: trasportate per il mondo, rubate in guerra, a volte restituite a volte no, spesso perdute. Non c'è da stupirsi che i più temuti personaggi della storia, da Napoleone fino a Hitler, abbiano preso di mira lo stivale d'Europa con i suoi tesori. Ma in loro difesa si sono battuti eroi sconosciuti che hanno rischiato la vita per riportare in patria parte del bottino, e di cui oggi Alessandro Magno ricostruisce le gesta.
Il volume è centrato sulle trattative che portarono alla firma dell'armistizio tra l'Italia e gli angloamericani nel settembre 1943, alla fuga del re, del governo e delle alte gerarchie militari da Roma, all'evaporazione dello stato e al drammatico sbando cui il paese andò incontro. L'autrice ricostruisce l'evoluzione della politica alleata nei confronti dell'Italia durante la guerra, i diversi e inconcludenti sondaggi italiani per uscire dal conflitto tra la conferenze di Casablanca e lo sbarco in Sicilia, l'avviarsi faticoso dopo il 25 luglio e poi il concludersi ai primi di settembre delle trattative per l'armistizio.
Nel 1942 le forze dell'Asse nazifascista erano vittoriose ovunque; nel 1944 divenne evidente che un esito della guerra favorevole agli Alleati era solo questione di tempo. Cosa rese possibili questo rovesciamento di equilibri? In questo libro Overy analizza i grandi settori in cui gli Alleati seppero volgere a proprio favore le sorti del conflitto: la guerra sul mare, le grandi battaglie del fronte orientale, la guerra aerea, lo sbarco in Normandia. Ma risalendo a monte, Overy mostra dove ebbe origine la superiorità militare alleata: nella maggiore capacità di riconvertire alla guerra il sistema economico, nella superiorità tecnologica, nella maggiore efficienza della dirigenza militare, e infine nella mobilitazione morale delle popolazioni.
Nicola Labanca ripercorre le vicende politiche e militari che portarono gli italiani a stabilirsi in Eritrea, in Somalia, in Libia e poi in Etiopia. Ma l'espansione coloniale non fu, anche nel caso italiano, solo politica e guerra. Il volume smonta quindi i messaggi della propaganda colonialista che affascinarono generazioni di italiani al suono di "Tripoli bel suol d'amore" e mostra i pochi reali vantaggi economici che l'Italia trasse dai suoi domini africani. Inoltre descrive la società coloniale d'oltremare, i suoi tratti razzisti, la sua composizione sociale e demografica, le sue istituzioni.
Dal 1909 fanno più di novant'anni che la carovana del Giro attraversa l'Italia: il Giro è un'istituzione, fa parte della storia e dell'identità del Paese. Con una minuziosa attenzione non solo alle cronache, ma anche alle innovazioni tecniche, al contorno pubblicitario, persino ai gadget che alimentano la passione e la mitologia popolare, Marchesini offre al lettore una narrazione che illumina molti aspetti della società italiana contemporanea.
Com'è cambiato il mondo nel Novecento? Quali sono gli aspetti caratteristici del secolo e quelli che hanno determinato l'attuale assetto mondiale? L'approccio di questo studio pone al centro, più che una semplice successione di eventi, una serie di temi tra i quali politica e guerre hanno una rilevanza marginale. Il Novecento, dunque, appare caratterizzato da un tumultuoso processo di appropriazione dell'ambiente: una conquista di conoscenze che hanno esteso la presa dell'uomo sull'ambiente e sulle altre specie viventi. Poi vengono i grandi mutamenti demografici, lo sviluppo delle città e delle comunicazioni, i nuovi raporti sociali, l'esplosione della produzione e del consumo dei beni, le guerre mondiali e la fine del colonialismo.
Un gruppo di dirigenti di alcune miniere sarde viene mandato nel 1956 a Cave del Predil (Udine), ai confini con l'Austria, per "salvare" la Raibl, una delle più importanti miniere di zinco e piombo d'Europa, ceduta dal "banchiere del Papa" Bernardino Nogara alla società mineraria Pertusola, appartenente al ramo francese dei Rothschild. I tentativi di imporre una nuova organizzazione del lavoro provocano una lunga e agguerrita resistenza dei minatori, che finirà per costringere il governo a non rinnovare la concessione mineraria alla Pertusola, la quale d'altra parte abbandonerà anche le miniere sarde quando i minatori otterranno i salari più alti già in vigore alla Raibl. Sulla base di una ricca documentazione, il volume tesse insieme le storie della Raibl, di Bernardino Nogara, delegato di Pio XI per l'Amministrazione Speciale della Santa Sede, del figlio Giovanni che dirige la miniera, di Guerrino Gabino che guida i minatori, dei dirigenti della Pertusola abituati in Sardegna a esercitare uno sfruttamento di tipo coloniale, e di Charles Algernon Moreing, un magnate del mondo minerario, che da Londra fornisce i capitali per avviare e sviluppare la Raibl. Fra ricerca e memoria, la dura storia di un'epica lotta sindacale.
Indice : Premessa. - I. Mamma miniera. - II. Nogara: diplomatico, banchiere e vecchio minatore. - III. Il padrone della miniera e l'arcivescovo. - IV. La Raibl, una proprietà inglese. - V. Lavoro e sicurezza in miniera. - VI. Cronache di uno sciopero. - VII. Epilogo. - Indice dei nomi.
Giordano Sivini insegna Sociologia politica nella Facoltà di Economia dell'Università della Calabria. Ha pubblicato di recente "La resistenza dei vinti. Percorsi nell'Africa contadina" (Feltrinelli, 2006) e, negli Stati Uniti, "Resistance to Modernization in Africa" (Transaction, 2007).
Gli Stati Uniti d'America nacquero il 4 luglio 1776 con la Dichiarazione d'indipendenza. Perché diventassero qualcosa di simile a ciò che conosciamo oggi, in termini di territorio, popolazione e forma di governo, dovette tuttavia passare almeno un secolo. Tra il 1776 e il 1876 il paese definì i suoi confini; aumentò la popolazione; abolì la schiavitù razziale; si trasformò da piccola repubblica in grande democrazia elettorale (maschile). Attraversò guerre di conquista con le nazioni vicine (native e di origine europea), conflitti sociali e politici, una sanguinosa guerra civile (1861-65). Il volume illustra la storia di questo primo secolo di vita degli Stati Uniti, sottolineando la forte carica espansiva, geografica, politica, ideale, che lo caratterizzò.
Nella produzione storiografica sulla mobilitazione civile negli anni della Grande Guerra è stato dato poco spazio alla partecipazione delle donne. Facendo propria la convinzione di un'estraneità delle donne al conflitto, la storiografia ha analizzato prevalentemente gli episodi di ostilità alla guerra da parte di donne operaie e contadine o qualche iniziativa isolata di donne dei ceti abbienti e di élite femminili intellettuali. Questo volume fornisce, invece, un quadro complessivo delle attività di assistenza e di propaganda svolte dalle donne mobilitate a sostegno del primo conflitto mondiale. Aspetto della storia della Grande Guerra ancora poco conosciuto, la mobilitazione femminile fu invece un fenomeno di vaste proporzioni e rappresentò la prima esperienza di partecipazione delle donne alle vicende politiche del paese, momento fondamentale del loro processo di nazionalizzazione. La ricerca si basa su documentazione reperita in fondi archivistici nazionali e locali, in quelli di organismi e istituzioni della mobilitazione civile, sullo spoglio della pubblicistica delle associazioni femminili di assistenza e propaganda, sulla stampa femminile dell'epoca.
L'Opera nazionale dopolavoro fu istituita dal regime fascista nel 1925 con lo scopo di promuovere e organizzare dall'alto il tempo libero dei lavoratori. Collocata nei gangli dell'amministrazione ordinaria (la vigilanza dell'ente fu assegnata inizialmente al ministero per l'Economia nazionale), subì tuttavia l'influenza e l'attenzione crescente del PNF, che tentò di farne una sua organizzazione collaterale. Pur essendo questo uno dei motivi per cui venne considerata dalla storiografia l'ente del consenso per antonomasia e uno degli strumenti più tipici del progetto totalitario di conquista delle masse, l'OND mantenne, sino alla fine del ventennio, una sua identità istituzionale ambigua, in parte "burocratico-ministeriale", in parte "politico-militante". Come emerge dalla ricerca, inoltre, la sua presa sulla realtà del lavoro fu discontinua e non sempre uniforme, concentrandosi per lo più sulle "aree forti" del paese e tra determinate categorie di lavoratori.

