
Sulle soglie della modernità, la povertà fa la sua comparsa sulla scena pubblica. E la fa, almeno inizialmente, in posizione di soggetto. Soggetto politico: perché il problema che pone non è più quello religioso della salvezza, ma quello secolare della conservazione della stabilità sociale. Le autorità municipali del Vecchio Continente cominciano allora a elaborare una serie di normative tendenti a una riorganizzazione radicale dei sistemi di assistenza, tradizionalmente demandata alla carità dei privati o all'iniziativa ecclesiastica. Il libro di Coccoli prende in esame i dibattiti che accompagnarono questo delicato passaggio, caratterizzato dalla laicizzazione della figura del povero e dalla necessità per i governi di affrontare politicamente la problematica dell'indigenza, divenuta una "questione sociale". Un saggio storico che non manca di offrire spunti al presente, vista anche la crescente rilevanza che il tema della povertà assume nella nostra attuale congiuntura.
«I vinti, le forze cioè della sinistra, sconfitte il 18 aprile, hanno, più dei vincitori, contribuitoad offrire una immagine complessiva di quegli anni,una immagine che è diventata elemento di cultura media che è filtrata fin nei rapidi accenni che si leggono alla fine dei manuali scolastici nelle poche pagine dedicate all'Italia del secondo dopoguerra». (Pietro Scoppola)
«Noi comunisti ci siamo accorti che saremmo stati probabilmente sconfitti alle elezioni del 18 aprile quando, nel mese di febbraio, abbiamo visto scendere in campo i Comitati Civici e svolgere quel lavoro capillare che fino ad allora avevamo fatto soltanto noi». (Massimo Caprara)
Queste due citazioni, rispettivamente di un cattolico democratico, storico e senatore dc, e dell'ex segretario di Palmiro Togliatti, per decenni deputato comunista prima di approdare alla fede dopo un lungo itinerario spirituale e intellettuale, danno la misura di quanto è avvenuto dopo il 18 aprile 1948, quando in Italia si svolsero le elezioni politiche più importanti nella storia del Paese, che segnarono la volontà del popolo di appartenere alla civiltà occidentale, democratica e cristiana.
Ma il libro curato da Marco Invernizzi - che riunisce gli atti di un convegno organizzato a Milano dall'Istituto per la Storia dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale - ci porta all'interno dell'evento, esaminandone le forze protagoniste, sia religiose e culturali, sia politiche, offrendo la possibilità al lettore di farsi una prima impressione del significato di quella giornata elettorale e aprendo uno squarcio su alcune verità taciute per decenni da una storiografia succube degli interessi politici, come il ruolo dei Comitati Civici, l'opera svolta dal cardinale Schuster, le vicende del mondo azionista (pp. 360).
In un arco temporale che va dalla fine dell'impero romano all'inizio del Duecento, vengono qui affrontati diversi aspetti della vita delle donne medievali - relazioni familiari, religiosità, diritti di proprietà, forme di potere - esaminando personaggi celebri, come Matilde di Canossa o Marozia, ma anche quelli meno noti o quelli per i quali l'unica "storia" a noi giunta è la volontà espressa in un atto notarile. Il libro cerca di capire come l'evoluzione politica, economica, sociale e religiosa dell'Italia medievale abbia influenzato il ruolo delle donne e come sia mutata nel tempo la loro immagine.
"La ricerca storica è per me uno spazio di gioia e di passione intellettuale. Provo sempre un brivido prima di entrare in un archivio o in una biblioteca: cosa troverò? Leggendo i registri della sua piantagione, finirò per trovare la schiava che sto cercando? Troverò la firma da lei lasciata per ragioni sue e da me accolta come segno della verità della sua esistenza e del fatto che sapesse scrivere, come sosteneva il suo amante? Che fortuna aver potuto leggere tante storie interessanti, alcune divertenti, altre da far gelare il sangue, alcune sorprendenti, altre familiari...". È con questo approccio, un originalissimo stile di vita e di lavoro, che Natalie Zemon Davis si accosta e dialoga con i personaggi che studia, cercando di comprenderne il mondo, le emozioni, le parole, i gesti, e sforzandosi di sottrarli all'oblio. In questo serrato dialogo con Denis Crouzet ci racconta il suo "mestiere di storica", ma anche come la sua stessa vita, l'impegno di cittadina e di donna siano un apprendistato continuo, un costante superamento delle certezze acquisite, uno stimolo a scrivere per offrire ai suoi lettori un messaggio di speranza e dire loro che la storia non è mai finita.
Nel basso Medioevo una parte importante della popolazione urbana era costituita da manodopera dipendente, impegnata nelle manifatture tessili, nei cantieri edili, nella metallurgia, nelle attività portuali, nelle botteghe artigiane. Conoscere meglio quali furono l'organizzazione del lavoro, la tipologia della manodopera impiegata, le competenze e le abilità richieste, i contratti di ingaggio, i salari corrisposti, i regimi alimentari, gli istituti e le confraternite destinati all'assistenza dei lavoratori, significa far luce su aspetti non secondari della società e dell'economia medievale.
Contessa Lara (Evelina Cattermole) appartiene a quella nutrita schiera di poetesse, scrittrici e giornaliste che nella seconda metà dell'Ottocento si imposero nel panorama editoriale italiano allora in espansione. Di eterea bellezza e di multiforme talento, fu nota non solo per i suoi versi di ispirazione romantica e per i suoi romanzi, ma anche per l'infaticabile collaborazione con le maggiori testate di periodici. Donna libera e anticonformista, la sua vita fu segnata da eventi tragicamente spettacolari: la morte dell'amante ucciso in duello dal marito, le molte relazioni sentimentali e, infine, il suo assassinio per mano dell'ultimo compagno, Giuseppe Pierantoni. Le lettere che qui si pubblicano, scritte nello scorcio dell'estate 1896 durante una vacanza sulla Riviera ligure, erano rivolte proprio a colui che, al suo ritorno, l'avrebbe uccisa con un colpo di pistola. Con un saggio introduttivo di Biancamaria Frabotta.
Federico II di Svevia (1194-1250) è un personaggio dotato di un fascino imperituro, che lo ha portato a godere di una doppia vita: una nel mondo, contingente, l'altra nel mito, immortale. Essere ricordati è il desiderio di tutti i grandi, ma per Federico II - l'eccelso imperatore, l'unico degno di quel nome vissuto nel XIII secolo - è quasi una damnatio, una condanna, ancora maggiore dell'oblio, perché la sua esistenza reale ha finito con l'essere sepolta sotto le concrezioni della memoria trasfigurata. Nel libro si segue il percorso che ha portato Federico II dalla storia al mito, e che, viceversa, ha ricondotto nella storia il protagonista dell'anonimo Itinerarium, il poeta-imperatore capace di improvvisare i motti in versi che ancora oggi identificano molte città pugliesi. Se la figura storica è ricostruibile con l'attenta lettura delle fonti, accanto ad essa si è venuta costantemente a collocare quella mitizzata, che lo stesso Svevo ha ampiamente contribuito a creare, ma che l'ha spesso reso indistinguibile nei tratti autentici. Affrontare l'immagine di Federico II attraverso le attestazioni del suo mito serve a definirne i contorni, ma impone, al tempo stesso, un termine perentorio alle invenzioni fantastiche che l'hanno immersa in una strumentale dimensione atemporale, trasformando tutto ciò che le è correlato - e innanzitutto Castel del Monte - in oscuri e irrazionali simboli esoterici.

