
Definita "una folle impresa" da qualche contemporaneo, la spedizione dei Mille avrebbe portato nel volgere di pochi mesi alla liberazione del Mezzogiorno e al compimento dell'Unità d'Italia. L'autore ricostruisce la crisi del regime borbonico, l'insurrezione siciliana, la spedizione garibaldina e il conflitto politico-istituzionale tra moderati e democratici a ridosso del plebiscito dell'ottobre 1860. Nella narrazione di questi eventi, il volume riserva un'attenzione particolare alle questioni istituzionali. Accanto all'operazione militare per la liberazione della Sicilia e del Mezzogiorno si svolsero un confronto culturale e un conflitto politico sul futuro ordinamento dell'Italia ai quali parteciparono i maggiori protagonisti della cultura siciliana e italiana. Nei mesi precedenti la formazione del Regno d'Italia, la classe dirigente, ponendo sempre al centro l'alto obiettivo dell'Unità, si confrontò e si scontrò su temi ancora oggi al centro dell'agenda politica: accentramento e decentramento, autonomismo e federalismo.
Una puntigliosa anatomia dei documenti sulla morte di Antonio Canepa: ecco il contenuto principale di questo volume che porta come sottotitolo "Un assassinio di Stato?". La fine di Antonio Canepa, creatore dell'Esercito Volontario per l'Indipendenza Siciliana, avvenne in una tranquilla domenica d'estate, il 17 giugno del 1945, con circostanze mai chiarite pienamente: cadde in un conflitto a fuoco con una pattuglia di tre carabinieri nella strada che da Cesarò porta a Randazzo. Con Canepa morirono due giovani indipendentisti, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, un altro, Nando Romano, rimase ferito, due riuscirono a fuggire. Da anni si parla di quell'episodio, ma è stato come girare attorno con il timore di rimanere scottati. Adesso, con questo nuovo libro, Salvo Barbagallo non mette la parola "fine" alla storia del "professore guerrigliero", ma lascia ampio spazio, a chi vuol sapere, per capire cosa sia veramente accaduto.
Sullo sfondo di una Catania ancora in macerie per il sisma del 1693, durante una carestia che investì l'isola, il vescovo della città Salvatore Ventimiglia, cadetto di una ricca e potente famiglia palermitana, sospettato forse ingiustamente di simpatie massoniche e gianseniste, fondò insieme ad alcuni alti prelati e aristocratici discendenti delle poche famiglie nobili sopravvissute al terremoto un istituto per accogliere i poveri e gli accattoni che avevano invaso le strade. Nel ripercorrere le vicende del ricovero possiamo ricostruire la quotidiana miseria di oscure vite di indigenti. Lungo i secoli il patrimonio dell'istituto si sarebbe accresciuto grazie alle elargizioni di benefattori uomini e patronesse: un'articolata galleria di ritratti umani che contano ecclesiastici d'alto rango, nobili ma anche esponenti dell'emergente ceto medio. Tra Sette e Ottocento la storia dell'Albergo rivela un intenso intreccio tra miseria e ricchezza grazie al ruolo assunto dall'istituto all'interno del tessuto economico urbano, attraverso la costante erogazione di crediti all'élite locale. Il testo si conclude con uno sguardo sulla legislazione fascista che avrebbe modificato il nome degli istituti assistenziali in IPAB portando così a compimento quel lungo processo che, già inaugurato da Crispi, avrebbe tentato di imporre il controllo statale e il principio di "pubblico" sui limiti privatistici e localistici che avevano caratterizzato le opere pie fin dalla loro fondazione.
Sulle soglie della modernità, la povertà fa la sua comparsa sulla scena pubblica. E la fa, almeno inizialmente, in posizione di soggetto. Soggetto politico: perché il problema che pone non è più quello religioso della salvezza, ma quello secolare della conservazione della stabilità sociale. Le autorità municipali del Vecchio Continente cominciano allora a elaborare una serie di normative tendenti a una riorganizzazione radicale dei sistemi di assistenza, tradizionalmente demandata alla carità dei privati o all'iniziativa ecclesiastica. Il libro di Coccoli prende in esame i dibattiti che accompagnarono questo delicato passaggio, caratterizzato dalla laicizzazione della figura del povero e dalla necessità per i governi di affrontare politicamente la problematica dell'indigenza, divenuta una "questione sociale". Un saggio storico che non manca di offrire spunti al presente, vista anche la crescente rilevanza che il tema della povertà assume nella nostra attuale congiuntura.
«I vinti, le forze cioè della sinistra, sconfitte il 18 aprile, hanno, più dei vincitori, contribuitoad offrire una immagine complessiva di quegli anni,una immagine che è diventata elemento di cultura media che è filtrata fin nei rapidi accenni che si leggono alla fine dei manuali scolastici nelle poche pagine dedicate all'Italia del secondo dopoguerra». (Pietro Scoppola)
«Noi comunisti ci siamo accorti che saremmo stati probabilmente sconfitti alle elezioni del 18 aprile quando, nel mese di febbraio, abbiamo visto scendere in campo i Comitati Civici e svolgere quel lavoro capillare che fino ad allora avevamo fatto soltanto noi». (Massimo Caprara)
Queste due citazioni, rispettivamente di un cattolico democratico, storico e senatore dc, e dell'ex segretario di Palmiro Togliatti, per decenni deputato comunista prima di approdare alla fede dopo un lungo itinerario spirituale e intellettuale, danno la misura di quanto è avvenuto dopo il 18 aprile 1948, quando in Italia si svolsero le elezioni politiche più importanti nella storia del Paese, che segnarono la volontà del popolo di appartenere alla civiltà occidentale, democratica e cristiana.
Ma il libro curato da Marco Invernizzi - che riunisce gli atti di un convegno organizzato a Milano dall'Istituto per la Storia dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale - ci porta all'interno dell'evento, esaminandone le forze protagoniste, sia religiose e culturali, sia politiche, offrendo la possibilità al lettore di farsi una prima impressione del significato di quella giornata elettorale e aprendo uno squarcio su alcune verità taciute per decenni da una storiografia succube degli interessi politici, come il ruolo dei Comitati Civici, l'opera svolta dal cardinale Schuster, le vicende del mondo azionista (pp. 360).