
Questo libro parla del ventesimo secolo che "comincia con una guerra mondiale catastrofica e finisce con il crollo della maggior parte dei sistemi di credenze dell'epoca: non può certo attendersi un trattamento affettuoso a posteriori. Dai massacri degli armeni alla Bosnia, dall'ascesa di Stalin alla caduta di Hitler, dal fronte occidentale alla Corea, il ventesimo secolo è un incessante susseguirsi di sventure umane e sofferenze collettive dalle quali siamo emersi più tristi, ma più saggi". Questa è una storia delle idee politiche moderne in Europa e negli Stati Uniti, di parole come potere e giustizia, così come sono state intese dalla fine del diciannovesimo secolo all'inizio del ventunesimo. È una riflessione sui limiti (e sulla capacità di rinnovamento) delle idee politiche, e sulle carenze (e sugli obblighi) morali degli intellettuali. È anche il racconto del secolo che ha incrociato la vita e il percorso intellettuale di Tom Judt, un suo narratore.
Viviamo nell'epoca della guerra in diretta: l'informazione ci racconta ogni giorno i conflitti armati, mostra sui nostri schermi i tracciati dei missili, il fuoco delle bombe, le vittime dei massacri. Su quel resoconto, apparentemente oggettivo, l'opinione pubblica forma la propria percezione di quanto accade nel mondo. Dai dispacci di Napoleone per arrivare alla galassia informativa contemporanea, passando per il periodo coloniale, le guerre mondiali, il Vietnam e i tanti conflitti che hanno insanguinato il secolo appena concluso, la strada del giornalismo di guerra è stata lunga. Per tracciarne il percorso e le continue metamorfosi - politiche, ideologiche, culturali, ma anche tecnologiche e sul piano del mercato editoriale - Oliviero Bergamini incrocia più fattori: le caratteristiche militari dei conflitti (armamenti, tattiche e strategie), i metodi di controllo e manipolazione dell'informazione adottati dal potere politico e militare, l'avvento di nuovi mezzi di informazione (dai giornali alle televisioni a internet), le pratiche professionali dei reporter.
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Economia e società, educazione e mentalità, letteratura e architettura, arte e ideali di vita: questi i grandi temi scelti da Cyril Mango per presentare la civiltà bizantina (324-1453 d.C.). «Mi interessava prestare attenzione a ciò che i bizantini pensavano – pensavano a proposito di se stessi e degli altri, del passato e del futuro, di come si debba vivere la vita». Come in un trittico, tre ‘tavole’ guidano il lettore. Nella prima Cyril Mango delinea i principali aspetti della vita dei bizantini: popoli e lingue, società ed economia, scomparsa e rinascita delle città, i dissenzienti, il monachesimo, l’istruzione. Nella seconda, descrive il corpus di credenze comuni al bizantino ‘medio’: il suo rapporto con le potenze del bene e del male, il suo posto nella natura, nella storia, il suo atteggiamento nei confronti degli altri popoli, il suo ideale di umanità. Nell’ultima, illustra i lasciti maggiori di Bisanzio: la letteratura, l’arte e l’architettura.
Indice
Premessa all’edizione italiana - Nota del curatore - Prefazione - Introduzione - PARTE PRIMA ASPETTI DI VITA BIZANTINA - I. Popoli e lingue - II. Società ed economia - III. Scomparsa e rinascita delle città - IV. I dissenzienti - V. Il monachesimo - VI. L’istruzione - PARTE SECONDA IL MONDO CONCETTUALE DI BISANZIO - VII. Il mondo invisibile del bene e del male - VIII. L’universo fisico - IX. Gli abitanti della terra - X. Il passato dell’umanità - XI. Il futuro dell’umanità - XII. La vita ideale - PARTE TERZA L’EREDITÀ - XIII. La letteratura - XIV. L’arte e l’architettura – APPARATI - Bibliografia - Cronologia - Indice analitico
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Esiste un ‘costituzionalismo’ prima delle Costituzioni? Le origini di questo concetto possono essere rintracciate nella Roma antica? Mario Pani individua nelle fonti antiche un vasto repertorio di dati che si pongono nell’area concettuale del ‘costituzionalismo’ e riservano al lettore più di una sorpresa. Nella Roma repubblicana è possibile riscontrare molta materia che qualifica l’attuale dettato costituzionalistico del mondo occidentale. In una fase di dibattito storiografico sulle matrici, lungo un percorso fra nozioni antiche e moderne, emergono qui i germi della storia di un’idea.
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Prefazione - Introduzione Il costituzionalismo moderno - 1. La «pólis», la legge, la natura - 2. Le strade che portano a Roma - 3. Il controllo istituzionale - 4. Lo Stato e l’individuo - 5. I fondamenti teorici costituzionalistici - Epilogo - Riferimenti bibliografici
«Il carattere nazionale è stato un elemento centrale delle riflessioni di una parte importante del mondo intellettuale e politico dal Risorgimento alla Repubblica, e il discorso sui vizi degli italiani è stato anche parte integrante della lotta politica, nel senso che è stato regolarmente messo in campo e utilizzato come strumento nella battaglia per la definizione della nazione».
Dai patrioti risorgimentali che volevano che gli italiani prendessero in mano il loro destino, al fascismo che voleva trasformarli in una massa disciplinata e militarizzata, fino all’Italia postbellica, in ogni epoca il discorso sul carattere nazionale ha assunto toni e contenuti differenti. Nel corso del tempo le analisi dell’ ‘italianità’ hanno contribuito a richiamare l’attenzione sulla vita pubblica e la qualità della cittadinanza, ma sono anche state utilizzate dai nazionalisti per i loro scopi sciovinistici, oppure sono servite da alibi per nascondere responsabilità precise. Ricorrenti autostereotipi negativi hanno continuato a circolare anche quando si inventavano le narrazioni dei ‘primati’ o della ‘brava gente’. Ma può esserci davvero una speranza di cambiamento se il carattere di un popolo si percepisce in questo modo e se il passato ha lasciato su di esso un’impronta quasi ‘genetica’ ? Come ben ricostruisce Silvana Patriarca, «l’idea del carattere nazionale ha un fardello ideologico troppo pesante ed è troppo semplicistica per essere il veicolo di considerazioni critiche. In ogni comunità, e specialmente nelle nostre società sempre più globalizzate, il lavoro di autocritica e di esame di coscienza collettivo richiede un vocabolario diverso e più complesso. Le sfide dell’Italia multiculturale che viene emergendo richiedono nuove forme di discorso pubblico, meno autoreferenziali e più aperte al mondo esterno. La creazione di una società più inclusiva e più aperta non sarà possibile senza una riconsiderazione critica di vecchi miti nazionali e abitudini discorsive».
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Introduzione - Ringraziamenti - I Ozio e rigenerazione - II Formare cittadini di carattere - III Individualismo latino: il carattere nazionale nell’età dell’imperialismo - IV Tra «prove» e «rivelazioni»: virtù della guerra - V «Una sostanza difficile da modificare» - VI «Autobiografie» della nazione - VII «Brava gente»? - VIII «Gli italiani sono fatti così» - Conclusioni - Bibliografia - Indice dei nomi
Vero laboratorio della modernità, l’Illuminismo appare nelle pagine di Vincenzo Ferrone nella sua autentica natura di nuovo umanesimo consapevole della finitezza dell’essere umano. Progetto culturale ed emancipatorio destinato a ridefinire tutti i saperi e in particolare la politica con l’invenzione del linguaggio dei diritti dell’uomo, il mondo dei Lumi ha sempre subìto e continua a subire feroci attacchi all’insegna della mistificazione. Queste lezioni, frutto di un corso tenuto al Collège de France, oltre a definire i caratteri originali dell’Illuminismo, mirano anche a smascherare le ragioni ideologiche, filosofiche e teologiche di quegli attacchi e a rilanciare l’ambiziosa sfida di una modernità fatta dall’uomo per l’uomo.
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È possibile pensare ai richiedenti asilo, ai corpi occupati dei palestinesi, ai profughi e ai clandestini senza distogliere lo sguardo dalle differenze e ricondurre le loro biografie al solo stato di ‘rifugiati’? Le matrici sociali e storiche della sofferenza, della memoria e del lutto possono essere pensate senza ridurre il dolore di queste donne e questi uomini entro il perimetro di un meccanismo psichico già scritto, di un solo concetto: ‘trauma’? Roberto Beneduce interroga modelli e categorie che, all’ombra della retorica umanitaria e del sapere psichiatrico, ignorano spesso differenze, responsabilità e ruoli e lasciano irrisolta la questione dell’impunità di chi si è reso colpevole di sofferenze e umiliazioni. L’antropologia e la clinica fanno qui dialogare gli enigmi dell’oblio e della memoria, del trauma e della cura sul terreno di una Storia contesa.
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Introduzione - Per un’antropologia del sottosuolo - 1. «La questione» - 2. Scienze della memoria ed «esorcismi moderni» - 3. Edipo non abita la Storia - 4. Testimoni e vittime fra narrazione, retoriche umanitarie e ripetizione - 5. Le vertebre spezzate del tempo - 6. Memorie smembrate e Corpi Occupati - 7. Un Dio che aiuti a dimenticare? - Riferimenti bibliografici - Indice dei nomi
Un grande affresco del Risorgimento attraverso i suoi documenti più importanti e suggestivi, avendo come guida le acute presentazioni di Denis Mack Smith. Dagli anni della Rivoluzione francese alla morte di Cavour, in questo libro troveremo gli scritti e le testimonianze di Filippo Buonarroti ed Eleonora de Fonseca Pimentel, Metternich e Manzoni, Mazzini e Garibaldi, Gioberti e Pio IX, Carlo Alberto e Carlo Pisacane, Vittorio Emanuele II e Cavour, Giuseppe Massari e Carlo Cattaneo. Pagine intense il cui filo conduttore sono le passioni politiche, le ambizioni personali, gli ideali dei popoli e gli interessi dei singoli, le aspirazioni rivoluzionarie, le vittorie e le sconfitte da cui è nata l’Italia unita. Il risultato è un’immagine viva e brillante di un periodo che ha profondamente trasformato una penisola in una nazione.
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Introduzione - I. Il periodo rivoluzionario e il periodo napoleonico: 1790-1814 - II. La restaurazione: 1814-1820 - III. Il sistema di Metternich e i suoi oppositori: 1815-1822 - IV. Cultura e istruzione - V. Mazzini e i rivoluzionari - VI. Politica reazionaria degli anni 1830-1840 - VII. Gioberti e il neoguelfismo - VIII. Balbo e i moderati - IX. Sicilia e Sardegna: società – rurali - X. L'economia di Napoli e dell'Italia meridionale - XI. L'Italia centrale e il suo sviluppo economico - XII. Lombardia, Piemonte, e l'inizio del decollo industriale - XIII. Idee a favore di una più stretta integrazione economica - XIV. 1845-1847: gli anni decisivi - XV. L'iniziativa siciliana: 1848 - XVI. La guerra: 1848 - XVII. Il fallimento politico: 1848 - XVIII. Disfatta militare: 1848 - XIX. Vittorio Emanuele e D'Azeglio: 1849-1852 - XX. Cavour e il «connubio» - XXI. Conflitti ideologici dopo il 1852 - XXII. La guerra di Crimea - XXIII. Il congresso di Parigi e dopo - XXIV. L'estrema sinistra - XXV. La Società Nazionale, le leggi sulla stampa e Orsini - XXVI. Plombières e i negoziati con la Francia - XXVII. Preparativi di guerra - XXVIII. Cavour provoca l'ultimatum austriaco - XXIX. Il Piemonte nel corso della guerra del 1859 - XXX. Villafranca e dopo - XXXI. L'annessione dell'Italia centrale - XXXII. Cavour cede alla Francia Nizza e la Savoia: 1860 - XXXIII. Garibaldi conquista la Sicilia e Napoli: 1860 - XXXIV. L'unificazione - XXXV. Cavour inaugura il Regno d'Italia - XXXVI. Il problema delle regioni - XXXVII.La questione meridionale - XXXVIII.La questione romana - XXXIX. L'Italia alla morte di Cavour
«La violenza maritale è stato un elemento fisiologico e accettato del matrimonio, legalmente fino a tutto l'Antico Regime, socialmente ben oltre. E occorre ovviamente tener sempre presente che il 'sommerso' in questa materia fu – un tempo come e più di oggi – di enormi dimensioni, anche se le mogli d'Antico Regime non erano affatto inerti dinanzi alle vessazioni coniugali, e anche se le istituzioni medievali e moderne furono spesso tutt'altro che svagate nell'affrontarne gli abusi più eclatanti. Quel che resta di tanti 'inferni coniugali' nelle loro formulazioni giudiziarie rappresentò – un tempo come e più di oggi – la punta di un iceberg. Dietro alle mura domestiche si occultò un'infinità di violenze, talora gravi, talora modeste, talora nemmeno avvertite come tali e accettate con rassegnato fatalismo. Un certo modo di intendere la violenza coniugale è, sul piano formale, definitivamente tramontato, ma sulle leggi continuano a piovere le meteoriti sociali del vecchio ordine.»
Marco Cavina interpreta le fonti dottrinali (i teologi, i precettisti morali, i giuristi, i politici), consulta le fonti letterarie e quelle processuali, le confronta con la cultura dominante dal Medioevo in poi per esaminare gli ambiti nei quali maggiormente la violenza si è manifestata, facendoci scoprire l'anima nera del matrimonio dietro lo stereotipo tranquillizzante dell'armonia del focolare.
"'Fascismo di confine' è la formula di grande pregnanza simbolica con cui il fascismo costruisce la propria identità alla frontiera nord-orientale d'Italia. Il confine orientale è esibito agli occhi della nazione come luogo per eccellenza in cui la patria si riconosce: da quella sorgente, che si veste di sacralità, essa può trarre la sua forza, le sue potenzialità espansive verso l'Europa centro-orientale e i Balcani, i suoi diritti di conquista, la sua tenacia difensiva contro il nemico interno ed esterno. Alla fine della Grande guerra, le 'terre redente' rappresentano un sacrario a cielo aperto per tutti i simboli del passato irredentista e dell'epopea bellica che vi sono inscritti: a essi, durante tutto l'arco del ventennio, il fascismo attinge per costruire la sua storia e le sue ritualità. Qui si tocca con mano la reinvenzione della tradizione e la nascita di una nuova cultura politica di cui il regime si fa portatore." Annamaria Vinci analizza, a partire dal 1918 e fino alle soglie della seconda guerra mondiale, i percorsi politici e sociali di una periferia laboratorio': qui la vicenda fascista elabora in modo esasperato una violenza politica straordinaria, che introietta nelle persone uno stato d'animo di aggressività e bellicosità che si prolunga negli anni. Il nodo cruciale del rapporto tra maggioranza e minoranze nazionali, che in tutta Europa è giocato con estrema difficoltà, ha al confine orientale il suo maggiore 'esempio italiano'.
Esistono storie, nella lunga vicenda italiana, che si fa fatica a raccontare. Che restano nascoste, sepolte quasi dall'oblio. I lunghi secoli della presenza musulmana nella Penisola è una di queste storie. Più di quattrocento anni, dall'inizio del IX secolo al 1300: materia poco interessante, dominio quasi assoluto di uno sparuto gruppo di specialisti. Eppure, si tratta di un tempo particolare. Un'epoca in cui gran parte della Penisola è più Oriente che Occidente, più Africa ed Asia che Europa, estrema propaggine, civilizzata ed evoluta, di un mondo che, tutto intero, andava da Cordova alla rive del Gange. Un'Italia per molti versi scomoda, dove tante generazioni vissero e pregarono lo stesso Dio da orizzonti diversi. Un mondo che questo libro cerca di recuperare, con una narrazione che abbraccia un orizzonte geografico che va dalla Sicilia alfa Campania, passando per la Puglia e la Calabria, posto all'intersezione di culture, costumi, mentalità, credenze contrapposte, sempre in conflitto tra loro ma che, talvolta, convissero, alla ricerca di un comune equilibrio e di un rispettivo spazio di tolleranza e sopravvivenza. Amedeo Feniello traccia con scrittura brillante il profilo di un universo che non è Europa, ma qualcosa di diverso. Nel quale energia e sviluppo, intraprendenza e spirito di progresso arrivano dal mare, dalle coste contrapposte alla Penisola e non da nord, cioè dall'interno di un Continente che, a lungo, in questa storia, resta in pratica assente.
Da oltre duemila anni, Atene rappresenta molto più che una città nell'immaginario occidentale. Il secolo compreso tra le riforme di distene (508) e la morte di Socrate (399) è diventato modello universale, insieme politico e culturale. Politico perché si ritiene che ad Atene sia stata inventata la democrazia, cioè il regime istituzionale e di governo oggi più diffuso nel mondo. Culturale perché ad Atene fiorirono filosofia, storia, teatro, letteratura, arte e architettura che ancora oggi consideriamo riferimenti obbligati. "Il mondo di Atene" riporta la città alla sua storia, incrinando la sua immagine idealizzata e restituendocela così come emerge dalla ricchezza delle fonti contemporanee. Luciano Canfora smonta la macchina retorica su Atene, dimostrando che i critici più radicali del sistema furono proprio gli intellettuali ateniesi. Eventi centrali dell'intera narrazione sono la parabola dell'impero marittimo ateniese sconfitto da Sparta, la lacerazione che esso determinò nel mondo greco fino a coinvolgere il regno di Persia, la rinascita dell'impero nella medesima area geo-politica, la sua crisi e l'esito inedito, rappresentato dal trionfo dell'ideale monarchico realizzato dall'egemonia macedone.