
Il 12 settembre 1919 un poeta, alla testa di duemila soldati ribelli, conquista una città senza sparare un colpo. Vi rimarrà oltre un anno, opponendosi alle maggiori potenze sotto gli occhi di un mondo ancora sconvolto dalla Grande Guerra. Lo scopo di Gabriele d'Annunzio e dei suoi legionari non era solo rivendicare l'italianità di Fiume: il Vate sognava di trasformare la sua «Impresa» in una rivoluzione globale contro l'ordine costituito, e nell'avveniristica Carta del Carnaro - una costituzione avanzatissima - teorizzò un governo della cosa pubblica lontano da quello dello Stato liberale, socialista, fascista. Per sedici mesi Fiume fu teatro di cospirazioni, feste, beffe, battaglie, amori, in un intreccio diplomatico e politico sospeso tra utopia e realtà. Militari, scrittori, aristocratici, industriali, femministe, sovversivi, politici, ragazzi fuggiti di casa componevano l'esercito del «Comandante», inconsapevoli di quanto avrebbero influenzato l'immaginario del Novecento. Nelle luci e nelle ombre dell'Impresa ritroviamo, a distanza di cento anni, molti aspetti del mondo di oggi: la spettacolarizzazione della politica, la propaganda, la ribellione generazionale, la festa come mezzo di contestazione, la rivolta contro la finanza internazionale, il conflitto tra nazionalismi, il ribellismo e la trasgressione. Mussolini, che a Fiume tradì d'Annunzio, saccheggiò quell'epopea adottandone la liturgia della politica di massa: i discorsi dal balcone, il dialogo con la folla, il «me ne frego», l'«eia eia alalà», riti e miti: così l'Italia democratica ha voluto dimenticare che la «Città di Vita» fu anzitutto una «controsocietà» sperimentale, in contrasto sia con le idee e i valori dell'epoca sia - e tanto più - con quelli del fascismo. Eppure, se molti legionari aderirono al regime, come Ettore Muti, molti altri furono irriducibilmente antifascisti, confinati o costretti a morire in esilio, come il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. Giordano Bruno Guerri ricostruisce quei sedici mesi attraverso migliaia di documenti custoditi negli Archivi del Vittoriale, intrecciando la grande storia con le vicende degli uomini e delle donne che hanno vissuto quell'irripetibile avventura, e portando alla luce un aspetto inedito della poliedrica personalità dell'uomo che ne fu l'ispirato animatore e l'indiscusso protagonista.
Tra il 1935 e il 1945 l'Italia fu in guerra senza interruzioni in Etiopia, Spagna, nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa settentrionale, in Russia. Dal 1935 al 1941 il governo italiano dichiarò guerra a: Etiopia, Spagna, Albania, Gran Bretagna, Francia, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica, Stati Uniti. In questo libro, la sintesi aggiornata e completa di questi conflitti. Una storia militare che mette in luce la continuità tra la politica fascista e il ruolo che le forze armate ebbero nel tradurre in atti concreti la ricerca di potenza nazionale: il principale scopo e giustificazione della dittatura mussoliniana.
Il contributo più innovatore di Fernand Braudel ha dato agli studi storici è senza dubbio lo sforzo di capire e interpretare i fenomeni di lunga durata. In "Civiltà materiale, economia e capitalismo", lo studioso francese ha approfondito la sua visione della storia, quasi prendendo a pretesto le vicende di quattro secoli per analizzare nelle sue diversa complessità e contraddizioni il passato, collegarlo strettamente al presente e rileggerlo in chiave antropologica. In questo volume l'avventura dell'uomo è ricostruita attraverso il cibo che i diversi paesi offrono o che dal lavoro umano sono messi in grado di offrire, le bevande, i tipi di abitazione, l'abbigliamento, gli ausili diversi per dare alle società un fondamento materiale solido.
Gli anni tormentati del post-terrorismo e del craxismo, della corruzione e della mafia, la drammatica crisi del 1992-93, la lunga corsa per entrare nell'Europa monetaria: dietro la cronaca dei fatti le scosse di un terremoto profondo che ha cambiato la vita pubblica e le abitudini degli italiani. Nato come ampliamento del volume "Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi", questo nuovo libro di PauI Ginsborg si è via via trasformato in un'autonoma e approfondita ricerca sull'Italia, dal 1980 al 1996. Nella ricostruzione dell'autore, i dati dell'economia (il nuovo corso del capitalismo italiano tra disoccupazione e avanzata del terziario) sono considerati in parallelo con i fatti della politica (la crisi dello Stato centralista e burocratico, il ruolo della magistratura) e con la formazione di una nuova società civile. A sua volta il tema della famiglia, che percorre tutto il libro, è indagato a partire da un'analisi dei consumi, dei gusti e della cultura della gente.
Le voci di centocinquanta testimoni, tra poeti, viaggiatori, filosofi, esploratori, eruditi, pellegrini, avventurieri di ogni nazionalità ed epoca, accostate come in un mosaico variegato e scintillante, compongono l'eterno «romanzo» di Costantinopoli. Da Procopio a Le Corbusier, da Paolo Silenziario a Mandel'stam, da Psello a Dos Passos, da Anna Comnena a Flaubert, da Ibn Battuta a Gide, da Gilles a Loti, da Grelot a Melville, da Andersen a Cocteau, da Chateaubriand a Fermor, da De Amicis a Mark Twain, da Byron a Yeats, da Nerval a Pamuk, narrazioni e descrizioni si snodano attraverso la Roma d'Oriente in dieci percorsi: un inconsueto itinerario topografico che è anche un viaggio nel tempo e nei segreti di un'eredità storica, artistica e culturale, quella bizantina. Ogni percorso è illustrato da una mappa-itinerario e da un'introduzione scientifico-narrativa ai monumenti e ai luoghi, che fornisce anche indicazioni precise per rintracciarli nel «labirinto» dell'antica Città. Un breve apparato di note, un'indispensabile quanto aggiornata bibliografia e un supplemento biografico con i profili di tutti gli autori convocati completano il volume, corredato inoltre da piú di centocinquanta immagini tra disegni, incisioni, foto d'epoca e mappe.
«L'intera nottata era stata tempestosa, con scrosci di pioggia. All'alba il sole lottava con le nuvole e la nebbia. Dietro di noi il Mar di Marmara sollevava spumeggianti onde verde scuro. Ma davanti a noi, come una Venezia costruita dalla fantasia, potevamo vedere la grande Costantinopoli».
Hans C. Andersen
«La statua di Atena si elevava su una colonna nel Foro di Costantino a un'altezza di quasi trenta piedi e indossava una veste di bronzo. Sul capo incombeva un cimiero alto e terribile. I riccioli che ricadevano dalla fronte erano raccolti in una crocchia sulla nuca. La mano sinistra sollevava un lembo della veste, l'altra era protesa verso sud».
Niceta Coniata
«Con che grazia si disgrega la vostra bellezza! La lebbra che rode i vostri mosaici imita le venature del marmo che li incornicia.
Li si vede apparire come correnti d'aria, frammenti di figure, mani, le vesti volanti. E questa vergine drappeggiata di polvere di carbone, e questa polvere d'oro delle cupole, e questa colla d'oro in cui i vostri angeli impigliano le ali».
Jean Cocteau
«Santa Sofia è una collina informe di pietre accumulate e sormontate da una cupola, che brilla al sole come un mare di piombo».
Alphonse de Lamartine
Nei sette secoli precedenti l'arrivo dello stile gotico (dal VII al XIII secolo), l'arte occidentale ha dialogato con il modello artistico bizantino: è come se per evolvere il proprio linguaggio fosse andata a scuola dai maestri Bizantini. Questo libro, frutto di un ciclo di lezioni tenute in America e accompagnate da un apparato iconografico, è un tentativo di individuazione del debito occidentale verso Bisanzio. Otto Demus non si limita all'individuazione di imitazioni superficiali, ma si concentra sulle fonti di ispirazioni stilistiche e sulla trasmissione della tradizione ellenistica attraverso l'intermediazione dell'arte bizantina. Una sintesi non solo delle riflessioni maturate nell'arco di un cinquantennio dal grande studioso, ma anche di tutti i principali risultati presentati e discussi in diverse sedi da molti suoi illustri colleghi. Lo storico viennese si sofferma anche sulle modalità della mediazione: importazione di opere, contatti culturali e spostamenti di artisti.
Poche città al mondo vantano caratteristiche simili a quelle di Pechino, capitale quasi ininterrottamente per più di mille anni, sede dell'impero mongolo, degli imperatori delle dinastie Ming e Qing e palcoscenico degli avvenimenti salienti dell'era comunista; una metropoli di più di quindici milioni di abitanti, al centro di un immenso e caotico sviluppo economico e commerciale. Questo volume ne offre per la prima volta una storia completa dai tempi della fondazione a oggi. Mette a fuoco la vita quotidiana, le istituzioni e gli apparati di potere e considera la controversa distruzione di interi quartieri e la febbrile costruzione di nuove zone residenziali e commerciali: intense mutazioni urbanistiche imposte dalle accelerazioni dell'economia e in vista delle prossime Olimpiadi. Il volume è accompagnato da riproduzioni artistiche e fotografie assai originali, che documentano aspetti particolari del passato e del presente della città.
Il Novecento cinese è stato molte cose: guerra e pace, lotta contro la miseria e l'arretratezza e per lo sviluppo e la modernizzazione, sforzo per recuperare l'identità perduta e per forgiarne una nuova, impegno per la rinascita della nazione e per un suo ruolo centrale in ambito regionale e internazionale. Tuttavia, il Novecento è stato innanzitutto il "secolo delle repubbliche": la Repubblica di Cina nata nel 1912, quella dei "signori della guerra", quella nazionalista, la repubblica dei soviet, la Repubblica nazionalista di Chongqing e quella comunista delle "basi" anti-giapponesi, e infine la Repubblica Popolare Cinese del 1949 e la Repubblica di Cina a Taiwan, la quale ultima è stata riconosciuta come tale da larga parte del mondo ma che nell'ultimo trentennio ha visto ridurre fortemente il proprio ruolo politico e diplomatico internazionale, pur conservando una consistente e dinamica presenza economica, commerciale e culturale negli affari internazionali.
Il libro si basa su documenti statunitensi di varia provenienza (Dipartimento di Stato, Cia, Casa Bianca, biblioteche e fondi presidenziali: Johnson, Nixon, Ford, Carter) che contribuiscono a ricostruire le relazioni tra i due paesi. La dialettica non è solo tra le due sponde dell'Atlantico ma condiziona i due campi, attraversa i protagonisti, divide le diverse istituzioni coinvolte. Sintetizzare il confronto riconducendolo alle espressioni "gli Usa, l'Italia" o "il governo degli Stati Uniti, il governo italiano" rischia di semplificare un quadro di voci articolato e plurale, composto da differenti funzioni e responsabilità, da uomini coinvolti all'interno di organismi complessi e segnati dalla logica bipolare. Vengono meno le lenti deformanti di una contrapposizione ideologica e manichea tra ingerenza statunitense - talvolta declinata con le categorie dell'eterodirezione o della dietrologia - e autonomia delle classi dirigenti italiane, a difesa di una presunta peculiarità nel panorama dell'Europa post bellica. Gli anni Settanta rappresentano un fecondo punto di osservazione della rottura di rapporti consolidati, della crisi dei modelli di riferimento e della ricerca di nuove strade.
L'immagine dell'Impero britannico oscilla nella Storia. A seconda del continente e dell'epoca che vengono presi in esame, cambiano l'immagine e i criteri d'interpretazione. Troppo diversi furono i territori e i popoli dominati in modi diversi dagli inglesi. Pirati in cerca di bottino, mercanti spassionati, intrepidi navigatori e scopritori, sfruttatori nelle piantagioni e mercanti di schiavi, militari ottusi e missionarie idealiste, malviventi deportati dal suolo londinese e infaticabili allevatori, politici visionari e semplici funzionari di distretto contribuirono tutti insieme a plasmare progressivamente, nel corso dei secoli, uno dei piú grandi domini della storia mondiale contrapponendosi o collaborando con i sudditi che, a loro volta, fornirono un contributo decisivo nell'edificazione dell'impero.
Come sempre e ovunque nella Storia, a fronte dei successi dei vincitori e dei guadagni degli approfittatori stanno i destini delle innumerevoli vittime, gli sconfitti e gli sfruttati, gli indigeni perseguitati fino all'annientamento fisico come gli indiani dell'America settentrionale o gli abitanti della Tasmania, i milioni di schiavi neri, ma anche i soldati britannici che perirono di febbre gialla e altre malattie tropicali a Santo Domingo, tra il 1793 e il 1798.
Peter Wende, specialista di storia inglese di fama internazionale, offre al lettore una vasta e sfaccettata rappresentazione della storia politica, commerciale, militare dell'Impero inglese, dall'ascesa della Gran Bretagna a potenza navale e commerciale nella prima età moderna al consolidamento di un impero coloniale esteso su tutto il globo tra il XVIII e il XIX secolo, alla sua dissoluzione e trasformazione in Commonwealth dopo la fine della prima guerra mondiale.
Fondato sulle più recenti acquisizioni della ricerca, il volume offre un affresco completo della storia greca dalle origini all'età romana, in una sintesi chiara e rigorosa, condotta con stile efficace e piacevole. La puntuale esposizione degli eventi, nel loro sviluppo sincronico e diacronico, si accompagna ad approfondimenti tematici, in cui la riconosciuta competenza dell'autore in ambito storico ed epigrafico consente di mettere a frutto - e a disposizione dei lettori - i risultati delle indagini specialistiche, arricchendo la ricostruzione e l'interpretazione storica. Dall'analisi delle testimonianze antiche, dalla valutazione dei problemi ancora aperti, dalle sfide attuali della ricerca emerge il fascino di una civiltà straordinaria che, pur nella varietà delle esperienze vissute e pur adattandosi nel tempo e nello spazio alle più diverse condizioni, seppe sempre custodire il senso profondo della sua identità. Anche per questo, la storia del mondo greco antico continua a nutrire la riflessione dell'Europa sulle proprie radici e sul proprio futuro
Nonostante la montagna in Italia goda di una centralità geografica (con il 35 per cento del territorio, a cui si somma il 42 della collina), essa è rimasta marginale nella storia e nella memoria del Paese. Eppure, a partire dall'unificazione del 1861, i regimi statali hanno nazionalizzato le montagne "ridefinendo i confini tra selvatico e addomesticato, razionale e irrazionale, bello e brutto" e ne hanno fatto non solo una risorsa, ma anche un simbolo delle conquiste del nostro Paese. Dai campi di battaglia della Prima guerra mondiale alla contraddittoria politica di rimboschimento del regime fascista, compressa tra repressione e celebrazione dei montanari; dalle proteste dei No TAV in Val di Susa alla modernizzazione idroelettrica che, cinquant'anni fa, portò alla "strage annunciata" del Vajont, il libro di Marco Armiero ci restituisce - con la prosa di un romanzo - una storia di appropriazione e resistenza, di modernizzazione e marginalità, troppo spesso cancellata dalle narrazioni ufficiali. "Se il mio libro fosse riuscito almeno un po' a contribuire a questa memoria resistente, allora sarebbe per me un buon risultato".

