
Negli ultimi anni della sua vita, Niceta Coniata, che aveva occupato posti di rilievo nella burocrazia bizantina, abitò a Nicea. L'impero era crollato (1204): i Latini si erano divisi le spoglie di Bisanzio; e, nell'abbandono e nella desolazione, Niceta raccontò ciò che aveva visto e appreso, con un odio, una furia e una ferocia, che fanno della seconda e terza parte di "Grandezza e catastrofe di Bisanzio" uno dei capolavori sconosciuti della letteratura universale. Il mondo non era altro che male: violenza, malvagità, sfrenatezza, oscenità erotica, corruzione, stereo, rovina. Come uno dei grandi storici del potere, Niceta Coniata rappresentò la tirannia che degradava e contagiava il mondo: raffigurandola soprattutto nel meraviglioso ritratto di Andronico, questo malvagio vestito di viola, scaltro, cialtrone, lacrimoso e teatrante, che possedeva la stessa disperata fantasia nel male dei grandi malvagi di Shakespeare. Rappresentò la turbolenta e crudelissima plebe di Costantinopoli, che massacrava poveri e imperatori; e gli "stramaledetti Latini", gli spavaldi e boriosi Normanni, che assalivano le città greche. Dovunque, in cielo, c'erano segni sinistri. Niceta Coniata interrogava e cercava la presenza di Dio nella storia: avvertiva in ogni istante il mistero religioso della realtà; ma da ogni parte il Cielo gli rispondeva che non c'era salvezza: o almeno non c'era speranza per lui. "Grandezza e catastrofe di Bisanzio" è uno spettacoloso racconto teatrale, di cui Niceta era insieme il narratore e il regista. Impregnava tutte le cose con il suo odio: ma l'odio, tra le sue mani di grande letterato, diventava furia visionaria, ossessione morale, splendore retorico, solennità metaforica, atroce precisione ritrattistica. Qualche volta, nei momenti in cui il genio di Niceta è più libero, abbiamo l'impressione che Tacito, Psello e Saint-Simon si siano fusi nella penna dell'antico burocrate bizantino.
Il secondo volume della "Grandezza e catastrofe di Bisanzio" è stampato nel classico testo a cura di Jan-Louis van Dieten, che l'autore ha rivisto e corretto per questa edizione. Mentre Riccardo Maisano aveva composto il complesso e vivace commento del primo volume, il commento del secondo è opera di Anna Fontani, che ha reso mirabilmente la densità, l'arcaismo e l'audacia espressiva di Niceta Coniata.
Morfologia e commento di Paolo Carafa e Maria Teresa D'Alessio.
Appendici di Paolo Carafa, Maria Teresa D'Alessio e Calo de Simone.
Roma è stata un'avventura unica nel mondo antico, e più tardi in quello medievale e moderno. «E chi» scriveva Plutarco, «vedendo la nascita, la salvezza, la crescita e il divenire adulto di Romolo, non direbbe subito che la Fortuna ne ha posto le fondamenta e il Valore vi ha costruito sopra?» Cicerone magnificava l'intelligenza che presiedette alla scelta del luogo: «Romolo scelse il luogo destinato alla città con incredibile accortezza, come deve fare chi cerca di creare uno stato destinato a durare. Infatti non si spinse verso il mare per invadere il territorio dei Rutuli o degli Aborigeni o fondare una città alla foce del Tevere: capì invece e vide con eccezionale preveggenza che i luoghi marittimi non sono i più adatti alle città che vengono fondate con la speranza che durino e dominino». Attorno alle origini di Roma i popoli che l'hanno costruita, subita, accettata e disprezzata hanno creato una complessa, affascinante leggenda: che i tre volumi lanciati ora dalla Fondazione Valla intendono ricostruire su basi nuove. Nel primo, poesia e storia sondano le vicende leggendarie di Alba Longa, di Numitore e Amulio, di Marte e Rea Silvia, della lupa e del picchio, dei gemelli allevati dai pastori Faustolo e Acca Larenzia, della fondazione della Roma Quadrata sul Palatino, della lite fra Remo e Romolo e dell'uccisione del primo. Romani e Greci collaborano nella mitopoiesi: c'è chi propone come padri i discendenti del troiano Enea, chi invece attribuisce la fondazione agli eredi del greco Ulisse. Fabio Pittore ed Ellanico, Esio-do ed Ennio, Virgilio e Ovidio, Livio, Dionisio di Ali-carnasso e Diodoro Siculo: tutti si interrogano sui primordi, la nascita e gli sviluppi di Roma. E ancora molti secoli dopo, quando ormai la città starà perdendo la sua grandezza e la sua potenza, gli echi della leggenda risuoneranno negli ultimi scrittori pagani e nei Padri della Chiesa: in Servio e nel Mitografo Vaticano, in Giustino, Gerolamo e Agostino. Viene qui presentata una grande raccolta di fonti annalistiche, antiquarie e poetiche divise per «mitemi» o unità mitiche fondamentali, e analizzate comparativamente alla ricerca dei «motivi canonici» fissati dalla tradizione e di una stratigrafia del mito confrontata con gli scavi archeologici. Sullo sfondo, alcune domande che ci intrigano. Come nascono i miti? Rispecchiano o no la realtà? E ancora. Da dove vengono il nome di Roma e di Romolo? E lui, Romolo, è davvero esistito? Ha poi fondato la sua città?
Indice - Sommario
Introduzione
Organizzazione dell'opera
Abbreviazioni bibliografiche
Fonti letterarie della leggenda di Roma
Figure e personaggi della leggenda di Roma
TESTI E TRADUZIONI
1. La nascita dei gemelli
2. Esposizione e salvazione dei gemelli
3. L'iniziazione dei gemelli e un rito di purifiazione-fecondita
4. La conquista di Alba e l'uccisione di Amulio
5. La fondazione della città
COMMENTO
1. La nascita dei gemelli
2. Esposizione e salvazione dei gemelli
3. L'iniziazione dei gemelli e un rito di purifiazione-fecondita
4. La conquista di Alba e l'uccisione di Amulio
5. La fondazione della città
APPENDICI
1. I nomi di Romolo e Remo come etruschi
2. Fratelli/gemelli, tra cooperazione e conflitto
3. I Lupercali
Completato il suo viaggio attraverso le regioni del Peloponneso (libri II-VIII), l’itinerario di Pausania prosegue con la Beozia, terra confinante con l’Attica da cui era partito (libro I). Nel libro IX, dunque, lo scrittore muove da Platea – dove la battaglia del 479 a.C., con la morte del comandante in capo persiano Mardonio e la vittoria della lega ellenica condotta dallo spartano Pausania, sancì la fi ne dell’invasione persiana della Grecia – e chiude con Cheronea – dove Filippo di Macedonia sconfisse nel 338 un esercito di città greche, che persero così per sempre la loro indipendenza –: due luoghi dal forte valore simbolico per tutta la grecità perché ad essi corrispondono due eventi cardine della storia greca. Domina il libro, però, Tebe, la capitale, con il suo tragico passato di lotte fratricide e odi insanabili. La Beozia, tuttavia, è anche la terra della poesia, della musica, degli oracoli e della mantica. E soprattutto dell’Elicona. Alle dee di questo monte, le Muse, alla loro origine e alla loro iconografi a è dedicata una trattazione specifica. Sulle pendici dell’Elicona, nel loro santuario, si trovavano le statue di poeti, musici e cantori: tra questi Esiodo, che proprio lì era nato, e del quale l’autore ricorda l’investitura poetica.
In questo volume - secondo dell'opera della Fondazione Valla sulle origini di Roma - la vicenda è quella del primo accrescimento della città. Racconta Livio che, poco dopo la fondazione, Roma era già così forte da eguagliare ogni popolazione confinante, ma "per la scarsità di donne la grandezza sarebbe durata solo una generazione". Allora Romolo architettò un inganno straordinario: predispose dei giochi grandiosi in onore di Nettuno Equestre, ordinando che se ne desse notizia fra i vicini. Fra di essi, con figli e mogli, i Sabini. Un tumulto sollevato ad arte durante lo spettacolo offrì il destro ai romani di precipitarsi a rapire le donne degli ospiti. Mariti e parenti umiliati si radunarono sotto Tito Tazio per rispondere a Roma con le armi. È la prima delle guerre romane del successivo millennio. Ma è anche l'occasione per stabilire una pace su basi nuove, con una lungimirante politica di assimilazione. Gli storici narrano che i romani si diedero a blandire in primo luogo le donne, promettendo loro cittadinanza, beni e prole, e giustificando l'atto con la passione d'amore. Poi, mentre infuriava la battaglia fra Romani e Sabini, le donne stesse s'interposero fra i combattenti, la pace fu stabilita, e di due popoli "si fece un popolo solo". Il volume presenta tutta la documentazione storico-mitica di questi primordi e ne offre un'interpretazione originale: dal ratto delle donne alla prima espansione militare fino alla pace finale con la diarchia Romolo-Tito Tazio.
Soldi, denaro, pecunia, schei, baiocchi, contanti, liquidi: comunque la si chiami, la moneta è di primaria importanza per qualsiasi forma di relazione umana. Per i cristiani è la radice di tutti i mali; per i generali, il nerbo della guerra; per i rivoluzionari, la catena che aggioga i lavoratori.
Per lo storico Niall Ferguson, invece, la moneta è fondamento del progresso, e la storia finanziaria è l'ossatura imprescindibile delle vicende umane, politiche e sociali. L'evoluzione del credito e del debito ha contribuito quanto l'innovazione tecnologica al successo di ogni civiltà, dall'antica Babilonia all'attuale Hong Kong. Le banche hanno fornito il presupposto dello splendore del Rinascimento e i mercati obbligazionari sono stati fattori decisivi nell'espansione o nella flessione economico-culturale di tutte le nazioni.
Con la consueta chiarezza e il piacevole stile narrativo, Ferguson racconta dell'ascesa della moneta e illustra le tappe salienti dell'evoluzione della finanza e del suo intrecciarsi con gli eventi politici, militari e socioeconomici. Ci spiega, per esempio, come la rivoluzione francese fu innescata dalla bolla speculativa creata da un pregiudicato scozzese, come una pessima gestione della finanza pubblica ha trasformato l'Argentina da sesto paese più ricco del mondo a prototipo di inflazione galoppante, e come la conversione finanziaria stia portando la Cina, il paese più popoloso del mondo, dalla povertà al dominio economico globale nell'arco di una sola generazione.
Politici, banchieri e uomini d'affari lamentano periodicamente l'ignoranza del pubblico in tema di denaro, e hanno ragione. Una società che affida al cittadino la responsabilità della gestione del reddito, del risparmio e degli investimenti che gli garantiscono il futuro deve fornire a ciascuno gli strumenti necessari a prendere oculate decisioni finanziarie.
Ecco allora che diventa essenziale conoscere il passato e apprendere i suoi insegnamenti. Non ultimo, che ogni bolla prima o poi scoppia, prima o poi i venditori ribassisti superano in numero i compratori rialzisti, prima o poi l'avidità si trasforma in panico e l'equilibrio si infrange.
Un libro fondamentale per capire le ragioni delle alterne vicende della moneta, in un momento di crisi globale e di ridefinizione del rapporto fra Stato e mercato, capitalismo e istituzioni finanziarie.
Attorno alle origini di Roma esiste una complessa, affascinante leggenda che l’opera della Fondazione Valla intende ricostruire su basi nuove. Essa si articola in quattro volumi (il primo uscito nel 2006; il secondo nel 2010; il quarto – La morte di Tito Tazio e la fine di Romolo – previsto per il 2012) e offre al lettore un’ampia raccolta di fonti (annalistiche, antiquarie e poetiche; da Esiodo ai Padri della Chiesa) divise per «mitemi» o unità mitiche fondamentali, e analizzate comparativamente alla ricerca dei «motivi canonici» fissati dalla tradizione e di una stratigrafi a del mito confrontata con gli scavi archeologici. Se il secondo volume, ripercorrendo le vicende del ratto delle sabine e della conseguente guerra romano-sabina, si concludeva con la riconciliazione fra i due popoli e la creazione di uno stato comune, il terzo volume è dedicato in maniera specifica e approfondita alla costituzione, che della vita comune è il fondamento: organizzazione civica ed esercito, divisione dei poteri e spartizione del territorio, e poi feste e costumi, riti, leggi e istituzioni che dagli eventi narrati traggono la loro origine.
Quando nel giugno 1812 Napoleone Bonaparte invade la Russia è convinto di dover affrontare truppe male armate e poco addestrate, guidate da un sovrano irresoluto, lo zar Alessandro I. Incontra invece una resistenza accanita, che lo costringe a una disastrosa ritirata, trasformando quella che doveva essere una marcia trionfale nella disfatta della Grande Armée. Dalla storia nota inizia il magistrale lavoro di Dominic Lieven sulla Russia contro Napoleone, che rende giustizia alle doti militari e alla lungimiranza strategica del sovrano russo e dei suoi generali, nonché all’eroismo e al valore dei suoi soldati e cavalleggeri. E illumina, specie sul versante russo, ogni elemento – economico, militare, logistico, diplomatico, spionistico – in un racconto rigoroso e al tempo stesso avvincente, che accompagna lo zar di tutte le Russie e i suoi eserciti anche nella controffensiva attraverso l’Europa, fino all’entrata in Parigi. In un libro memorabile, gli aspetti e i retroscena meno noti – ma decisivi – di una storia famosa.
Se nel 1492 qualcuno avesse rivelato ai sovrani di Spagna Ferdinando e Isabella anche solo la metà delle conseguenze che avrebbero avuto i viaggi di Cristoforo Colombo da loro finanziati, molto probabilmente sarebbe stato incarcerato come un volgare truffatore. Nessuno potè fare nulla, invece, contro la forza dirompente della realtà. Già a partire dal 1493, infatti, gli equilibri e gli assetti del pianeta furono letteralmente rivoluzionati: due mondi che, dopo la frattura geologica di 200 milioni di anni prima, erano rimasti estranei e ignoti l'uno all'altro, si incontrarono e si mescolarono, in un processo di reciproca osmosi e contaminazione che, da allora, è diventato sempre più intenso. Alla luce della storia ambientale, inaugurata da Alfred Crosby con il concetto chiave di "Scambio colombiano", e delle più recenti ricerche antropologiche, archeologiche e storiche, Charles Mann esplora la genesi e l'impetuoso sviluppo di questo "mondo nuovo", unico e globale, nato da un autentico terremoto ecologico. Le navi europee trasportarono oltreoceano - insieme ai coloni e, poi, agli schiavi - migliaia di specie botaniche sconosciute, e ne importarono altrettante. Il che spiega la presenza dei pomodori in Italia, delle arance in Florida, del cioccolato in Svizzera e dei peperoncini in Thailandia. Al traffico di piante e animali s'intrecciò poi la circolazione involontaria e clandestina di altre "creature" che ebbero quasi sempre effetti devastanti sull'ambiente e sulla salute...
Siamo, dunque, alla fine della leggenda sulle origini di Roma, quando Tito Tazio prima e Romolo dopo scompaiono dalla scena: ucciso, il primo, il Sabino, dai parenti inferociti di quegli ambasciatori di Lavinio che erano stati ammazzati da briganti amici di lui (ma il sospetto ricadde su Romolo, che poco dolore aveva mostrato per la morte dell'uomo che s'era associato nel governo); sparito, il secondo, dopo aver sconfitto Fidene e Veio, nel buio di un'eclissi o di un temporale: forse eliminato dai senatori irritati dal fare sempre più monarchico del fondatore, dalla sua arroganza tirannica; oppure asceso in cielo e divenuto un dio, Quirino: come Giulio Proculo dichiarò in pubblico gli avesse rivelato Romolo stesso, apparendogli dopo la morte sul Quirinale. Se "scomodissimo" fu per i Romani ricordare "il modo della nascita della città, fra inganni, uccisioni e gentaglia", non tanto più comodo deve essere stato per loro consacrare alla leggenda la fine delle origini. Il quarto volume della Leggenda di Roma porta a conclusione il grande lavoro di raccolta e interpretazione dei miti che i Romani stessi si sono tramandati per generazioni sull'inizio e i primi sviluppi della loro città: miti che costituiscono un aspetto essenziale della storia culturale, e perciò della storia tout court, dell'antica Roma. L'architettura del volume ha però struttura circolare: perché dopo esser giunto alla fine di Romolo, ritorna al principio, alla fondazione, e ne elenca gli artefici secondo le fonti.
Nel giugno del 1242, a Parigi, davanti a una folla urlante e a frati raccolti in preghiera, migliaia di pergamene inchiostrate recanti lettere ebraiche arsero sulle pire scoppiettanti diffondendo lungo le rive della Senna un dolciastro fetore animale. Sui roghi, innalzati per volontà di re Luigi IX il Santo, avvampavano le copie del Talmud. La parola di Dio, proprio come i corpi viventi che cadevano tra le braccia dell'Inquisizione, bruciava nelle fiamme. Iniziava così, per il Popolo del Libro, un'altra pagina della sua storia millenaria di sofferenze e persecuzioni. Eppure, come ci ricorda Simon Schama, docente alla Columbia University, questa storia non si consumò solo nel lutto e nelle fughe improvvise, nelle costanti minacce di annientamento e nell'oppressione. Quella del popolo ebraico è soprattutto una storia di resistenza, di creatività, di gioia. Una continua, e a tratti disperata, affermazione della vita sulle avversità più spaventose. In queste pagine si dipana quindi una straordinaria epopea, fatta di gente comune e di poeti, di autori biblici e medici illustri, di miniaturisti e mercanti, di cartografi e filosofi. Un caleidoscopio di microstorie in cui si accendono candele, si intonano canti, si affrontano viaggi perigliosi in terre incognite alla ricerca di spezie e pietre preziose, si studiano, si custodiscono e si perpetuano le parole del Libro. Un racconto che abbraccia millenni e continenti...
Ispirata dalla plastica contrapposizione fra la Torre del Mangia e la Piazza del Campo a Siena, potente metafora urbanistica delle due forme antitetiche in cui si è incarnato il potere nella società umana - quella verticale e centralistica delle strutture gerarchiche e quella orizzontale e distribuita delle reti -, la rilettura dell'età moderna e contemporanea proposta da Niall Ferguson è intesa a restituire al modello organizzativo «reticolare» quel valore di forza propulsiva del cambiamento che gli storici hanno a lungo misconosciuto o, comunque, sottovalutato. Pur prendendo nettamente le distanze dai teorici della cospirazione, che attribuiscono a élite e sette segrete (i massoni, gli Illuminati, i banchieri ebrei) il ruolo di effettivi manovratori delle leve del potere, Ferguson mostra come la storia umana sia caratterizzata dall'alternarsi di lunghe epoche segnate dal predominio delle gerarchie e di periodi più brevi, ma straordinariamente intensi e dinamici, di egemonia delle reti, favorite anche da radicali innovazioni tecnologiche. Guardando poi all'epoca moderna, l'autore considera più da vicino le due grandi «ere delle reti»: i tre secoli che dall'invenzione della stampa, dalle importanti scoperte geografiche e dalla Riforma sono culminati nel crollo dell'ancien régime a fine Settecento, e gli ultimi cinquant'anni che, a partire dagli anni Settanta del Novecento, hanno visto l'impetuosa espansione della tecnologia digitale e la rapida diffusione delle reti sociali odierne, che hanno letteralmente rivoluzionato la vita di gran parte dell'umanità. Ma al riconoscimento e alla rivalutazione del ruolo delle reti nella storia Ferguson associa, contestualmente, una sferzante critica dell'utopia libertaria di «netizen» liberi e uguali nell'ultrademocratico e paritario regime del web, che gli appare caratterizzato piuttosto dagli eccessi di violenza sui social e dall'estrema vulnerabilità a ogni tipo di propaganda, compresa quella terroristica, e a ogni forma di «fake news». Al punto che, per lui, solo il modello gerarchico può garantire un qualche principio di stabilità geopolitica perché «la lezione della storia è che affidarsi alle reti per governare il mondo è una ricetta perfetta per l'anarchia».
È dal 1967 che, con i suoi rapporti annuali, il Censis fotografa la realtà italiana, fornendo al pubblico uno strumento qualificato e completo per analizzare e interpretare i fenomeni, i processi, le tensioni e i bisogni del paese. Per Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis, ripercorrere il lavoro svolto in questi cinquant'anni non è solo ricordare quello che è avvenuto, ma anche «fare memoria» e fare autocoscienza collettiva di quel che siamo stati e di quel che siamo. È l'autocoscienza collettiva l'obiettivo principale di un istituto di ricerca da sempre privato, autonomo e indipendente. Uno scopo esplicitato soprattutto in quelle Considerazioni generali che hanno aperto ogni rapporto annuale del Censis: agili saggi, innovativi nel lessico e immaginifici nell'uso di metafore memorabili, che offrono le chiavi di lettura dei fatti raccontati dai dati statistici e dei processi sociali di lunga durata. Questo volume raccoglie in un testo organico e completo le Considerazioni scritte da De Rita nell'arco di mezzo secolo: scorrono tra le pagine gli anni della contestazione e del terrorismo, il sommerso e l'esplosione della piccola impresa, la crescita del ceto medio e la vitalità di una società «molecolare» il cui sviluppo si è propagato «dappertutto e rasoterra», tra la fine di un secolo e l'inizio di quello nuovo.

