
1944. Due ebrei slovacchi in fuga da Auschwitz portano con se' appunti dettagliati di quello che hanno visto. Era la prima prova concreta dell'esistenza dei Lager. Con saggio introduttivo di Alberto Melloni.
Negli ultimi venticinque anni, l'Afghanistan è stato teatro di operazioni segrete e azioni d'intelligence che hanno scosso in modo insanabile gli equilibri dello scacchiere internazionale. Un "Grande Gioco" che, a partire dall'invasione sovietica del 1979, ha avuto tra i suoi maggiori protagonisti la CIA, il Kgb, L'ISI del Pakistan e i servizi segreti dell'Arabia Saudita e ha favorito la creazione sul territorio afghano dell'embrione di Al Qaeda, dando in seguito a Osama Bin Laden la possibilità di allargare la propria organizzazione e di progettare l'offensiva terroristica culminata l'11 settembre 2001. Basata su numerosi documenti inediti, la ricerca di Coll svela tutti i retroscena del ruolo segreto svolto dalla CIA in Afghanistan: il suo programma nascosto rivolto contro le truppe sovietiche dal 1979 al 1989, l'ascesa dei Talebani con l'apparizione improvvisa di Bin Laden, gli sforzi per catturarlo e ucciderlo dopo il 1998.
Secolo di straordinarie scoperte scientifiche e fondamentali conquiste tecnologiche, il Novecento è stato anche il secolo delle grandi involuzioni: i sistemi totalitari hanno segnato in modo indelebile gli ultimi cento anni della nostra storia; i gulag e i lager nazisti sono impressi nella coscienza collettiva come luoghi simbolo del "male assoluto", della più brutale e inaccettabile sopraffazione dell'uomo sull'uomo. Uno dei maggiori storici del secolo appena passato, Ernst Nolte, analizza la storia europea tra le due guerre, mettendo in relazione tra loro bolscevismo e nazionalsocialismo e presentandoli come fenomeni interdipendenti, originati da un clima storico-politico comune.
L’ultimo rifugio di Sandokan era un bunker sotterraneo, protetto da tre mastini napoletani, in cui il boss ingannava il tempo dipingendo e leggendo libri su Napoleone e il regno delle Due Sicilie.
Alla sentenza d’appello del processo Spartacus i protagonisti di questo libro hanno totalizzato 16 ergastoli e 336 anni e tre mesi di reclusione.
Due dei giornalisti e scrittori che si sono occupati di Casal di Principe vivono sotto scorta.
Dopo l’esplosione dello scandalo delle discariche in Campania e la sentenza d’appello del processo Spartacus, i Casalesi sono balzati alla ribalta della cronaca. Come nel caso dei Corleonesi in Sicilia, il clan più potente e sanguinario della camorra non viene dalla città ma dalla campagna: il paese di Casal di Principe, in provincia di Caserta. E proprio un’alleanza organica con la mafia è all’origine del trionfo dei Casalesi, che incarnano lo spirito e i riti della vecchia camorra e insieme dimostrano una straordinaria capacità di adattarsi al presente. Fin dagli anni Ottanta hanno sviluppato un controllo paramilitare del territorio, esigono percentuali sulla vendita di droga, sulla prostituzione, sul gioco d’azzardo, esercitano estorsioni su ogni attività commerciale, si infiltrano in tutti gli appalti pubblici, governano gli investimenti immobiliari, diversificano le loro attività in settori che vanno dalle pompe funebri alla produzione di mozzarella di bufala fino al calcio, riciclano milioni di euro e si arricchiscono col business dei rifiuti tossici e delle discariche abusive, allargando sempre più la loro influenza in Italia e nel mondo; e tutto questo in mezzo a delitti eccellenti, lupare bianche, sanguinose guerre fra clan.
Attraverso documenti, atti giudiziari, testimonianze, cronache giornalistiche e una serrata ricostruzione storica, Gigi Di Fiore, che dalle pagine del “Mattino” segue anche le vicende di quella “periferia della periferia dimenticata”, compone con L’impero il primo racconto complessivo di un’agghiacciante realtà criminale che ha superato i confini della cronaca nera ed è diventata un vero e proprio cancro sociale.
Nel XX secolo la Russia è stata oggetto di un tragico esperimento di riduzione della persona all'ideologia, e di un altrettanto straordinario processo di resistenza dell'io umano alla violenza del potere. Le storie scelte costituiscono chiavi di lettura e aperture prospettiche su nodi della storia russa, rievocate attraverso personaggi che ne furono partecipi.
"Tutto mi riporta al campo. Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre nello stesso posto... Non si esce mai, per davvero, dal Crematorio." Sono parole di Shlomo Venezia, ebreo di Salonicco, di nazionalità italiana; è uno dei pochi sopravvissuti del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau, una squadra speciale selezionata tra i deportati con l'incarico di far funzionare la spieiata macchina di sterminio nazista. Gli uomini del Sonderkommando accompagnavano i gruppi di prigionieri alle camere a gas, li aiutavano a svestirsi, tagliavano i capelli ai cadaveri, estraevano i denti d'oro, recuperavano oggetti e indumenti negli spogliatoi, ma soprattutto si occupavano di trasportare nei forni i corpi delle vittime. Un lavoro organizzato metodicamente all'interno di un orrore che non conosce eccezioni: il pianto disperato di un bimbo di tre mesi, la cui madre è morta asfissiata dal gas letale, richiama l'attenzione del Sonderkommando, lo scavare frenetico tra i corpi inanimati, il ritrovamento e subito dopo lo sparo isolato della SS di guardia che ammutolisce per sempre quel vagito consegnandolo alla storia. Per decenni l'autore ha preferito mantenere il silenzio, ma il riaffiorare di quei simboli, di quelle parole d'ordine, di quelle idee che avevano generato il mostro dello sterminio nazista ha fatto sì che dal 1992 abbia incominciato a parlare, e quei racconti sono la base della lunga intervista che è all'origine di questo libro. Prefazione di Walter Veltroni.
L’avventura del Santo Graal
della cartografia:
il certificato
di nascita dell’America.
“Oltre alle tre parti conosciute dell’orbe terracqueo, ne esiste una quarta
che si estende al di là dell’oceano, e che ci è sconosciuta.”
— Isidoro di Siviglia (ca. 600 d.C.)
Stampata in mille copie nel 1507, scomparsa per secoli, ritrovata nel 1901 da un gesuita tedesco, e infine acquistata nel 2003 dalla Biblioteca del congresso per dieci milioni di dollari. Sembra la trama di un thriller ma è cronaca: la storia vera della mappa di Waldseemüller, la prima testimonianza a noi nota della parola “America” e una tra le prime rappresentazioni del mondo che indichino l’esistenza di una terra inesplorata e di un altro oceano fra Europa e Asia. Un’intuizione incredibile, dato che il nuovo continente sarebbe stato riconosciuto come tale solo nel 1513. Fu solo un caso? O Martin Waldseemüller e il suo collega Matthias Ringmann avevano accesso a documenti di esplorazioni precedenti, di cui oggi si è persa la memoria? Da questa domanda si dipana una saga affascinante che dai monasteri benedettini del Medioevo ci porta nel cuore dell’età delle scoperte, nel fermento intellettuale e politico di un tempo che cambiò letteralmente la faccia della Terra. Dalle pagine di Lester riemergono le voci di Cicerone, che descrisse un mondo circolare diviso in cinque zone, di Matthew Paris che poneva l’est in cima alla mappa, di Amerigo Vespucci i cui piccanti resoconti delle abitudini degli indigeni convinsero Waldseemüller a dare il suo nome al nuovo continente, e di moltissimi altri. In questo libro ricco e avventuroso sono gli stessi esploratori che salparono verso l’ignoto, e gli scienziati che con le loro intuizioni scardinarono i preconcetti della geografia, a guidarci alla scoperta di un mondo nuovo: il nostro.
Dall’Afghanistan al Nicaragua, dalla Liberia al Messico, dalla Cambogia a Cuba.
Il ritorno del decano dei reporter di guerra nelle terre insanguinate
dai conflitti degli ultimi decenni.
“A Kabul c’è paura. La gente fugge, non vuol parlare con lo straniero.” Sono queste le parole che hanno firmato il primo di una lunga serie di avvincenti reportage di Ettore Mo, giornalista di mestiere, giramondo per vocazione.
Ripercorrendo i luoghi da cui ha mosso i suoi primi passi come inviato, l’autore ci guida per il lato oscuro della terra. Ci accompagna attraverso un’avvincente escursione per mostrarci i drammi più cupi dell’umanità: la povera gente di Monrovia che festeggia Natale e Capodanno al cimitero, bevendo, mangiando e dormendo accanto alle tombe dei defunti; i molti emigranti messicani che inseguendo il sogno di raggiungere l’America si fanno mozzare le gambe dai treni merci; gli abitanti di La Oroya avvolti da un’apocalittica polvere di piombo, zinco, zolfo e arsenico emessa dalla “fonderia della morte” al centro della cittadina; la strage di civili nella terra Tamil; le favelas del terrore di Caracas e i figli della Revolución cubana in fuga da una realtà immiserita e senza scampo.
Raccontato in prima persona, a metà strada tra memoir e reportage, Lontani da qui è il resoconto doloroso e commovente di una vita intera dedicata al viaggio che chiude con un grande insegnamento: il sangue versato sui campi di battaglia non migliorerà mai il corso della storia, finché non cambierà il cuore di chi combatte.
L’OLOCAUSTO DIMENTICATO
DELL’ULTIMO ESODO DAI LAGER
“il campo dev’essere immediatamente evacuato.
Nessun prigioniero deve cadere vivo nelle mani del nemico.”
— Heinrich Himmler
Ci incamminammo a piedi.
Era la fine del 1944, era inverno, c’era neve e faceva freddo.
Indossavamo soltanto dei vestiti estivi, brandelli di stracci,
non avevamo calze e le scarpe erano distrutte.
Lungo la strada erano sparsi qua e là morti, sangue, vestiti.
”Per evocare questo ulteriore dramma nella tragedia generale, Blatman trova le parole giuste tra rigore storico e impatto emotivo.”
— Le Figaro
Negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, gran parte dei 700.000 prigionieri ancora internati sono costretti a evacuare i campi di concentramento: con l’avanzata dell’Armata Rossa e l’arrivo delle forze alleate è urgente smobilitare per cancellare le tracce. Tra l’estate del 1944 e la primavera del 1945 migliaia di deportati, incalzati dai loro aguzzini, si avviano in una drammatica ritirata di massa che non di rado si svolge nel caos, sovrapponendosi a quella dell’esercito tedesco e alla fuga dei civili. Un esodo in condizioni disperate che passerà alla storia come “le marce della morte”. Persino nella brutalità inaudita che caratterizza la storia del Terzo Reich, sono pochi gli esempi di un massacro così feroce, crudele ed efficiente. E tra i molti studi sull’Olocausto, nessuno aveva ancora approfondito questo aspetto meno conosciuto: l’ultimo tentativo di liquidare i nemici della “razza ariana” e gli avversari politici prima della sconfitta definitiva, nonostante l’apparato burocratico e gerarchico del sistema concentrazionario fosse al collasso.
Lo storico Daniel Blatman ricostruisce qui per la prima volta le marce della morte: interroga i documenti, i luoghi, le voci dei sopravvissuti, allargando l’indagine anche alla temperie culturale e sociale in cui avvenne l’evacuazione. Le piccole comunità locali percepirono, infatti, le colonne di deportati di passaggio come una minaccia e affrettarono la fine dei prigionieri, già decimati dalla fame, dal freddo e dalle armi delle guardie. Come nell’eccidio di Gardelegen, episodio ricostruito nei dettagli: uno sterminio di massa che illustra e simboleggia tutte le complesse dinamiche che in pochi mesi terribili causarono la morte di oltre 250.000 persone.
Un innocente
sbattuto
in prima pagina.
Un caso
strumentalizzato
dalla politica.
Ma chi era davvero
il mostro
di Roma?
Fra il 1924 e il 1928 Roma è sconvolta da una serie di rapimenti, stupri e omicidi. La stampa si butta a capofitto sulla vicenda, senza risparmiare ai lettori i particolari più morbosi delle sevizie subite dalle vittime, tutte bambine tra i due e i nove anni. L’opinione pubblica inorridisce e invoca al più presto l’arresto del colpevole. Sono gli anni dell’omicidio Matteotti, gli anni cioè delle prove di forza del regime fascista che non ammette debolezze o esitazioni. Per questo interviene a fare pressione sulla polizia Mussolini in persona: come scrivono i giornali dell’epoca, “rabbrividendo nelle più profonde fibre del suo tenerissimo cuore di padre” chiede che, una volta per tutte, quegli orribili delitti vengano puniti. Serve un capro espiatorio. Lo sfortunato si chiama Gino Girolimoni: contro di lui si costruisce un castello indiziario fragilissimo, eppure l’uomo finisce in carcere. Rilasciato in sordina, su di lui resta per tutta la vita il marchio dell’infamia: termina i suoi giorni in miseria, ricordato da tutti come il mostro di Roma. Perché quest’uomo ha dovuto pagare? Chi si voleva coprire accusando un innocente? In una ricostruzione avvincente e documentata, Federica Sciarelli ed Emmanuele Agostini svelano tutti i retroscena di una vicenda giudiziaria esemplare per la strumentalizzazione politica che se ne fece. Rileggendo le testimonianze e i verbali dell’epoca, con sguardo lucido e imparziale, mettono in luce le contraddizioni e la superficialità nelle indagini. Seguendo l’inchiesta da una nuova prospettiva, gli autori arrivano a sfiorare una terribile verità. E a rendere finalmente giustizia a Girolimoni, da tutti considerato colpevole fi no a prova contraria.
“La nostra storia è stata fatta da noi,
rispecchia i nostri vizi e le nostre virtù.
Non possiamo accettarne soltanto alcuni
pezzi perché ne siamo tutti, anche se
in misura diversa, responsabili.
Ha molte brutte pagine, ma anche momenti
di cui possiamo andare legittimamente
orgogliosi.”
Una storia comune degli italiani non esiste più. A quasi 150 anni dall’unità nazionale si è frantumata in tante piccole schegge, ognuna delle quali rispecchia l’ideologia, le passioni, le radici familiari dei cittadini. Uno scollamento che si riflette nei quesiti contenuti nelle undicimila lettere che giungono ogni mese nella redazione del “Corriere della Sera” alla rubrica di Sergio Romano. Le risposte “non formano una ‘storia d’Italia’, ma ciascuna di esse descrive una persona, un evento, un problema, segna un punto su una immaginaria carta cronologica della storia nazionale”. In questo modo vengono messe in luce proprio le costanti e i temi ricorrenti che continuano ad appassionare (e dividere) gli italiani: dal rapporto tra Stato e Chiesa agli scandali che periodicamente scuotono il mondo politico, dalla collocazione dell’Italia sullo scacchiere internazionale alle tante fratture mai sanate (tra Nord e Sud, fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti). Sotto la guida esperta di Romano, unendo un punto all’altro, il lettore comporrà un disegno – per una volta unitario – e scoprirà non la storia “scientifica” dei libri degli studiosi, “ma quella dei monumenti e delle targhe commemorative, dei riferimenti alla nazione nei discorsi delle ‘autorità’, delle conversazioni quotidiane degli italiani. È una storia più modesta, ma è stata fatta da noi, rispecchia i nostri vizi e le nostre virtù”.
In certi momenti questi mafiosi mi sembrano gli unici
esseri razionali in un mondo popolato da folli.
Anche Sciascia sosteneva che in Sicilia si nascondono
i cartesiani peggiori.
Giovanni Falcone
Francesco Di Carlo, uomo d’onore e boss di Altofonte, è stato arrestato nel 1985, in Inghilterra. In Italia è tornato dopo undici anni di prigione, da collaboratore: ha aspettato che il proprio debito con la giustizia fosse quasi saldato prima di prendere la decisione, così che nessuno potesse accusarlo di parlare solo per ottenere uno sconto di pena. Confidente di Riina e Provenzano, vicino a Bernardo Brusca e Michele Greco, è stato il punto di contatto della Cupola con il bel mondo, la politica e i Servizi segreti. In questi anni da collaboratore ha testimoniato in numerosi processi, gettando nuova luce su tutti i livelli dell’organizzazione e fornendo spesso particolari sconcertanti: non solo gli omicidi, le estorsioni e le stragi, ma i contatti con gli imprenditori e la trattativa con le istituzioni. Senza paura di dare la propria versione anche su argomenti scottanti: i rapporti tra Berlusconi, Dell’Utri e Mangano, quelli tra Andreotti e i cugini Salvo, la strage di Bologna e quella di Ustica. Enrico Bellavia ha raccolto il racconto diretto della sua vita al limite, per regalarci un ritratto di Cosa Nostra inedito e in molti punti inquietante.

