
L'Italia unita fu per secoli il sogno retorico-moralistico di letterati e poeti, fu il progetto d'ambizione di Casa Savoia. Ma appena l'Italia venne messa insieme con i pezzi raccolti, il Sud si ribellò e ingaggiò una sanguinosa guerra di secessione. Al Nord i favorevoli all'unità erano poche migliaia, al Sud anche meno. Trent'anni dopo l'unità, l'Italia era già scossa da tentazioni separatiste, sia al Nord che al Sud, e gli argomenti in discussione erano gli stessi di oggi: la corruzione civile, la criminalità organizzata, le clientele politiche, i differenti costumi, l'assistenzialismo. Nel libro si tenta di spiegare, senza omissioni o interpretazioni arbitrarie, le ragioni del Nord e del Sud, senza tacere i torti equamente ripartiti, le bugie e le falsità che si sono dette, da entrambe le parti.
Questo volume ripercorre gli snodi centrali della storia d'Italia dal fascismo agli anni dei primi governi di centro-sinistra tramite il punto di vista e l'attività di Manlio Rossi-Doria (1905-1988). Lo studio - basato su numerosi materiali inediti italiani e stranieri, provenienti dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna - analizza le dinamiche attraverso le quali Rossi-Doria si allontana dal Partito comunista, aderisce al Partito d'azione e poi si dedica alla "politica del mestiere", mentre dialoga insistentemente con i partiti di sinistra per invitarli alla modernizzazione riformatrice e a emanciparsi da una semplicistica visione re-distributiva dell'economia. Quali furono i contenuti di questa proposta, rispetto alla politica delle bonifiche del fascismo e al nuovo Stato democratico in formazione? Quali furono le reazioni dei partiti di sinistra alla proposta riformatrice rossidoriana? Fu il socialismo liberale una prospettiva in grado di incidere sulla difficile realtà del Mezzogiorno? E, più in generale, quale ruolo svolsero i tecnici nel periodo centrale della ricostruzione economica e rispetto alle relazioni internazionali durante la guerra fredda? A questi quesiti il libro risponde focalizzando l'attenzione sui tre fronti principali sui quali Rossi-Doria s'impegnò: il Mezzogiorno, gli Stati Uniti, l'Europa.
Nel periodo compreso tra i due conflitti mondiali i Paesi dell'Europa centro-orientale presentano situazioni particolarmente complesse sul piano politico-religioso: la maggior parte di questi Stati, nati al termine della Grande Guerra, hanno confini politici artificiali e popolazioni non omogenee da un punto di vista etnico. In diversi di questi Paesi le classi politiche di maggioranza adottano programmi intesi alla laicizzazione della società e alla separazione della Chiesa dallo Stato e, non volendo rinunciare al controllo sulla Chiesa stessa, offrono sostegno alle tendenze riformistiche all'interno della Chiesa cattolica o all'idea di una Chiesa nazionale per rafforzare e completare l'edificio del nuovo stato nazionale. Di grande interesse è, in questo contesto, l'analisi delle politiche adottate dalla Santa Sede, dalle gerarchie cattoliche locali e dai fedeli laici nel difficile confronto con il potere statale. Il presente volume intende offrire, nei saggi qui editi - di Roberto de Mattei, Roberto Morozzo della Rocca, Massimo de Leonardis, Matteo Luigi Napolitano, Francesca Romana Lenzi, Katrin Boeckh, Jure Kristo, Massimiliano Valente, Emilia Hrabovec e L'uboslav Hromjàk - un'occasione di riflessione sugli aspetti generali delle problematiche accennate e su alcuni casi specifici, anche sulla base dei documenti conservati negli archivi vaticani relativi al pontificato di Pio XI.
Il saggio si propone di tracciare l'itinerario di un giudizio di Luigi Einaudi, in una sua opera del 1933, sulle ragioni che resero il nostro stato liberale incapace di fronteggiare le difficoltà del primo dopoguerra, sino a consentire la vittoria del fascismo. Poiché le premesse del giudizio di Einaudi si ritrovano nella critica dei liberisti italiani all'indirizzo dei governi, a partire dalla tariffa doganale del 1887, di quella critica il saggio ricostruisce sia il contesto, sia il contenuto specifico, mettendo in luce come non si trattava semplicemente di contrastare una politica economica, quanto di combattere contro una forma di stato fortemente impopolare e a favore di uno stato che fosse liberale non solo di nome ma di fatto. Gradualmente, Einaudi farà sua questa lezione, sino a considerare inscindibile, come sosterrà in una celebre discussione con Benedetto Croce, il binomio liberismo e liberalismo.
L'interpretazione cristiana della storia universale, dalla Creazione alla resurrezione del Cristo e oltre, si sviluppa come sintesi tra la riflessione sulle Sacre Scritture e l'eredità del pensiero storico ellenistico-romano ed ebraico. Sesto Giulio Africano è il primo storico cristiano a noi noto che realizza tale impresa. La sua opera (Chronographiae) è una rappresentazione "sinfonica" della storia umana che concilia diverse tradizioni attraverso sincronismi e conferme incrociate degli eventi. Il volume vuole comprendere l'opera di Africano inserendola nell'atmosfera culturale e spirituale della sua epoca, l'impero dei Severi tra Caracalla e il terzo anno di Elagabalo (221 d.C., anno di pubblicazione dell'opera); e approfondendo l'identità complessa dell'autore, orgoglioso cittadino romano, di cultura greca, cresciuto ad Aelia Capitolina, a contatto con il sostrato ebraicoaramaico, e aderente alla fede cristiana.
Storia di lunga durata. Storie di uomini, e di donne, molto diversi tra loro. Storie di banditi, come venivano chiamati tra il Ciquecento e il Settecento quelli che erano colpiti dal bando, cioè un decreto di espulsione dalla comunità di cui facevano parte, briganti come nell'Ottocento i francesi definivano tutti quelli che s'opponevano alla loro dominazione. Bandito e brigante non sono prodotti solo del Mezzogiorno che in tempi diversi li troviamo in Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Sicilia, Abruzzo, Molise, Lazio, Veneto, monte, Toscana, Emilia-Romagna. Una lunga scia di sangue fatta di atrocità, corpi squartati, teste mozzate esposte ovunque. Crudeltà da tutte le parti. Repressione cieca, crudele, selvaggia pensa di risolvere problemi, che sono sociali e politici, facendo ricorso alle armi, al carcere, alle fucilazioni indiscriminate. Dalla Repubblica di Venezia allo Stato Pontificio, dal Regno di Napoli al neonato Regno d'Italia tutti i regnanti si comportano allo stesso modo. L'altra faccia della repressione è la scelta degli Stati di venire a patti, scendere a compromessi, di fare accordi con i malviventi. briganti c'è un'enorme letteratura. Mancava un libro che contasse il filo che lega e che separa banditi e briganti, che mostrasse le diverse componenti - politica, religiosa, sociale, culturale -, che demistificasse falsi miti come quello che i mafiosi sarebbero i figli naturali o gli eredi legittimi dei briganti.
Il Regno delle due Sicilie terminò la sua esistenza a seguito di un processo di decomposizione interna accelerato dal moto risorgimentale che portò all'unificazione del nostro paese? Oppure a provocare il crollo del regime borbonico fu decisiva la pressione delle grandi "Potenze marittime" (Francia e Inghilterra) che, dalla metà del XIX secolo, tentarono di trasformare il Mezzogiorno in una colonia economica e in un avamposto strategico funzionale alla loro strategia mediterranea? Il volume di Eugenio Di Rienzo risponde a questi interrogativi, alla luce di una documentazione inedita, proveniente dagli archivi diplomatici francesi, inglesi, austriaci, russi, spagnoli, analizzando la lunga agonia del Regno di Napoli in una durata che va dal conflitto commerciale ingaggiato con la Gran Bretagna nel 1840, ai riflessi internazionali della rivoluzione del 1848, alla Guerra di Crimea, alla distruzione del vecchio equilibrio europeo successiva alla presa di potere di Napoleone III. Senza nessuna nostalgia neoborbonica ma con una grande attenzione ai problemi della storia presente, questo saggio suggerisce inoltre che la stessa debolezza geopolitica, che determinò il crollo del "Piccolo Stato" napoletano, avrebbe condizionato, fino ai nostri giorni, il destino della "Media Potenza" italiana nel segno di un passato destinato a non passare.
Il volume è un'analisi dei temi e delle figure letterarie che fondano nei secoli l'unità della nazione in cammino. L'Italia nasce linguisticamente e letterariamente con Dante, battezzata dal poeta come "giardin dell'impero" e fin dal principio trasfigurata in un'allegoria letteraria. In seguito più volte battezzata e visualizzata in figura di donna, il "bel corpo" petrarchesco martoriato dalle "piaghe mortali", di giovane matrona sventurata percorsa e violata dagli eserciti stranieri. Da Petrarca a Bembo a Carducci, l'Italia viene effigiata come un'espressione letteraria, alla quale la rude realpolitik di Metternich opponeva quella sprezzante e politicamente obiettiva di espressione geografica. L'unità linguistico-letteraria, preesiste all'Unità politica, la sostituisce a lungo nel tempo, la prepara, attivandosi allorché il moto politico del Risorgimento innesta anche la marcia della poesia, del racconto e romanzo epico, della letteratura. Anche Mazzini era un letterato. E Garibaldi leggeva e imitava Foscolo e scriveva versi e romanzi non poi così disprezzabili. Raramente la letteratura ha avuto un ruolo così centrale e anche fattivo, pragmatico, di vera e propria utilità, come in quella circostanza storica. Il Risorgimento è anche un evento letterario, ed è al contempo una manifestazione del romanticismo.
Ludwig von Mises, l’autore di questo libro, è stato uno dei grandi liberali del Novecento. Figlio della Grande Vienna, è stato maestro di Friedrich A. von Hayek e di tanti altri giovani che, dopo la Grande Guerra, si sono trovati a cercare un orientamento culturale e politico. In fuga dal nazismo, Mises si è dapprima rifugiato a Ginevra e poi a New York. In nome dello Stato fa parte degli scritti del periodo ginevrino, che precede e segue di poco lo scoppio della Seconda guerra mondiale. È uno straordinario documento, tramite cui è possibile “rileggere” uno dei momenti più tragici della storia d’Europa. È un testo agile, in cui una prosa nitida e diretta getta luce sull’incubazione del nazismo, sui suoi legami con la cultura interventistica dei prevalenti circoli accademici tedeschi. Dopo la conquista del potere da parte di Lenin, Mises aveva mostrato come l’impossibilità del calcolo economico, in regime di pianificazione, avrebbe portato al crollo del comunismo. Ed è toccato a lui fornirci una delle più immediate e penetranti analisi del nazismo, che non è stato una “terza soluzione” fra capitalismo e comunismo. La cooperazione sociale si può svolgere in maniera volontaria: la via intrapresa dalle società libere. E si può svolgere in maniera coercitiva: con la pianificazione comunista o con un generalizzato sistema di interventi autoritativi. Nel caso dell’interventismo, la proprietà privata non viene formalmente soppressa, ma viene svuotata di contenuto: mediante una fitta trama di provvedimenti amministrativi, la libertà di scelta individuale e l’allocazione competitiva delle risorse vengono soppresse. È esattamente quanto ha fatto il nazismo, che ha perciò avuto una base economica congruente con la sua ideologia totalitaria. La vicenda hitleriana non è una figlia, sia pure illegittima, del liberalismo. È un prodotto di quell’avversione nei confronti della libertà individuale e del mercato, che è il tratto comune di tutti i membri della famiglia del totalitarismo. Il libro di Mises ha una grande utilità. Non serve solo a spiegarci il perché delle gravissime tragedie del Novecento. Esso ci aiuta pure a porre in chiaro le conseguenze economiche, sociali e politiche di ogni tipo di interferenza del potere pubblico. E rende in tal modo trasparente quel che si cela dietro molte delle “pratiche” politiche del nostro tempo. L’interventismo è la malattia professionale di governanti, militari e burocrati. I governi sono liberali solo quando sono costretti dai cittadini.
Questo volume, in cui Rosario Romeo raccolse, per sollecitazione di Giovanni Spadolini, quattro importanti saggi sulla storia d’Italia, è un documento importante non solo nella vicenda intellettuale di uno dei maggiori storici italiani del Novecento, ma anche nella storia dell’idea di nazione e della prospettiva europeistica dopo la Seconda guerra mondiale. Romeo aveva un’alta idea dei valori nazionali e di ciò che l’idea di nazione ha significato nella storia dell’Europa moderna. La sintesi della storia nazionale italiana offerta qui lo dimostra appieno con una felice e realistica rappresentazione degli elementi e delle fasi che caratterizzano la complessa realtà storica italiana dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente ai nostri giorni. La seconda parte del volume è fondata sulla problematicità dei valori nazionali e sulla crisi della posizione dell’Europa nel mondo dopo la Seconda guerra mondiale, ma è, insieme, animata dalla speranza di un vigoroso sviluppo dell’idea e delle istituzioni di una nuova Europa unita.
Questo libro rivaluta la grande esperienza del «centrismo» degasperiano, che non fu (come la maggior parte della storiografia sostiene) un periodo di conservazione, bensì di forte impegno riformatore. Esso pose le premesse del «miracolo economico», che fece dell’Italia una grande nazione industriale. Il «centro-sinistra» fu del tutto inadeguato a sostenere questo sviluppo e a correggerne gli squilibri. Tale inadeguatezza pose le premesse del lungo Sessantotto e dell’«autunno caldo» del 1969, che ebbe influssi assai negativi sull’economia e che destabilizzò la società civile. Di qui un successo sempre più grande del PCI, il quale però non riuscì mai a diventare un partito democratico, nel senso occidentale della parola. La democrazia italiana è rimasta quindi sempre, nella «prima Repubblica», una democrazia «bloccata», priva di alternanza fra schieramenti politici diversi. Tale «blocco» ha impedito qualunque rinnovamento della società e ha determinato una profonda degenerazione della politica.
Popolazione, comunicazioni via terra e via mare, uso del suolo, agricoltura, industria, commercio estero, credito, istruzione, assistenza, prezzi e salari del Mezzogiorno nell'Ottocento, fino al 1861, sono gli argomenti del volume, che si propone di fornire una visione dell'economia del Mezzogiorno, prima dell'Unità. A questi temi, la storiografia ha dedicato grande attenzione negli ultimi decenni. Il volume ripercorre i vari aspetti della storia del Mezzogiorno e permette di porre in una prospettiva più ampia i temi della crescita dell'economia italiana e delle differenze di sviluppo del Nord e del Sud. Ciascun contributo è diviso in due parti. La prima analizza l'argomento, la seconda raccoglie i dati statistici più significativi. Scopo principale del volume è di raccogliere, elaborare, mettere a disposizione degli studiosi una serie di dati quantitativi sull'economia del Mezzogiorno prima dell'Unità.

