
Oppresso dai suoi mali interni e minacciato dalle aggressioni dei barbari, alla metà del terzo secolo il mondo romano era un organismo invecchiato e sull'orlo del collasso. Diocleziano salì dal nulla ai vertici della carriera, si impadronì dell'impero con la violenza, governò con feroce determinazione per più di venti anni, dal 284 al 305. Ma i fasti del potere non cambiarono la sua natura: rimase sempre un soldato. Diocleziano non fu un rivoluzionario, come Augusto o Costantino. Seguendo il suo istinto di soldato, pensava che la rifondazione dell'impero dovesse procedere nel rispetto supremo della tradizione, della religione dei padri. Alla fine trionfò su tutti i suoi nemici: usurpatori, barbari, Persiani. In segno di riconoscenza agli dei scatenò durissime persecuzioni contro i dissidenti, gli empi seguaci di religioni lontane dalla tradizione: i manichei, che arrivavano dalla Persia sasanide; e, avversari ancora più insidiosi, i cristiani. Al culmine della gloria, al momento di godere di una pace finalmente riconquistata, Diocleziano abdicò. Fu una scelta inaudita, inaspettata, unica nella storia dell'impero romano. Perché abdicò? Malattia, stanchezza, delusione? O, piuttosto, volontà di applicare un progetto politico teorizzato negli anni? La scelta di Diocleziano è un enigma che continua ad affascinare gli storici. Sicuramente contò il desiderio di congedarsi dai duri impegni della sua missione. Diocleziano si ritirò lontano, in un grande palazzo...
Il Mediterraneo è davvero un "continente liquido", un luogo di millenari scambi, o un mare che al contrarlo tiene reciprocamente lontane le genti che su di esso si affacciano? È il mare dei confronti o il mare degli scontri di civiltà? Partendo da un esame della letteratura specialistica recente, questo libro propone alcune risposte in una direzione destinata per sua natura a rimanere aperta, in un affresco esteso dalla più remota antichità ai nostri giorni.
Il separatismo siciliano, di cui si intravedono le radici nei moti insurrezionali che nel corso dei secoli colpirono l'isola, ebbe vasta diffusione e inquietanti sviluppi tra il 1943 e il 1950. Alla vigilia dello sbarco alleato fu fondato il Comitato provvisorio per l'Indipendenza, sedicente portavoce delle aspirazioni dei siciliani, che avrebbe colmato il vuoto politico lasciato dal fascismo e permesso al movimento di proporsi come corrente di rinnovamento. Nel febbraio del 1944 la riconsegna dell'isola all'Italia da parte degli Alleati e la decisa risposta dello Stato alle istanze siciliane portarono a un inasprimento dello scontro fra il Regio Esercito e i "guerriglieri" indipendentisti. I rastrellamenti e le battaglie campali ridimensionarono l'eversione secessionista; fu intavolata una trattativa segreta fra lo Stato e i separatisti, che avrebbe portato alla concessione dell'autonomia siciliana. Negli anni successivi l'isola fu governata quasi ininterrottamente dalla Democrazia Cristiana, ma l'agognata crescita economica non ci fu. L'autonomia, associata non di rado al federalismo, è ancora oggi al centro di un ampio dibattito, in una fase storica caratterizzata da crescente sfiducia nei confronti dello Stato e dalla nascita di movimenti che rivendicano l'indipendenza. Come nel Nord Italia, anche in Sicilia iniziano a serpeggiare e a ridestarsi timide simpatie filo-separatiste.
La fama planetaria del "Milione" ha dato origine a una bibliografia smisurata a fronte della quale i profili biografici di Marco Polo sono pochi. Colpa dei dati oggettivi scarni che abbiamo sul personaggio. Sappiamo che rimase in viaggio, lontano da Venezia per circa 25 anni, ma all'interno di quel periodo della sua vita poche sono le scansioni cronologiche sicure. Gli studi filologici e storici hanno portato ad affinare le nostre conoscenze sul testo, e quindi indirettamente, sul suo autore, ma il "Milione" resta un libro misterioso. È un diario di viaggio? Un mélange di fantastico e di reale? È un testo di pratica di mercatura arricchito dalla prosa del Rustichello? Per rispondere a queste domande partiremo dal contesto originario del veneziano: il Mediterraneo nella seconda metà del Duecento e lo seguiremo in viaggio, lungo la via della seta, fino alla Cina e all'India. Ripercorreremo con lui i luoghi che visitò per scoprire uno sguardo molto più attento alla realtà di quanto non si creda; uno sguardo che non si soffermava solo sulle merci e le ricchezze, ma che comunicava all'Occidente particolari inediti sull'antropologia, i costumi, i riti, delle società osservate. Se ancora oggi emergono dubbi sulla realtà del viaggio di Marco Polo, la posizione di questo libro è chiara: il veneziano visitò l'Asia e la descrisse come nessuno aveva mai fatto prima di lui. E poiché la vita è un viaggio, il viaggio di Marco Polo sarà la sua biografia.
Uomo di molti talenti, celebre guerriero e grande politico, Andrea Doria è l'ultimo e il più famoso erede di una famiglia che da molti secoli identifica le sue vicende con quelle internazionali di una Città-Stato. Prestigiosa e solidale la stirpe dei Doria è infatti composta di guerrieri-mercanti, grandi politici e raffinati intellettuali, ed è da secoli legata a una particolare idea di "libertas" repubblicana. Di questa idea il principe farà il canone di un sistema di governo e quando nel 1528 si aprirà il lungo secolo dei genovesi che suggella l'antico legame della città con il mondo spagnolo, questa formula repubblicana sarà strumento di tutela della loro "libertà" di azione in tutto il mondo.
Chi è Livia? Quella dipintaci a forti tinte negative da Tacito o quella, invece, che traluce, quasi santificata, dalla tradizione che si ispira alla propaganda augustea? Di fatto, entrambe le prospettive coesistono, e in forma esasperata. Livia è, infatti, un personaggio bifronte, e per questa ragione tanto più difficile da decriptare nel segreto del suo essere. Da un lato, è l'ascoltata consigliera di Augusto e la prima interprete del suo mondo di valori, esercitando presso i contemporanei, e tra le stesse mura domestiche, una funzione simbolica e paradigmatica. Dall'altro, in forma quasi forsennata e patologica, è guidata dall'imperativo inderogabile che il maggiore dei figli di primo letto debba essere il successore dell'augusto consorte, pure se questi manifesta e sempre manifesterà di essere di tutt'altro avviso. Ma le due posizioni non sono tra loro antitetiche, ché il figlio Tiberio avrebbe potuto sperare di divenire successore del patrigno soltanto se questi fosse stato in grado, morendo, di lasciargli in eredità un dominato così saldo da divenire l'impero di Roma.
La notte del 24 aprile 1915 ebbe inizio il 'Grande Male', il Metz Yeghem. Sono passati cento anni dal genocidio armeno. Cento lunghi anni di silenzi colpevoli, di verità non ancora condivise. L'anniversario rappresenta un'occasione per riflettere su una vicenda controversa: la storia oggi interpella i governi per il riconoscimento del genocidio di un milione e mezzo di armeni. La condanna di un crimine simile rappresenta un atto di giustizia verso le vittime, verso la coscienza umana, verso i superstiti.
Mazzarino: abile burattinaio della politica europea o pallida controfigura di Richelieu? Stefano Tabacchi ricompone l’immagine di Mazzarino, il Cardinale italiano alla corte di Francia, l’abile manovratore e dominus assoluto della politica europea del XVII secolo. La biografia indaga sul vero ruolo che Mazzarino ebbe in quella particolare fase della storia francese ed europea rappresentata dalla transizione verso l’assolutismo monarchico. Da sempre messo a confronto con il suo predecessore Richelieu, il suo modello politico fu più “romano” che “francese”, appreso negli anni della giovinezza al servizio della Santa Sede. Ne emerge la figura di un politico che intese la sua azione come un’arte, una pratica molto raffinata, nel fedele servizio al sovrano.
Nel Novecento alle speranze di una società migliore si sono spesso contrapposte le politiche dell'esclusione, l'annientamento fisico delle minoranze, le violenze di Stato, la condizione marginale dei tanti apolidi in fuga. La storia dei Lager e dei Gulag, la presenza dei luoghi di internamento e le vicende degli spostamenti forzati di popolazioni, si incrociano con la crisi delle società liberali e con la affermazione dei poteri totalitari. Deportare, concentrare, annientare non sono patologie del passato ma il lato oscuro dei tempi correnti, quelli che si vorrebbero governati dal diritto, ma che rivelano ancora la tentazione di cancellare quella umanità considerata un'intollerabile "eccedenza" rispetto agli interessi delle maggioranze silenziose e consenzienti.
Scorre molto sangue la notte del 2 gennaio 1547 quando, nel totale fallimento della congiura dei Fieschi, la morte stronca la giovinezza di Giannettino Doria e quella di Gian Luigi, l'erede della nobile famiglia che l'ha promossa. Sarà inesorabile Andrea Doria, il vecchio guerriero d'antica stirpe genovese, che dal 1528 è il Capitano generale della flotta imperiale nel Mediterraneo e nell'Adriatico. E inesorabili saranno l'Impero e la Repubblica verso chi si è reso colpevole del reato di tradimento contro il suo signore e contro la sua patria. Si inscrive nel nome dei Doria e dei Fieschi e si compie sul palcoscenico genovese l'atto che, incidendo profondamente nel cuore del grande scontro tra l'Impero spagnolo e la Corona francese, diventerà fin da subito un evento memorabile.
Verso la metà del IV secolo l'imperatore Giuliano nei "Cesari", una singolare opera satirica, ma dalle forti connotazioni personali, in cui sono passati in rassegna, con Alessandro Magno, i suoi principali predecessori, dà di Augusto una definizione peculiare: era un "camaleonte". Non è da sottovalutare questo giudizio da parte di una personalità come Giuliano che, arrivato inaspettatamente all'età di trent'anni al potere supremo, aveva concepito un disegno profondamente innovatore dello Stato romano, in primo luogo in senso religioso, e che dimostrò particolare sensibilità per le strategie comunicative. In verità Augusto risulta una personalità difficile da valutare già per gli antichi e non stupisce che tanto articolate siano state le presentazioni che la sua figura ha conosciuto anche negli studi più recenti. Appartiene senza dubbio a quel genere di personaggi poliedrici dei quali non è facile delineare un ritratto fedele e di cui è lecito privilegiare un aspetto rispetto a un altro. Giuliano è sicuramente in difficoltà a dare un giudizio netto su una figura tanto multiforme come quella di Augusto, il cui carattere autentico risulta alla fine sfuggente, soprattutto se si vuole uscire da schemi precostituiti.
Nell’introduzione alla Storia dell’umanità , pubblicato per la prima vola nel 1921, l’autore racconta di quando, da ragazzo, si arrampicò fino in cima alla vecchia torre di una chiesa di Rotterdam; anni dopo, quell’episodio gli ispirò la metafora della storia come «torre dell’esperienza, costruita dal tempo fra gli sterminati campi delle epoche passate». Da allora in poi, intere generazioni di lettori di tutte le età hanno visto la storia attraverso gli occhi e le parole di van Loon. Considerato uno dei più geniali storici divulgatori di fama internazionale del Ventesimo secolo, conduce il lettore sulla scena degli eventi, raccontando con semplicità, passione e saggezza le vicende umane e mettendo in luce i legami tra arte, pensiero, cultura e realtà quotidiana. In uno stile caldo e personale, vivace e appassionante, l’autore costruisce un percorso dall’alba dell’era dell’uomo fino agli avvenimenti che hanno segnato il secolo appena trascorso: una storia ricca di dettagli e di brillanti divagazioni che infondono vita ai personaggi e trasformano i fatti in un meraviglioso racconto d’avventura.