
Nel 1915 il governo Ottomano, presieduto dal partito dei Giovani Turchi, deportò la maggioranza degli Armeni dalle loro terre in Anatolia. Secondo alcune stime, quasi il 40% della popolazione morì, molti in brutali massacri. Gli Armeni lo considerano il primo genocidio del Novecento (un milione e mezzo di morti), per i turchi la deportazione fu una risposta alla ribellione di massa armena, supportata da Russia e Inghilterra: una guerra regionale sottostante a frizioni internazionali; le morti, il risultato di malattie o inedia. Il saggio intende esaminare i fatti storici senza preconcetti politici, equidistante dalle due parti in causa.
Tra il 1900 e il 1993 sono state censite 54 guerre, l'autore rilegge questo secolo di orrori incentrando la sua analisi a partire dalle vittime. I corpi diventano la principale fonte storiografica e avvicinano lo storico alla comprensione più compiuta della realtà della guerra, di cui i morti rappresentano il concreto prodotto finale. Dalle teste mozzate dei boxer in Cina alla guerra in Iraq, l'autore si sofferma sulle guerre principali e più sanguinose, mettendo in evidenza tratti comuni e vicende storico-militari anche molto distanti l'una dall'altra, ma accomunate dal grado di violenza sui corpi.
Ancora oggi alcuni credono che il dominio dell'Occidente sia il risultato di una particolare "cultura" che sarebbe superiore a quella degli altri continenti; ma come spiegare allora che alla fine del Settecento l'India e la Cina fabbricavano più manufatti ed editavano più giornali che Italia, Francia, Inghilterra e Germania? Al termine di un'investigazione storica che attraversa i cinque continenti, incrociando dati economici, politici, artistici e religiosi, Bayly dimostra che la dominazione occidentale sul mondo non ha veri effetti che a partire dal XIX secolo. Alla fine del Settecento un'aspirazione alla libertà e all'uguaglianza si diffonde nell'intero pianeta e mette in discussione i diversi regimi. L'egemonia delle nazioni occidentali si manifesta qualche decennio più tardi, grazie a eserciti più agguerriti, alla padronanza delle regole del commercio e allo sviluppo interno di una società civile più indipendente dal potere politico.
Un'opera che salda sensibilità e interessi propri della storiografìa tradizionale più attenta all'oggettività dei processi, alle dimensioni diplomatiche, politiche, militari, ma anche economiche e sociali dell'evento, con i nuovi orizzonti aperti da una storia che si suole definire culturale e che riporta in primo piano le dimensioni della soggettività, dell'esperienza vissuta, dell'immaginario e della memoria anche grazie all'uso di fonti mai prima esplorate. Non solo la vita politica dunque, ma anche il ruolo, attivo o passivo, delle donne e dei bambini, degli intellettuali e degli scienziati, dei giornalisti e dei cineasti. Anche il secondo volume integra ampiamente l'edizione francese con voci che mettono l'accento sulla specificità dell'Italia, con saggi sulle regioni di confine, su Vittorio Veneto e l'armistizio, sul territorio e la memoria della guerra, sulle scritture dei soldati, sulla violenza squadristica, sul cinema e la letteratura.
Il contributo più innovatore di Fernand Braudel ha dato agli studi storici è senza dubbio lo sforzo di capire e interpretare i fenomeni di lunga durata. In "Civiltà materiale, economia e capitalismo", lo studioso francese ha approfondito la sua visione della storia, quasi prendendo a pretesto le vicende di quattro secoli per analizzare nelle sue diversa complessità e contraddizioni il passato, collegarlo strettamente al presente e rileggerlo in chiave antropologica. In questo volume l'avventura dell'uomo è ricostruita attraverso il cibo che i diversi paesi offrono o che dal lavoro umano sono messi in grado di offrire, le bevande, i tipi di abitazione, l'abbigliamento, gli ausili diversi per dare alle società un fondamento materiale solido.
Gli storici di Roma contemporanei datano la sua fondazione ancora prevalentemente alla fine del VII secolo, ma la tradizione antica la fa risalire alla metà dell'VIII. Secondo Tacito, Romolo eresse intorno al Palatino il muro fondante. La corrispondenza fra questo «avvenimento» della saga romulea e la scoperta fatta da Carandini di un edificio proprio nel luogo indicato dal mito è singolare e rimette in questione l'idea che i miti siano sempre e soltanto favole affermando, piuttosto, che i miti possono a volte servire a fondare la realtà.
Del volume uscito nella collana Pbe ("La Resistenza in Italia") si ripropone la prima parte, quella che offre una sintesi degli avvenimenti, e ricostruisce il costante intreccio di vincoli esterni e di progetti politici, di scelte etiche e di casualità, di problemi nazionali-internazionali e di localismi che costituisce l'humus della Resistenza, e che nella memoria e nel senso storico diffuso è stato via via scarnificato e schemarizzato, o appiattito sul momento finale.
Le fotografie raccolte in questo vero e proprio album furono scattate da due SS tra il maggio e il giugno 1944, in occasione della deportazione massiccia a Birkenau degli ebrei d'Ungheria. Permettono di rappresentare ciò che significò per milioni di persone l'arrivo in questo immenso centro di morte: molti degli uomini, delle donne e dei bambini ritratti nell'Album furono uccisi nelle ore immediatamente successive agli scatti. Oltre alle circostanze della scoperta dell'album, completamente riprodotto con le indicazioni e i testi originali dei due ufficiali nazisti, i testi raccolti descrivono l'organizzazione del campo e in che modo venisse applicata quella "soluzione finale" concepita dai nazisti per condurre a buon fine la loro criminale opera di distruzione. Le foto sono state ritrovate da una detenuta, Lili Jacob, pochi giorni prima della liberazione, che riconobbe se stessa e i fratelli sterminati nel campo. Alcune vennero esibite durante il processo Eichmann a Gerusalemme e in quello di Francoforte, il cosiddetto "Processo Auschwitz".
La ricerca da cui è nato questo libro ricostruisce dal vivo una cronaca dei due anni della Resistenza italiana, scandita attraverso i diari e le lettere ai familiari alle fidanzate o agli amici dei partigiani, di militari e di deportati. Ne scaturisce un racconto di quei giorni "scritto" dagli stessi protagonisti. Un diario non viziato dal clima del dopoguerra e dalle varie interpretazioni storiografiche sul movimento di Liberazione, ma che invece trasporta anche emotivamente chi legge - come un susseguirsi di vertiginosi flashback - dall'illusione del 25 luglio 1943, con la caduta del regime fascista e dei suoi simboli, fino all'aprile del '45.
Scritto su commissione per una collana di vasta divulgazione, felice punto d'incontro di rigore storiografico e talento narrativo, La domenica di Bouvines, dedicato a una celebre battaglia del 1214, è da molti considerato uno dei capolavori di Georges Duby.
Quel fatidico giorno, nella piana di Bouvines, il re di Francia Filippo Augusto dovette suo malgrado affrontare, uscendone vittorioso, la terribile coalizione dell'imperatore Ottone, del conte di Fiandra Ferrando e del conte di Borgogna Rinaldo. Si trattò di una vittoria fondamentale, che avrebbe rinsaldato decisamente le basi della monarchia francese suscitando per la prima volta il sentimento dell'unità nazionale.
Scandendo il saggio storico in tre tempi, l'evento, la messa a fuoco delle «forze storiche» in campo e la sua trasformazione in leggenda, il grande storico francese propone al lettore un approccio originale e complesso a quella memorabile giornata che avrebbe segnato per secoli il destino degli stati europei. La storia di una battaglia si trova cosí a essere riabilitata e profondamente rinnovata dall'analisi congiunta del contesto sociale, culturale e ideologico, e Bouvines ci appare come un microcosmo, una lente di ingrandimento la cui minuziosa scomposizione permette di cogliere la verità di un'intera epoca e un'intera società.
Robin Lane Fox insegna storia antica a Oxford ed è, oltre che uno studioso di fama, uno scrittore. Da questa fortunata combinazione è nato un libro di storia del mondo antico atipico, che possiede il rigore del saggio scientifico - ha meritato l'elogio di molti specialisti - e la piacevolezza di un racconto che la critica ha definito "incredibilmente spassoso" e "più epico di qualsiasi kolossal in costume". Perché quello che caratterizza questo affascinante percorso nel mondo dell'antichità classica da Omero ad Adriano, è proprio la capacità dell'autore di ridare vita alle grandi figure, come Socrate, Alessandro, Cicerone o Cesare, e di parlare, di volta in volta, della vita quotidiana dei cittadini, degli ultimi giorni di Pompei, dei giochi circensi, dell'idea che gli antichi avevano della libertà, della giustizia o del lusso, in pagine che sanno restituire l'incanto della miglior narrativa storica.