
L'Europa ha una vergogna segreta, che nessuno aveva avuto il coraggio di studiare e raccontare. Durante la Seconda guerra mondiale, agli ordini di Hitler, nella Wehrmacht e nelle SS non combatterono soltanto cittadini tedeschi, ma anche francesi, inglesi, belgi, danesi, russi, polacchi, lituani, finlandesi, norvegesi, rumeni... E diversi arabi, al seguito del gran muftì di Gerusalemme, amico personale del Führer. Per l'edizione italiana del suo saggio, Christopher Hale ha arricchito il suo studio con un capitolo dedicato agli italiani che tra il 1943 e il 1945 vennero inquadrati nell'esercito tedesco, volonterosi carnefici che contribuirono a insanguinare il nostro paese. Nel formidabile esercito nazista combatterono tedeschi accecati dal nazionalismo di Hitler (che peraltro non era tedesco, bensì austriaco, ma al suo interno furono accolti anche i più feroci antisemiti di tutto il continente, sotto le insegne di un'ideologia razzista che sognava l'instaurazione di un Reich millenario. Furono in molti infatti ad arruolarsi ed ebbero un ruolo chiave nel genocidio degli ebrei e nella lotta contro i partigiani, grazie alla loro conoscenza dei territori occupati. E la loro rete di complicità, prima come massacratori e poi come fuggiaschi, getta la sua ombra fino ai nostri giorni, nell'"internazionale nera" attiva dalla fine della guerra a oggi.
Un italiano su mille: era più o meno questa la proporzione di ebrei nella popolazione del nostro paese quanto nel 1938 entrarono in vigore le leggi razziali, con le quali lo stato fascista si dichiarava ufficialmente antisemita e dava inizio alla vergognosa persecuzione razzista. Fino a quel momento, tuttavia, ebrei e fascisti avevano convissuto, in un singolare miscuglio di benevolenza e tradimento, persecuzione e aiuto.
Per raccontare l'esperienza degli ebrei nel momento più tragico della nostra storia, Alexander Stille ha seguito il destino di cinque famiglie, diverse per origine e ceto, ma anche nel loro atteggiamento verso il regime.
Gli Ovazza di Torino avevano prosperato sotto Mussolini, tanto che il patriarca della famiglia aveva guadagnato un ruolo di spicco nel partito. I Foa, anche loro torinesi, avevano un figlio fervente antifascista e l'altro iscritto al fascio. I Di Veroli di Roma hanno lottato disperatamente per sopravvivere nel ghetto. A Genova i Teglio, in particolare Massimo, e i Pacifici hanno collaborato con la chiesa cattolica per salvare centinaia di ebrei. Gli Schönheit di Ferrara vennero spediti a Buchenwald e Ravensbrück dai fascisti italiani e dai nazisti tedeschi.
Uno su mille , pubblicato per la prima volta nel 1991, è il frutto di una paziente ricostruzione storica, ma anche di una serie di conversazioni con diversi protagonisti e testimoni di quegli eventi terribili. Documentato meticolosamente ma appassionante come un romanzo, Uno su mille è diventato un classico, un libro importante. Ancora più prezioso oggi, quando i dibattiti sul fascismo si sono fatti molto semplicistici e caricaturali.
Come scrive Alexander Stille, «fa paura pensare al giorno in cui non ci saranno testimoni diretti di quel periodo tragico… Non so immaginare il giorno in cui non ci sarà più nessuno in grado di dire: «mi dispiace, non è stato così, io c'ero».
Andrea Di Michele ricostruisce gli ultimi sessant'anni della storia italiana (a partire dal 18 aprile 1948, quando finisce la stagione della Resistenza): nella politica estera e interna, nell'economia, nella società, nel costume e nella cultura. Le tappe principali: la proclamazione della Repubblica e gli entusiasmi della ricostruzione, il proficuo grigiore democristiano degli anni Cinquanta, il boom e le tensioni sociali degli anni Sessanta, la stagione delle stragi e del terrorismo, e poi la crisi politica degli anni Ottanta, la «Milano da bere» craxiana, Tangentopoli e la caduta della prima Repubblica e gli scontri tra Prodi e Berlusconi. Un quadro unitario delle recenti vicende del nostro paese, del suo ruolo nello scenario internazionale, gli straordinari progressi e i problemi irrisolti.
«Chi dubiterebbe ancora del tramonto del mondo borghese? … La causa della borghesia appare sicuramente come una causa persa, più di qualunque altra. Anche coloro che per principi morali, condotta di vita e attitudine mentale sarebbero da annoverare fra gli appartenenti alla borghesia, non vi si riconoscono, e la rinnegano adeguandosi a una moda che ormai ripudia tutto. Voci contrarie non ce ne sono. Insomma, la borghesia non ha più nessuno che la difenda.
Forse è venuto il momento di ripensare a che cosa significhi davvero la forma di vita borghese.»
Joachim Fest è stato tra i più lucidi intellettuali europei degli ultimi decenni. Dal cuore dell'Europa – la Germania – ha vissuto la catastrofe del nazismo e la rinascita del suo paese. E ha mantenuto vivo – e ha ricucito – il rapporto con la tradizione del proprio paese e dell'Europa, nei valori che possono e devono ancora ispirare le nostre vite e il nostro comportamento quotidiano.
Il punto di partenza è la libertà e la responsabilità del singolo, che comprende anche la possibilità di diventare «qualcosa di meglio»: è il nucleo, argomenta Fest, del concetto borghese di cultura, con la sua enfasi sulla critica e sull'autocritica, così come lo ha messo a fuoco Thomas Mann. È proprio nella rinuncia a questo cardine (o alla sua perversione) che si può rintracciare l'origine della tragedia che ha segnato l'intera civiltà occidentale.
In questa chiave, Fest analizza le figure dei «criminali politici» responsabili della follia nazista – Adolf Hitler e Joseph Goebbels –, ma anche quelle dei congiurati dell'attentato del 20 luglio 1944. E fotografa il percorso, tra illusioni e delusioni, di molti intellettuali nell'epoca dei totalitarismi, che invece di farsi «portavoce dell'umanità» si rivelarono «avvocati dell'inumanità».
Sempre lucido e appassionato, Joachim Fest ci offre una lezione preziosa, che illumina il rapporto di ciascuno di noi – individui responsabili che hanno per obiettivo l'autoliberazione – da un lato con la cultura e dall'altro con la politica.
Al tempo della nascita di Cristo, l'Europa era contrassegnata da uno straordinario contrasto. Da poco unificato sotto la dominazione imperiale di Roma, il Mediterraneo era sede di una civiltà politicamente evoluta, economicamente avanzata e culturalmente raffinata.
Il resto dell'Europa era popolato da agricoltori con un'economia a livello di sussistenza, organizzati in entità politiche di piccole dimensioni. Gran parte di essa era dominata da genti di lingua germanica scarsamente alfabetizzate, che pur disponendo di alcuni utensili e armi di ferro utilizzavano perlopiù attrezzi di legno e non usavano mai la pietra come materiale da costruzione. Più si procedeva verso est, più rarefatto si faceva il paesaggio: meno utensili di ferro, meno produttività nell'agricoltura e minore densità della popolazione.
Mille anni più tardi troviamo un mondo completamente cambiato. Non solo i gruppi di lingua slava si sono sostituiti a quelli di lingua germanica, ma, cosa ancora più importante, il Mediterraneo ha perduto la sua centralità.
A livello politico la causa va ricercata nel progressivo affermarsi nel Nord di entità statuali più grandi e solide. Tuttavia verso il Mille erano anche molti tratti culturali caratteristici del Mediterraneo – non ultimi il cristianesimo, l'alfabetizzazione e le costruzioni in pietra – a diffondersi al Nord e all'Est.
In sostanza le diverse forme di organizzazione umana si sviluppavano verso un maggiore grado di omogeneità lungo una direttrice che interessava l'intera fascia continentale dell'Europa. Furono queste nuove strutture, politiche e culturali, a rompere definitivamente l'antico ordine mondiale fondato sul dominio del Mediterraneo. L'Europa barbarica non era più barbara.
Dopo il grande successo di La caduta dell'impero romano, Peter Heather torna a raccontare la storia del rapporto tra barbari e romani e la nascita dell'Europa. Le migrazioni, alla base della nascita del continente europeo, il loro impatto sul mondo antico, il loro significato, come avvenivano, come erano organizzati i nuovi insediamenti, come si rapportavano al potere romano: ogni aspetto della storia viene presentato e spiegato nel modo più semplice e avvincente. L'impero e i barbari diventa un viaggio nel passato che offre spunti e parallelismi sorprendenti con il presente.
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28 aprile 1945: Benito Mussolini e Claretta Petacci vengono fucilati a Giulino di Mezzegra. Il giorno dopo, i loro corpi - con quelli degli altri gerarchi fascisti uccisi a Dongo - sono esposti a Milano, in piazzale Loreto. La morte di Mussolini chiude tragicamente il ventennio fascista e segna al tempo stesso la fine di una gigantesca caccia all'uomo. Sono in molti a voler catturare il duce, primi tra tutti gli americani, che vorrebbero sottoporlo a un regolare processo. Bruciati dall'azione dei partigiani comunisti, più veloci di loro a mettere le mani sulla colonna in fuga, i servizi segreti statunitensi vogliono capire subito come e perché il loro piano è fallito e incaricano uno dei loro più abili agenti, Valerian Lada-Mocarski, di ricostruire la disperata fuga e la fine di Mussolini. Pochi giorni di indagine sul campo e di colloqui con i testimoni e, dopo una prima relazione più approssimativa, il 30 maggio 1945 l'agente numero 441 dell'OSS è in grado di inviare al suo capo, Allen Dulles, un rapporto definitivo. Ora questo materiale è tornato finalmente alla luce. È un documento in presa diretta, scritto a caldo, che racconta con precisione e uno stile essenziale ma vivido l'episodio più drammatico e significativo della recente storia italiana. Soprattutto, il rapporto di Lada-Mocarski fa piazza pulita, una volta per tutte, delle fantasiose ipotesi sulla fine di Mussolini, a cominciare dalle reticenti ricostruzioni del Partito comunista italiano.
Tra storia e invenzione, questo libro racconta vicende e uomini che hanno animato il concludersi del Secondo Millennio. Una narrazione documentata del tempo generazionale che va dagli inizi della Seconda guerra mondiale alle attuali attese i tempi che ognuno spera nuovi.
Il volume è il catalogo della mostra di Roma (Archivio di Stato, 2 maggio - 4 giugno 2005). La mostra illustra, attraverso un ricco corredo iconografico e documentale, le trasformazioni subite dal paesaggio naturale ed urbano del litorale laziale, nel periodo compreso tra il XVI e il XIX secolo. Un'area di estrema importanza storica che ricomprende le più importanti città marinare della provincia di Roma: Civitavecchia, Fiumicino, Anzio, Nettuno, cui si aggiungono altri centri di consolidata vocazione turistica, quali Ladispoli e Santa Marinella.
Questo denso e agile volumetto spiega in maniera chiara e divulgativa quanto sappiamo sulla struttura della comunità ebraica di Roma, illustrando allo stesso tempo il contesto storico e politico in cui essa si sviluppò. Impresa non facile, a causa della carenza dei dati che ci sono pervenuti; con grande onestà Elsa Laurenzi non nasconde questo problema, né presenta ricostruzioni "facili" ma infondate. Accompagna invece il lettore alla scoperta di una società che mantiene i propri costumi e la propria cultura vivendo all'interni di un'altra più vasta società, tanto profondamente diversa quanto tollerante, che seppe integrare realtà varie e contrastanti. Si basa sulle varie fonti disponibili, gli scrittori antichi, i testi epigrafici, le testimonianze archeologiche e fornisce, mediante un glossario distribuito all'interno del testo, utili e puntuali spiegazioni di termini non a tutti noti.
"Brani di storia... Questi brani di storia raccolti dalla bocca della vedova del Generale, ritenendoli veritieri serviranno per coloro che potranno avere maggiori documenti di autenticità... Con queste parole inizia il resoconto sugli ultimi giorni di vita del generale Garibaldi, stilato da un anonimo compilatore che svela i difficili momenti vissuti dall.eroe durante la sua malattia. E sono brani di storia quelli che raccontano le pagine di libri e di giornali dell.epoca, che testimoniano i documenti autografi o che affiorano dalle rappresentazioni dei luoghi di battaglia e dai volti dei protagonisti del Risorgimento ritratti in antiche fotografie all.albumina o illustrati da abili disegnatori e caricaturisti. Questo primo quaderno, che inaugura la collana Quaderni della Rivista 'Accademie & Biblioteche d'Italia', è il catalogo di una piccola esposizione ideale che, attraverso un breve percorso tra testi a stampa e manoscritti, fotografie e rari cimeli, selezionati nell.ingente patrimonio bibliografico delle Biblioteche pubbliche statali, vuole offrire un piccolo apporto alle celebrazioni per i centocinquanta anni dell'Italia Unita." (Dalla presentazione di Maurizio Fallace)
È il 22 ottobre 1867: a Roma scoppia l'insurrezione, mentre le Provincie dello Stato Pontifìcio sono invase, già da un mese, dalle camicie rosse. È l'ultimo tentativo, infruttuoso, prima della presa di Porta Pia, per fare di Roma la capitale del Regno d'Italia. Il piano verrà attuato grazie alla determinazione del deputato bergamasco Francesco Cucchi, che organizzerà la rivolta con l'aiuto dei gruppi liberali romani. Il vecchio leone garibaldino, Francesco Crispi, riuscirà ad ottenere l'appoggio (clandestino) del governo Rattazzi. Ed ancora una volta, il sessantenne Garibaldi, fuggito dall'esilio di Caprera, compatterà il movimento e gli darà una guida, fino alla sconfitta di Mentana. Anche se fallì, l'insurrezione dell'autunno 1867 verrà ricordata per alcuni episodi drammatici passati alla storia: l'esplosione, in Borgo, della caserma "Serristori"; l'esecuzione capitale dei due responsabili Monti e Tognetti, l'ultima prima dell'annessione, che tanto scalpore ed indignazione provocò nell'Europa di allora; la strage del lanificio Ajani ed il sacrifìcio di Giuditta Tavani Arquati, come ancora oggi ricorda la targa commemorativa sul palazzo. Forse fu a causa di un'organizzazione non perfetta, per colpa di qualche tradimento e per l'illusione che il popolo romano fosse pronto per il grande salto verso l'Italia, che l'insurrezione fallì. Alcuni municipi della provincia resistettero più a lungo, come quello di Cori, che resse una settimana intera, fino alla sconfitta di Mentana.

