
Alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, i più immorali pensavano soltanto di ricavare dei guadagni per potersi adeguatamente arricchire. Gli idealisti, invece, credevano di offrire all'Italia l'opportunità di conquistare peso e prestigio internazionale, in modo da restituirle quel ruolo che vagheggiavano ma che, dopo i fasti della Roma dei Cesari, era rimasto incartato nei libri della storia classica. Negli ultimi dieci anni, prima di quel 1914, i soldati erano cresciuti alle direttive del generale Paolo Spingardi, ottimo oratore parlamentare e del generale Alberto Pollio, ottimo scrittore. L'uno e l'altro - con tutto lo stato maggiore coltivavano il mito di Napoleone del quale leggevano con avidità biografie, recensioni, commenti strategici e valutazioni tattiche. Al momento dell'entrata in guerra, l'esercito italiano venne affidato a Luigi Cadorna che, se avesse ottenuto risultati proporzionali alla sua presunzione, avrebbe conquistato il globo terracqueo. I guai maggiori di chi combatteva per l'Italia vennero dagli stessi italiani che dimostrarono di non aver maturato alcuna idea e che, tuttavia, a quel nulla, si aggrapparono con convinzioni incrollabili. Si armarono di ordini assurdi. Pretesero di mandare le truppe all'assalto anche quando ogni logica l'avrebbe sconsigliato. Instaurarono un regime di oppressione che sarebbe risultato odioso per una qualunque dittatura. E provocarono la morte di un numero imprecisato di loro uomini.
Quasi tremila morti, migliaia di dispersi e deportati: fu questo il Risorgimento per i vinti nel Mezzogiorno d'Italia. Dallo sbarco di Garibaldi fino alla capitolazione dell'esercito delle Due Sicilie a Gaeta passarono appena nove mesi. Tanto bastò a sfaldare un regno, che la dinastia dei Borbone aveva guidato per 127 anni. Su quel tracollo solo ora emerge, finalmente nella sua interezza, uno spaccato da conquista militare: diplomazia, forza delle armi e politica riuscirono a creare le condizioni per un'annessione al Piemonte, che violava le norme del diritto internazionale, realizzata con i fucili senza il consenso delle popolazioni. In poco tempo le regioni meridionali, con 9 milioni di abitanti, furono "italianizzate": azzerati monete, codici penali e civili, burocrazie. Tra il 1860 e il 1861 gli sconfitti, protagonisti di questa ricostruzione storica, furono soprattutto migliaia di pastori, carbonari e contadini del Matese, delle Puglie, delle campagne salernitane, della Sicilia, dei Tre Abruzzi, del contado del Molise, della Calabria, di Napoli. Un esercito di oltre 50 mila uomini: meridionali, a difendere quella che allora era la loro Patria. Su quei mesi, sui militari, sulla generazione che realizzò in concreto il Risorgimento, sia nella vittoria sia nella sconfitta, l'Archivio Borbone è una miniera ancora poco esplorata.
A differenza del nazismo al quale sono stati dedicati studi di storia sociale sia da parte di storici tedeschi sia anglosassoni, il fascismo italiano appare ancora privo di una storia sociale complessiva, mentre esso è divenuto oggetto e modello per una lettura culturale del fenomeno totalitario. Questo lavoro si presenta come prima sintesi della società italiana sotto il regime fascista, dagli anni della presa del potere sino alla sua crisi durante il conflitto mondiale, passando attraverso il lungo decennio dell'organizzazione e dell'ottenimento di un consenso tra classi medie e tra ceti popolari. Partendo da studi che hanno ricostruito settori specifici dell'organizzazione di massa del partito (le opere rivolte all'infanzia, alla maternità, ai giovani, al dopolavoro) la mobilitazione della popolazione maschile (la milizia, lo sport) ed analizzato l'insediarsi e l'organizzarsi del regime in provincia, il libro esamina l'incidenza del fascismo nella quotidianità degli italiani, nelle mentalità, nel plasmare paternalismo e conformismo ed anche individua atteggiamenti di resistenza e di dissidenza sociale e culturale.
Nel marzo 1807, lontano dalla Francia, Napoleone Bonaparte scriveva alla moglie Giuseppina: "So fare altre cose oltre a condurre guerre, ma il dovere viene per primo". E nell'arco di vent'anni appena, dall'ottobre 1795, in cui era un giovane capitano di artiglieria mandato a sedare tumulti a Parigi, fino al giugno 1815 e alla sconfitta finale di Waterloo, Napoleone ebbe modo di mostrare in quante forme questo senso del dovere poteva manifestarsi: conquistato il potere con un colpo di stato, pose fine alla corruzione e all'incompetenza in cui si era arenata la Rivoluzione, e se da una parte reinventò l'arte della guerra in una serie di battaglie folgoranti, dall'altra ricreò dalle fondamenta l'apparato legislativo e amministrativo, modernizzò i sistemi di istruzione e promosse la fioritura dello "stile impero" nelle arti. Poi l'impossibilità di sconfiggere il suo nemico più ostinato, la Gran Bretagna, lo spinse verso campagne estenuanti e alla fine fatali in Spagna e Russia, fino all'epilogo in sordina della sua vita avventurosa, in esilio a Sant'Elena. Andrew Roberts ha attinto al corpus completo delle 33000 lettere napoleoniche e ha visitato quasi tutti i campi di battaglia e i luoghi della sua vita, mostrandoci "l'imperatore dei francesi" com'era davvero: incredibilmente versatile, ironico, ambizioso, ferocemente determinato ma anche disposto al perdono, ossessionato dalla discendenza e scostante in amore...
Il 10 dicembre del 1936 Edoardo VIII rinuncia al trono d'Inghilterra per amore dell'americana Wallis Simpson. Il nuovo sovrano è suo fratello "Bertie", Giorgio VI, padre di Elisabetta e Margaret. In quei giorni la piccola Margaret, che ha solo sei anni, chiede alla sorella maggiore: "Questo significa che poi diventerai regina anche tu?". "Suppongo di sì", risponde Elisabetta, improvvisamente molto seria. E Margaret commenta, candida: "Povera te". Quasi ottant'anni dopo, il 9 settembre 2015, la regina Elisabetta II ha superato il record del regno di Vittoria, durato 63 anni e 217 giorni, divenendo il sovrano che ha regnato più a lungo nella storia della Gran Bretagna. Vittorio Sabadin racconta la straordinaria vita di Elisabetta: la lunga storia d'amore con Filippo di Grecia, dal loro primo incontro, a bordo dello yacht reale, quando lui era soltanto un giovane allievo ufficiale della Marina e lei aveva appena tredici anni, sino ai festeggiamenti per le loro nozze di diamante (unici reali nella storia inglese a raggiungere il traguardo); il complesso rapporto con il figlio Carlo e con "la principessa del popolo", Diana; le relazioni, non sempre facili, con i capi di Stato stranieri e con i premier inglesi - memorabili i contrasti con Margaret Thatcher e Tony Blair. Una biografia curiosa e documentata, che intreccia i grandi eventi storici e gli aneddoti più intimi e personali, restituendo un ritratto spesso sorprendente della Regina.
Le origini di Roma si perdono nella mitistoria della sua fondazione e della guerra combattuta da Romolo re dei Romani contro Tito Tazio re dei Sabini. Sull’Urbe vigilava la divinità civica custode della città: Giove, che Romolo aveva invocato durante la battaglia e che lo aveva soccorso nella difesa di una porta delle mura cittadine. Respinti i Sabini, Romolo istituisce un nuovo culto al Dio chiamato Statore perché in quel punto aveva fermato la ritirata dei Romani.Come spiega Andrea Carandini, il cuore di Roma è composto da un’infinità di dettagli intricati. Mutevole come la corrente del Tevere che l’attraversa, Roma ha ripetutamente cambiato volto, forma e materia: la città di età regia, conservata negli strati più profondi; quella di età repubblicana e quella ormai di marmo di Augusto e dei suoi primi successori. Questa Roma era destinata tuttavia a perire in gran parte al tempo dell’incendio del 64 d.C. e a diventare una città nuova, il cui centro assomigliava ormai a quello di una città ellenistica come Alessandria in Egitto, con uno scacchiere urbano regolare e monumentale, dominato dall’immane reggia di quell’anti-Cristo sotto il quale sono stati martirizzati Pietro e Paolo: Nerone.
"Lo Stato italiano ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri.» Con queste parole Antonio Gramsci commenta gli avvenimenti che intorno agli anni sessanta dell’Ottocento insanguinano le campagne nel sud del paese.
La storiografia ufficiale ha dipinto a lungo le truppe piemontesi come un esercito di liberazione, strumento di riscatto per tutti i “cafoni” del Sud. Invece, da subito, quei militari si dimostrarono una vera e propria forza di repressione a difesa di una dominazione violenta, statale e di classe, con metodi che fornirono ulteriori argomenti a una rilettura storica del processo di unificazione politica della penisola.
In questa prospettiva i “briganti” criminalizzati sulle pagine dei quotidiani del tempo assumono una fisionomia diversa. Non più solo capibanda ma eroi popolari, rivoluzionari romantici costretti a combattere contro un governo miope e tiranno.
Utilizzando testimonianze, verbali di polizia e diari, Gigi Di Fiore ripercorre quei mesi in cui il Sud divenne un Far West, salvando la memoria di uomini simbolo di identità e riscatto di un meridione umiliato e offeso. Incontriamo così Carmine Crocco Donatelli, il “generale dei briganti” che raccolse sotto la sua bandiera affamati e disperati, spinti da una voglia di rivincita che sfocerà infine nella lunga marcia attraverso la Basilicata; Cosimo Giordano che sollevò il Sannio contro i bersaglieri responsabili poi del tremendo massacro di innocenti nel paese di Pontelandolfo; e infine la storia del legittimista Pasquale Romano, detto “Enrico la Morte”, che guidò lo scontro fratricida per le strade di Gioia del Colle e poi, rimasto solo con un drappello di rivoltosi, fu trucidato a colpi di sciabola. Con loro, tante altre storie di contadini ribelli.
A scatenare quella guerra tuttavia non fu solo lo Stato italiano. In queste pagine Di Fiore amplia la schiera dei colpevoli, puntando il dito contro i “Gattopardi” meridionali, proprietari terrieri e notabili che manovrarono la ribellione per i loro tornaconti, restando alla fine ancora i veri detentori del potere. Una classe dirigente immobile e codarda, rimasta al suo posto facendosi scudo con la violenta repressione e le armi dell’esercito. Una classe dirigente che ha purtroppo, ancora oggi, tanti successori
Negli ultimi anni la Resistenza è stata oggetto di innumerevoli narrazioni e contronarrazioni, non di rado discutibili. Ma se molti sono i contributi che ne hanno analizzato la portata etica e politica - e altrettanti quelli che in modi diversi hanno cercato di negarla o ridimensionarla - pochi storici recentemente hanno avuto il coraggio di fare un passo indietro rispetto alle ideologie, e ripartire da una rigorosa cronistoria dei fatti della guerra civile. É il caso di Gianni Oliva, che in questo libro ci offre una narrazione accurata dei rivolgimenti epocali e delle vicende quotidiane degli italiani dopo l'estate 1943: la destituzione di Mussolini e 1'8 settembre, la scelta tra due diverse Italie per cui combattere, la creazione della R.S.I., il proclama Alexander, l'ultimo, durissimo inverno di guerra e le insurrezioni dell'aprile '45. Ma non solo: Oliva decide di non interrompere il racconto con la fine ufficiale delle ostilità: ricostruisce anche la tragica resa dei conti seguita di lì a poco, e la prosecuzione della Resistenza nella vita civile della nuova Italia fino al 1948, nell'idea che proprio in quei tre anni l'esperienza partigiana ha trovato vero compimento.
Nei primi decenni del secolo scorso la parola "Abissinia" occupava un posto di rilievo nell'immaginario collettivo degli italiani. Bastava nominarla per evocare non solo luoghi esotici divenuti mitici grazie alle imprese militari in terra d'Africa compiute dal nostro paese in epoca post-risorgimentale, ma anche un confuso groviglio di desideri inespressi: il fascino dell'ignoto, la ricerca dell'isola felice, a cui si accompagnava la volontà di rivalsa per le sconfitte subite in Etiopia nell'ottocento. In questo clima si gettarono le basi del progetto imperiale mussoliniano che culminò nella guerra d'Abissinia. Gli stati d'animo e le aspettative di quegli anni offrono ad Arrigo Petacco lo spunto per ripercorrere l'intero arco dell'avventura coloniale italiana.
La storia di guerre e conquista inaugurata dalla Prima crociata è cosi densa e complessa che in genere se ne tralasciano i dettagli pratici, ricostruendone solo le battaglie salienti, le trattative successive e i cambi di potere in Tèrrasanta. Ma, ci spiega Christopher TYerman, le crociate erano innanzitutto una gigantesca macchina organizzativa: non solo l'accurata scelta del casus belli e la ricerca di alleanze e finanziamenti, ma anche l'arruolamento di migliaia di persone, la raccolta di armi, vettovaglie e cavalli e il loro trasporto dall'altra parte del Mediterraneo erano parte di una complessa organizzazione che nulla lasciava al caso, qualcosa di molto diverso dall'immagine "brancaleonesca" che conosciamo. Dettagliato e divertente, ricco di storie e curiosità, «Come organizzare una crociata» dimostra come questo fenomeno storico, che il razionalismo illuminista vuole figlio della religione più oscurantista e reazionaria, si basasse invece su una particolarissima forma di razionalismo pragmatico, che per certi versi, e in modi tortuosi, avrebbe poi gettato le basi della nostra modernità.
Questo nuova edizione dell'Atlante ripercorre la trama della storia attraverso 93 tavole corredate da numerosissime carte, esaurienti testi esplicativi e molte illustrazioni. La cartografia, ricca di informazioni, si presta a molteplici chiavi di lettura, dal quadro d'insieme all'analisi dettagliata. I testi, integrati da approfondimenti e sintetiche cronologie, consentono di cogliere sia i momenti più significativi che gli aspetti meno noti di quanto descritto. La storia è rappresentata nel suo continuo divenire: gli eventi, proposti come quadri dinamici, sono messi in relazione fra loro come componenti di un processo fitto di intrecci. L'Atlante è suddiviso in diverse sezioni, dalla preistoria all'età contemporanea, con particolare attenzione alle problematiche del terzo millennio e ai più scottanti temi di attualità. In chiusura, una serie di tavole cronologiche ripercorrono le tappe salienti della storia dipanandosi lungo efficaci linee del tempo. Un indice dei luoghi e dei personaggi agevola la ricerca degli argomenti trattati.
Gerusalemme, 1120: nel cielo chiaro del mattino, dove prima risuonava il canto del muezzin, ora vibrano i rintocchi bronzei della campana del Tempio di Salomone. In questo luogo mistico, crocevia dei fedeli di varie confessioni, hanno da poco preso dimora i chierici guardiani dei caravanserragli e delle vie di pellegrinaggio verso la Città Santa. Da questa nuova casa hanno tratto il nome: templari. Ma di quella campana che tenne a battesimo i milites Christi oggi non resta che una fotografia in bianco e nero, scovata tra le carte d'archivio ora al museo Rockefeller. Con questa campana comincia la Storia dei templari in otto oggetti di Franco Cardini e Simonetta Cerrini, entrambi convinti che la Storia non si trovi soltanto racchiusa nei libri, ma anche e forse soprattutto nei reperti che il tempo lascia dietro di sé. Così una chiave, un cucchiaio, un sigillo, una formula magica, un reliquiario, un portale si rivelano scrigni prosaici di verità liberate dalla polvere del passato, dalle incrostazioni delle leggende. Questi oggetti raccontano in modo nuovo e originale la vicenda dei templari, ripercorrendone gli snodi principali e le sottotrame più segrete: conosceremo la reliquia della Vera Croce rubata da un sacerdote che, pentito, decide di lasciarla in custodia ai templari di Brindisi prima di essere gettato tra le onde; seguiremo le rocambolesche peripezie di Ruggero di Flor, il templare che si fece corsaro, e assisteremo alla retata francese in cui furono catturati più di mille milites tra cui Jacques de Molay, ultimo gran maestro dell'ordine. Risolveremo l'enigma dell'architettura templare, scopriremo che cosa aprivano le chiavi del Tempio e che cosa significa l'immagine dei due cavalieri sul loro misterioso sigillo; vivremo la quotidianità dei riti del cibo e del vino, la fedeltà che legava ogni templare al suo cavallo. Infine, sulla scia delle fantomatiche logge massoniche e rosacrociane, evocheremo la resurrezione postuma del loro mito tra verità e mistero, complotti e chimere, tutto infuso idealmente nell'ultimo oggetto, una preziosa tiara neotemplare del XIX secolo. Con rigore storiografico e viva curiosità, Cardini e Cerrini guidano il lettore tra le teche illuminate di un museo ideale, mostrando ancora una volta come la Storia si nasconda nei dettagli, spesso superando di slancio la fantasia dei romanzi.

