
L'Occitania, che oggi è semplicemente la parte meridionale della Francia, nel Medioevo era una regione che disponeva di una lingua propria e che aveva elaborato una cultura originale e un'identità specifica a lungo difesa dalle pretese espansionistiche del regno di Francia. Ai trovatori occitani del XII secolo si deve l'invenzione dell'amore cortese e l'elaborazione di un nuovo linguaggio poetico capace di influenzare per secoli lo sviluppo della letteratura e della riflessione intorno all'amore in Europa: senza di loro non avremmo avuto lo Stil Novo toscano, Dante e Petrarca. Questo libro è il primo studio a tutto tondo della società in cui i trovatori hanno vissuto e operato, un'area oggi ingiustamente trascurata e che non è, e soprattutto non era, soltanto una regione della Francia. Il lettore vi troverà descritto, con stile piacevole ma approfondito, la vita delle corti - come quella di Guglielmo d'Aquitania, poeta e governante illuminato in cui si incontravano nobildonne, trovatori e cavalieri, ma anche la vita quotidiana delle campagne, delle donne e dei bambini, la religiosità - oggetto di forti tensioni e conflitti culminati nella crociata contro i Catari - e il dinamismo culturale in ambito medico, letterario e filosofico di questo territorio che faceva da cerniera e da tramite culturale tra l'Europa cristiana e la Spagna ancora in parte musulmana.
Abitudini o divieti formali per secoli tennero lontana la donna medievale dalla scrittura. Questo libro di Luisa Miglio investiga attraverso un metodico lavoro di riconoscimento e di studio le occasioni e le situazioni di scrittura femminile tra il medioevo e la prima età moderna. Il possesso dell'alfabeto era per una fiorentina del Quattrocento una virtù o un accessorio biasimevole? In quali strati della società era più facile l'accesso alla scrittura? Mondo laico e mondo religioso mostravano differenze di comportamento? L'autrice attraverso l'analisi delle tracce materiali nei documenti d'archivio - scopre quali furono le motivazioni che indussero alcune donne a prendere in mano la penna: annullare lontananze, dare corpo al proprio immaginario e alla propria memoria, guadagnarsi da vivere, sopperire alla mancanza di scriventi maschi, infrangere il monopolio maschile della scrittura.
È possibile discutere con i revisionisti, con coloro che negano la realtà del genocidio hitleriano fino a mettere in dubbio l'esistenza delle camere a gas? Per Pierre Vidal-Naquet la risposta è, senza alcuna esitazione, no. E non solo perché il dialogo presuppone un terreno comune, ma anche perché tra gli storici non esiste alcun dibattito che si possa definire scientifico sulla tragica verità dello sterminio nazista. Comprendere l'origine di una tale aberrazione è dunque più che mai necessario: si può e si deve discutere sui revisionisti, analizzando i loro testi "come si fa l'anatomia di una menzogna".
Nel basso Medioevo una parte importante della popolazione urbana era costituita da manodopera dipendente, impegnata nelle manifatture tessili, nei cantieri edili, nella metallurgia, nelle attività portuali, nelle botteghe artigiane. Conoscere meglio quali furono l'organizzazione del lavoro, la tipologia della manodopera impiegata, le competenze e le abilità richieste, i contratti di ingaggio, i salari corrisposti, i regimi alimentari, gli istituti e le confraternite destinati all'assistenza dei lavoratori, significa far luce su aspetti non secondari della società e dell'economia medievale.
Le grandi migrazioni interne che hanno attraversato l'Italia negli anni del boom economico sono state finora descritte dagli storici come un fenomeno esclusivamente maschile, in cui le donne si sarebbero limitate a seguire gli uomini, per poi "misteriosamente" sparire dal mondo del lavoro, chiuse all'interno delle mura domestiche. La ricerca di Anna Badino presenta uno scenario del tutto diverso del rapporto tra emigrazione femminile e lavoro. Attraverso l'incrocio di fonti statistiche e qualitative, l'indagine prende in esame un ampio campione di donne immigrate tra fine anni Cinquanta e primi anni Settanta a Torino, città simbolo dello sviluppo industriale italiano. Il quadro che emerge è innanzi tutto quello di una forte spinta femminile al lavoro: un lavoro che non è solo quello operaio, ma che assume spesso la forma di occupazioni irregolari, marginali e "invisibili", sempre però contrassegnato dalla difficoltà di conciliare impegni casalinghi e attività extradomestiche. Si delinea così una realtà multiforme e variegata, capace di produrre mutamenti inattesi anche nei modelli di organizzazione familiare, che nessuno aveva ancora raccontato.
Durante la Guerra Fredda nessuno avrebbe immaginato che il crollo dell’Unione Sovietica sarebbe stato scatenato da dinamiche interne, e nemmeno che sarebbe avvenuto in relativa calma, senza grandi conflitti.
Il lavoro di Stephen Kotkin mostra che la prima causa del collasso sovietico non è stata la competizione militare ma, paradossalmente, il nucleo ideale dell’ideologia comunista: il sogno di un socialismo dal volto umano capace di migliorare la vita dei cittadini senza rinunciare ai principi di giustizia e uguaglianza. Le riforme neo-liberali non sono mai state davvero messe in atto nella Russia post-sovietica, né avrebbero potuto esserlo, considerato il fardello dell’eredità sovietica in ambito istituzionale, politico, economico e sociale.
Il libro ricostruisce in modo chiaro e conciso il dramma di una superpotenza di 285 milioni di abitanti che si è sgretolata pur avendo a disposizione un immenso esercito, sostanzialmente fedele allo Stato, e uno spaventoso arsenale di armi nucleari e chimiche. E lo ha fatto evitando non solo l’Apocalisse, ma anche esplosioni di violenza potenzialmente destabilizzanti per l’intero scenario geopolitico internazionale.
Stephen Kotkin insegna Storia moderna e contemporanea all’Università di Princeton, dove ha diretto dal 1996 al 2009 il Program in Russian and Eurasian Studies. È considerato uno dei più autorevoli studiosi di storia dell’Unione Sovietica.
Mentre l'epoca imperiale romana è normalmente considerata un tutto unico, l'alto medioevo continua a essere descritto come un assemblaggio di storie regionali, vagamente corrispondenti alle aree delle moderne nazioni europee. La conseguenza è che la storia di questo periodo è una storia frammentaria, che ha prodotto solo rare sintesi del grande cambiamento socio-economico sviluppatosi nell'intero mondo post-imperiale. In questo suo monumentale lavoro l'autore integra testimonianze documentarie e archeologiche (comprese le più recenti scoperte), creando una nuova storia comparativa della fine della tarda antichità e del primo medioevo che - dalla Danimarca all'Egitto, e con la sola esclusione dei territori slavi - abbraccia il mondo mediterraneo e l'Europa continentale. Con l'obiettivo di comprendere e spiegare somiglianze e differenze tra le diverse aree geografiche, senza assumere come "tipico" lo sviluppo di una singola regione e come "eccezione" ogni divergenza dal modello, Chris Wickham si concentra sui temi socio-economici classici, la finanza dello stato, la ricchezza e l'identità delle aristocrazie, la gestione delle proprietà terriere, la società contadina, gli insediamenti rurali, le città e gli scambi commerciali.
Gli studi raccolti in questo volume avviano una riflessione di lungo periodo - dal Medioevo al Novecento - sulle radici storiche dell'antisemitismo e sui modi della costruzione e della trasmissione nel tempo degli stereotipi antiebraici. Tale approccio tenta di inserire le vicende dell'antisemitismo novecentesco, con la sua deriva razziale, in una visione più ampia che, pur tenendo sempre presenti le distinzioni temporali e i contesti specifici, induca a leggere la contemporaneità con una maggiore consapevolezza storica. Dalle ricerche qui presentate emerge quanto sia fuorviante continuare a considerare l'antigiudaismo religioso e l'antisemitismo razzista come fenomeni non comparabili perché appartenenti a epoche diverse e fondati su logiche differenti. Entrambi, invece, hanno avuto forti implicazioni politiche legate alla costruzione dell'identità di un gruppo di individui rispetto a un altro, percepito come diverso e quindi pericoloso. Condizionamenti e paure, questi, che si sono acuiti soprattutto in concomitanza di particolari momenti di crisi e di insicurezza pubblica e sociale. L'antigiudaismo cristiano, coltivato sul suolo europeo e italiano nel corso di secoli, si riversò senza ostacoli nell'antisemitismo moderno che, rivestito di distruttive suggestioni biologiche, antropologiche e razziali, avrebbe portato nel XX secolo alla tragedia della Shoah.
Il fenomeno del duello a un esame ravvicinato offre molte indicazioni sulla storia della società europea. Di tempo in tempo fu prova della disponibilità a difendere la propria causa a rischio della vita, poi dimostrazione della volontà divina che si doveva manifestare sul campo e, da ultimo, tutela dell'onore che si pensava di poter conservare soltanto mediante la sfida armata. In cinque studi di carattere monografico i problemi vengono affrontati nelle diverse epoche e con differenti prospettive per illustrare la pratica del duello nei suoi complessi sviluppi.