
Chi ha ucciso il re
Tarquinio Prisco?
E chi è davvero
il suo successore
Servio Tullio,
bastardo nato da
una serva e da un dio?
Una grandiosa ricostruzione
storica svela l'enigma alle origini
della potenza di Roma.
578 A.C., una congiura di aristocratici uccide Tarquinio Prisco, quinto re di Roma. Sua moglie, la regina Tanaquil, convince il popolo che il re non è morto ma giace ferito, e che le sue funzioni saranno rette da Servio Tullio. Ma chi è veramente quest'uomo che avrà presto in mano il destino di Roma? Le sue origini, come quelle di Romolo, sono avvolte in un mistero che ha resistito fi no ai giorni nostri. Nato da una serva, Servio è per Tanaquil una sorta di fi glio adottivo, cresciuto sotto la sua ala protettrice e per Tarquinio è il successore predestinato, a cui ha aperto la strada nominandolo comandante dell'esercito. È il "divino bastardo", un illegittimo dalla natura prodigiosa. Carandini, archeologo di fama mondiale, ripercorre le tappe della sua ascesa, indagando storia e mito nelle fonti antiche e nell'affresco di una tomba di Vulci, che svela l’enigma di questo primo tiranno di Roma, riformatore e anticipatore della Repubblica. È la storia di un re nato servo che, contrastando i privilegi dei patrizi, apre la strada alle grandi riforme grazie alle quali Roma diventa una grande città e una potenza nel Mediterraneo.
Un regista leggendario,
due attrici innamorate e gelose,
il meraviglioso scenario delle Eolie.
Uno scandalo e un caso politico
che arriveranno fino in usa.
“Mr Rossellini,
ho visto i suoi film e li ho apprezzati moltissimo.
Se ha bisogno di un’attrice svedese, che parla molto bene
l’inglese, che non ha dimenticato il tedesco, non riesce a farsi
capire molto bene in francese e in italiano sa dire soltanto
“ti amo”, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei.”
Ingrid Bergman
Nella primavera del 1948 un incendio distrugge la sede romana della Minerva film, mandando in fumo chilometri di pellicola. Miracolosamente si salva dal fuoco una lettera, indirizzata a Roberto Rossellini. Recapitata il 7 maggio, il giorno prima del suo compleanno, è firmata da Ingrid Bergman, che, folgorata dai lavori del regista, vorrebbe recitare con lui. Rossellini, all’apice del successo, sta progettando un nuovo film ambientato alle Eolie con Anna Magnani, con la quale vive una relazione appassionata e burrascosa. Lusingato, avvia in gran segreto le trattative con l’attrice svedese. Non immagina che di lì a poco tra di loro esploderà un’attrazione tanto travolgente da far scoppiare un grande scandalo nell’Italia e nell’America allora ancora molto puritane, e un caso politico internazionale, che approderà fino al Senato Usa. Quando Anna scopre di essere stata tradita — come artista e come donna — medita la vendetta: il film alle Eolie si farà, con o senza di lui. Negli stessi mesi, su due isole vicine, Stromboli e Vulcano, due troupe realizzano due film praticamente identici, in un clima reso infuocato dai pettegolezzi. Marcello Sorgi racconta con grande maestria una storia che intreccia dramma e commedia, facendo rivivere i protagonisti in tutto il loro carisma, ma anche nella loro grande umanità: Rossellini bugiardo e intrappolato in un orgoglioso maschilismo; la Bergman ossessionata dall’idea di essere una brava moglie; la Magnani lunatica e dispoticamente capricciosa. Sullo sfondo, compassati nobiluomini siciliani, cronisti senza scrupoli, grandi intellettuali e umili attori improvvisati. E il mondo brillante e pieno di fermento della Roma del dopoguerra, così mirabilmente ritratta dal neorealismo rosselliniano, ansiosa di superare il recente passato per ricominciare a vivere.
Attila aveva lo sguardo irrigidito. “Non ho mai visto una cosa simile. Che vuoi tu da me?” “Io? Niente: te l’ho già detto.” Ma la voce dolce di papa Leone si era rifatta dura e tagliente. “Dio ti ha detto ciò che vuole da te. Ora basta, la misura è piena. Torna indietro, Attila.”
Da Oriente avanza la minaccia di Attila, un pericolo che l’Occidente presume di conoscere, ma il cui radicalismo è invece culturalmente inconcepibile per una Cristianità governata da un potere fine a se stesso, preoccupato solo di mantenere i propri equilibri. A contrastare l’avanzata di quest’uomo grande e terribile, solo due figure si ergono: Ezio, l’ultimo vero romano, e papa Leone. Al centro della storia, proprio l’incontro tra Leone e Attila, attorno ai quali ruotano gli altri personaggi: dal kan Bleda, fratello di Attila, a Galla Placidia, vera imperatrice in nome del figlio Valentiniano, alla giovane Onoria. E, sullo sfondo di vicende umane distanti eppure collegate, il panorama triste e decadente di un impero in disfacimento, ridotto alle proprie fastose apparenze esteriori.
Louis de Wohl (1903-1961), tedesco di padre ungherese e madre austriaca, dopo essere fuggito dalla Germania hitleriana nel 1935, prestò servizio come capitano nell’esercito britannico durante la Seconda guerra mondiale. In BUR sono pubblicate le biografie di Giovanni d’Austria (L’ultimo crociato), di san Tommaso d’Aquino (La liberazione del gigante), di santa Caterina da Siena (La mia natura è il fuoco), di Elena madre dell’imperatore Costantino (L’albero della vita). I suoi romanzi sono tradotti in dodici lingue.
“Il giorno più lungo”, come lo definì Rommel, sta per iniziare. Sono le ore 0.00 del 6 giugno 1944 e le truppe vengono allertate: è il D-Day, gli Alleati stanno per sbarcare in Normandia. L’obiettivo è la resa incondizionata della Germania nazista. Il contingente coinvolto è massiccio: 5000 navi e mezzi anfibi, 104 cacciatorpedinieri, 130.000 soldati che quella notte si avvicineranno via mare alla costa francese e 20.000 uomini paracadutati. Nonostante i dubbi di Churchill sull’invasione dell’Europa attraverso la Manica e l’arroganza del generale Montgomery, Eisenhower fuma nervoso mentre scrive, oltre all’annuncio della vittoria, una dichiarazione in cui si assume ogni responsabilità dell’operazione Overlord, che poteva rivelarsi un disastro. Cosa andò storto? Cosa rese la battaglia che salvò l’Europa un selvaggio spargimento di sangue? Lettere dal fronte, diari e memorie personali delle truppe alleate si intrecciano con la documentazione ufficiale della grande Storia, in questo libro che è la ricostruzione definitiva della battaglia sulla spiaggia di Omaha: Antony Beevor sa dare spazio alle voci autorevoli della storiografia, ma anche all’orrore del soldato atterrato incolume che assiste allo schianto di 18 uomini lanciati dall’aereo a quota talmente bassa da impedire ai loro paracadute di aprirsi. E dalla carneficina del 6 giugno alle teorie neonaziste di un complotto contro Hitler, ripercorre la storia di una campagna sanguinosa, durata tre mesi, che dal D-Day culmina nella liberazione di Parigi il 25 agosto 1944. Un resoconto crudo e incalzante di un evento bellico inciso a fuoco nella memoria collettiva d’Europa.
Antony Beevor ex ufficiale dell’esercito britannico, è romanziere e saggista specializzato in storia militare. I suoi libri sono stati tradotti in 29 Paesi. In Italia sono usciti per Rizzoli il bestseller internazionale Stalingrado (1998), Berlino 1945 (2002) e Creta. 1941-1945: la battaglia e la resistenza (2003), tutti disponibili in BUR.
Atleti, intellettuali e spie:
sul palcoscenico di una Roma torrida e romantica
rivivono gli indimenticabili protagonisti
di giochi olimpici entrati nella leggenda
e del grande gioco
della politica internazionale.
“Maraniss racconta con la precisione di uno storico
e lo stile avvincente di un romanziere.
Roma 1960 si popola così di personaggi strani
e di storie segrete o dimenticate.”
– La Repubblica
“Chi ama lo sport e la politica
deve avere questo libro.”
– International Herald Tribune
“Roma, nel 1960, fu spazzata dalle Olimpiadi come da una ventata di freschezza.” In una città che cerca di scrollarsi di dosso le pesanti eredità del fascismo, già immersa nella Dolce Vita e nel boom economico, approdano dai quattro angoli della Terra le delegazioni sportive di quelle che passeranno alla storia come le prime Olimpiadi dal dopoguerra a tornare ai fasti del passato, ma nel contempo le ultime dell’era romantica, ispirate ancora a una concezione aristocratica e “non professionista” dei Giochi. In questo periodo cominciano infatti a emergere nuove forze destinate a mutare profondamente lo sport in generale: gli sponsor, le tecnologie, il doping. “Eravamo galletti ruspanti e non bronzi di Riace” ricorda Livio Berruti, oro nei 200 metri, “ora anche il più sano ha bisogno di supporti medici specializzati.” E le prime Olimpiadi in mondovisione sono anche il palcoscenico di un equilibrio politico mondiale in rapida evoluzione, con Usa e Urss al centro di una sfida a suon di medaglie e di propaganda, un altro volto di quella Guerra fredda che nel giro di due anni porterà alla crisi dei missili. Roma 1960 intreccia le cronache mozzafiato e le personalità eccezionali di quei diciotto giorni a scenari politici e questioni sociali che avrebbero segnato i decenni successivi, ricostruendo il ritratto collettivo di un’Italia perduta, popolata per un’intensa stagione da personaggi entrati nel mito. La medaglia gettata da Cassius Clay; la riscossa degli atleti delle ex colonie di cui Abebe Bikila, il “corridore scalzo” etiope, diventa il simbolo; le leggendarie Tigerbelles, afroamericane che sfidano, vincendo, i pregiudizi maschilisti e razziali del pianeta intero. Senza dimenticare le gesta meno confessabili degli ambigui personaggi che nell’ombra inseguivano il potere o il denaro, ben consapevoli che quel “semplice” evento sportivo stava scrivendo una pagina fondamentale nella storia del secolo breve.
Una rassegna degli intrighi, degli abusi e degli inganni che accompagnarono il processo di unificazione; i vizi d’origine di un Risorgimento che non fu solo lotta contro il dominio straniero, ma ebbe anche caratteri di guerra civile.
— Corriere della Sera
Come è possibile che un manipolo di 1000 garibaldini abbia sconfitto un esercito di 50.000 borbonici? Con quali poteri, con quali mafie dovettero allearsi Garibaldi e Cavour? Quella che la storia, scritta dai vincitori, ha battezzato “unificazione d’Italia” fu in realtà una guerra di conquista condotta dal Piemonte contro gli Stati sovrani del Centro e del Sud. E nei decenni successivi gli eventi che non si accordavano con la retorica patriottica sono stati nascosti o deformati. Così, dei ventidue anni dall’esplosione rivoluzionaria del 1848 alla breccia di Porta Pia, molto rimane nell’ombra: il bombardamento piemontese di Genova nel 1849, i plebisciti combinati per le annessioni degli Stati centrali, i provvedimenti anticattolici, la guerra al brigantaggio e le “leggi speciali”, la corruzione dei conquistatori e le loro collusioni con la malavita locale. Gigi Di Fiore ribalta un periodo cardine della nostra storia moderna per vederlo con gli occhi dei vinti: recupera documenti e testimonianze di una storiografia spesso ridotta al silenzio e porta alla luce intrighi e ambiguità. Una provocazione necessaria, per andare alle radici delle questioni irrisolte che ancora oggi spaccano il Paese.
Gigi Di Fiore, già redattore al “Giornale” di Montanelli, è inviato del “Mattino” di Napoli. Nel 2001 ha vinto il Premio Saint-Vincent per il giornalismo. Con Controstoria dell’unità d’Italia ha vinto il primo Premio letterario città di Melfi 2009 per la saggistica. Da anni si occupa anche di criminalità organizzata e per Rizzoli ha pubblicato L’Impero. Traffici, storia e segreti dell’occulta e potente mafia dei Casalesi (2008). Il suo ultimo libro è Gli ultimi giorni di Gaeta (Rizzoli 2010).
Dal concilio di Trento all’America
dei giorni nostri, l’incredibile
vicenda di un dipinto di
Michelangelo scomparso da oltre
cinque secoli e riscoperto
da uno dei maggiori esperti
dell’artista rinascimentale.
Un viaggio sulle orme dei
personaggi straordinari che hanno
sfidato la censura dell’inquisizione
in nome di una grande utopia.
“Il dipinto era steso su un ampio tavolo coperto da carta velina. Presentava l’aspetto comune a molti dipinti antichi realizzati con una tecnica eccellente. Le vernici ingiallite offuscavano i colori e le forme. Ma lasciavano trapelare intatta la forza della pittura di Michelangelo.” Antonio Forcellino, tra i massimi conoscitori dell’opera del maestro fiorentino, è abituato a ricevere decine di richieste di expertise, la maggior parte improbabili. Tra queste c’è anche quella di un americano che gli manda per email la fotografi a del disegno preparatorio di una tavola in suo possesso. Quel dipinto però potrebbe essere davvero un originale di Michelangelo, la Pietà dipinta per Vittoria Colonna negli anni inquieti che precedono il Concilio di Trento. Inizia così un’indagine storico-poliziesca che da un casinò di Buffalo conduce a un collegio cattolico di Oxford, passando dagli archivi vescovili di Ragusa, odierna Dubrovnik, e dal Metropolitan Museum di New York. Forcellino compie una ricerca sensazionale per ricostruire il destino del quadro, portato nella diocesi croata forse da Ludovico Beccadelli — un vescovo amico del pittore, costretto a ritirarsi lì a causa delle sue posizioni teologiche in odore di eresia — poi venduto a fine Ottocento e giunto in America. Con l’abilità del restauratore che riporta alla luce i colori originali, l’autore svela cosa si nasconde dietro le vicende di questo capolavoro perduto e, soprattutto, racconta con semplicità quanto casuale, imprevedibile e gioiosa possa essere la storia di una grande scoperta.
“Mussolini volle fingere
di aver preso il potere
con la forza, di averlo
conquistato sul campo di
battaglia. Ma la sua ascesa
al potere, tecnicamente
parlando, avvenne
all’interno della legge.”
Un’Italiadevastata e in crisi; unParlamento fragile e passatista; la debolezza sul piano internazionale e la crisi economica; il malcontento della classe operaia e dei braccianti; il timore di una rivoluzione rossa; un Paese ancora incapace di concepirsi unito. È questa la singolare congiuntura di eventi che creò le condizioni di una dittatura destinata a essere abbattuta solo dopo la più distruttiva delle guerre. Questo libro racconta l’ascesa di un politico avveduto e calcolatore che seppe usare la retorica futurista – a partire dal suo giornale – per cavalcare un desiderio di rinnovamento diffuso e insieme tranquillizzare le élite sociali assumendo i toni di un governo liberale. Sottovalutato dagli oppositori e dai suoi stessi alleati, si presentò come il leader carismatico di un partito che, dapprima ininfluente, conquistò rapidamente il gradimento degli elettori. Sfruttò le debolezze di un sistema parlamentare corrotto e trasformista e le spaccature interne all’opposizione per affermarsi come unico portavoce di un progetto forte e riconoscibile. Investito dal consenso popolare, il 29 ottobre 1922 l’homo novus attraversò un’Italia fantasma sul treno notturno Milano-Roma per ricevere dal re l’incarico di formare il nuovo governo, guidando da Presidente del consiglio la simbolica marcia su Roma in testa al corteo delle camicie nere. Ebbe così inizio il Ventennio. In un disegno sintetico e puntuale, Sassoon mette a fuoco le ragioni storico-politiche e le dinamiche sociali e culturali che hanno portato all’ascesa trionfale del Duce. In condizioni particolari, ma non certo irripetibili.
Donald Sassoon è nato al Cairo e ha studiato a Parigi, Milano, Londra e negli Stati Uniti. Allievo dello storico Eric Hobsbawm, è ordinario di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra. È autore di diversi volumi sulla storia d’Italia, fra cui Togliatti e la via italiana al socialismo (Einaudi 1980) e Cento anni di socialismo (Editori Riuniti 1997). Con Rizzoli ha pubblicato Il mistero della Gioconda (2006) e La cultura degli europei (2008).
La caduta dell’Impero Romano è stato un processo lento e complicato, iniziato – ben prima del sacco di Roma – con l’avvicinarsi ai confini di quelle stesse tribù che avevano invaso la Cina, e proseguito attraverso gli anni di Costantino e Teodosio. Comincia così per l’Italia un lungo periodo oscuro: le città vengono abbandonate, eserciti barbari percorrono il Paese depredandolo, devastandolo e seminando terrore. Fino al fatidico Anno Mille si susseguono secoli di ferro e di sangue, di lutti e di invasioni. È il momento più difficile da raccontare nella storia italiana: le fonti sono poche e insicure, e gli avvenimenti “di casa nostra” non si possono isolare da quelli del resto d’Europa; come dicono gli autori: “Forse mai il nostro continente è stato così unito e interdipendente come in quest’epoca afflitta da mancanza di strade e di mezzi di trasporto e di comunicazione”. Indro Montanelli e Roberto Gervaso ci presentano i ritratti dei protagonisti nei quali cogliere i segni del costume, della civiltà e del suo evolvere: Attila, Alarico, Odoacre, Galla Placidia, Gregorio il Grande, Carlomagno e gli Ottoni, i Santi, i Padri e i riformatori della Chiesa. Il passaggio dall’Impero ai Comuni, la società feudale, il rapporto città-campagna, lo scontro tra la nobiltà guerriera legata alla terra e la nascente borghesia urbana: questi gli elementi del grande mosaico che ci ritroviamo a osservare, e il risultato è uno strumento d’informazione chiaro e al contempo una lettura appassionante.
Tra il 1000 e il 1250 si assiste in Italia a una rinascita politica, culturale e spirituale: le città si ripopolano, si intensificano i commerci e le comunicazioni, la poesia in volgare muove i primi passi, si rinnovano gli ordini monastici. In questi due secoli e mezzo si decide in una certa misura il destino del Paese, e si consuma quello che gli autori definiscono “il suo aborto come Stato nazionale”. Il nuovo millennio vede difatti l’affermarsi di entità capaci di influenzare fortemente il panorama italiano: i Comuni. Diversi per sviluppo, organizzazione, fisionomia e tradizioni, questi organismi locali si costituiscono in vere e proprie città-stato, garantendo un forte sviluppo locale ma al contempo accendendo conflitti che hanno a lungo impedito un percorso verso l’unità. Intanto, alle lotte intestine tra Genova e Pisa, Amalfi e Venezia, Firenze e Siena, si uniscono guerre epocali quali le Crociate, e scontri ideologici come il grande scisma. Conflitti, cambiamenti e rivoluzioni animati da grandi personalità, che già annunciano il periodo d’oro del Rinascimento: Federico Barbarossa e Tommaso d’Aquino, Arnaldo da Brescia e Francesco d’Assisi, Federico II di Svevia e Domenico di Guzmán. L’Italia dei Comuni è un’opera intensa, coinvolgente, che incarna perfettamente l’ideale dei suoi autori “che i fatti vadano raccontati, perché nessuno è obbligato a saperli o a ricordarli, e che i loro protagonisti siano soprattutto gli uomini, i loro caratteri, le loro passioni, i loro interessi”.
Dalla morte di Federico II (1250) alla scoperta dell’America (1492), si apre l’epoca probabilmente più splendida del nostro passato: il Rinascimento. Personaggi straordinari si affacciano sul palcoscenico della storia: Lorenzo il Magnifico, Bonifacio VIII, Cristoforo Colombo e Gian Galeazzo Visconti. E ancora Dante, Petrarca, Boccaccio, Botticelli… Intanto l’ascesa dei grandi casati – i Medici, i Visconti, gli Este – trasforma i Comuni in Signorie, accentuando le divisioni territoriali che, già in questi secoli d’oro, preparano la miseria delle epoche successive. Per dirla con le parole di Montanelli, “ciò che fece lì per lì la grandezza dell’Italia ne propiziò anche la decadenza”. Finché la conquista di Costantinopoli del 1453 e le scoperte geografiche di fine secolo non hanno mutato gli equilibri europei, cambiando definitivamente il destino del mondo e in certa misura condannando l’Italia a subirne le conseguenze. Di questa storia, fatta da piccoli Stati in costante conflitto, gli autori seguono magistralmente le grandi linee dello sviluppo civile del nostro popolo, l’evoluzione del suo costume, del suo pensiero, della sua arte: le palestre in cui gli italiani sfogarono le loro energie, “dispensate dall’impegno di costruire una Nazione e uno Stato”. Ne nasce così un racconto scorrevole e vigoroso, volutamente distante dai canoni di quella storiografia ufficiale e accademica da sempre lontana dal grande pubblico.
Con la fine delle invasioni barbariche e l’inizio dell’era comunale, l’Italia aveva ritrovato un ruolo da protagonista nella storia europea, sia sul piano politico sia su quello economico e culturale. Gli ultimi anni del Quattrocento, però, cambiano nuovamente gli equilibri continentali: la calata di Carlo VIII nel 1494 segna la fine dell’effimera libertà italiana. La nostra storia torna così a essere un riflesso di quella altrui, e per ricostruirla gli autori sono costretti a rintracciarne le fila nelle vicende di Francia, Spagna, Germania. Un panorama europeo sul quale soffia il vento della Riforma; nel 1517 Lutero espone le proprie novantacinque Tesi, ma il clima di rinnovamento culturale e spirituale che ne deriva non giunge fino a noi: l’Italia subisce il contraccolpo della Controriforma, e per secoli si trova sprofondata in un oscurantismo senza precedenti. A campeggiare tra le pagine di questo volume sono dunque le grandi figure che fecero la rivoluzione – Lutero, Calvino, Huss, Wycliff, Zuinglio – ai quali si affiancano i protagonisti dello straordinario tramonto italiano: Ariosto, Tasso, Mantegna, Galileo Galilei, Savonarola e Giordano Bruno, sul cui rogo – nel 1600 – si chiude la narrazione. Il risultato è, come sempre, una storia affascinante, che malgrado racconti un periodo drammatico non rinuncia a una vena di ironia. Come ha scritto Montanelli: “Non siamo mai stati tanto seri come nello scrivere queste giocosità”.

