
Il mito di Enea, protagonista dell'Eneide, è uno dei racconti che hanno fatto la storia della cultura europea negli ultimi duemila anni, influenzando in modo determinante l'immaginario collettivo e alimentando innumerevoli riscritture, rivisitazioni, interpretazioni iconografiche e teatrali, oltre a una sterminata messe di studi alla quale danno il loro contributo ricercatori di ogni parte del mondo. Mario Lentano, docente di Letteratura latina all'Università di Siena, affronta per la prima volta questa figura centrale del nostro panorama culturale in chiave biografica, raccontando la sua vita come quella di un personaggio storico: concepimento e nascita, infanzia e giovinezza, età matura, morte e apoteosi, se tale fu. Fonti letterarie, testi storiografici e raffigurazioni su marmo o su terracotta sono interrogati per ricostruire la parabola dell'eroe che i Romani consideravano come il proprio capostipite, il remoto antenato dei gemelli Romolo e Remo, e che per questo tramite è diventato uno dei padri dell'Occidente. Un'avvincente scrittura narrativa, il tono accattivante e l'eliminazione delle note, supplite da una generosa bibliografia finale, rendono questa vita di Enea un libro accessibile a chiunque ami il mito antico e sia curioso di conoscerne un protagonista di primo piano, lo stesso che ha incontrato, da ragazzo, sui banchi di scuola.
Filippo IV fu l'interprete della malinconia di un impero, quello spagnolo, che, nel giro di qualche decennio, oscillò tra apogeo e declino, tra delirio imperialistico e speranza di restare il centro del mondo, tra sfarzo e decadenza. Regnò dal 1621 al 1665, un periodo sconvolto dalla guerra dei Trent'anni (1618-1648), da rivoluzioni e trasformazioni socio-economiche che colpirono tutta l'Europa. Nei primi vent'anni del suo regno fu il sovrano della prima e unica grande potenza mondiale della storia. Ma a metà secolo quella potenza era già in declino, il mondo stava cambiando: nuovi protagonisti si affacciavano sulla scena. Tuttavia Filippo si dimostrò uno statista di primo piano, capace di gestire uno dei periodi più travagliati della storia dell'impero su cui "non tramontava mai il sole". La sua epoca fu l'apoteosi del barocco e Madrid ne fu la capitale: nella vita e nella società di Corte, nel suo cerimoniale, esempio e modello per Versailles; nel mecenatismo del re e del suo favorito Olivares; nelle vite parallele di Filippo, Rubens, Velazquez e Calderon. Gli eccessi del tempo si riflettevano nelle stanze dei suoi palazzi: la sessualità di Filippo fu sfrenata, tanto che qualcuno lo definì "sultano poligamo". Fu attratto da donne nobili e popolane, prostitute, attrici, cantanti. Ebbe molti figli, legittimi e non: alcuni morirono appena nati o bambini. Ebbe una vita familiare sfortunata, colpita da lutti che lasciarono un segno indelebile su di lui, malinconico come il suo impero.
Non sono molti nella storia i personaggi come Alcibiade, capaci di generare odi e amori tanto potenti da smuovere l'interesse appassionato degli storici a distanza di due millenni e mezzo. All'uomo politico possono essere mosse accuse fortissime, come quella di esser stato animato solo dalla sete di potere o di aver tradito la propria città. Ma tutto questo sfuma di fronte all'uomo Alcibiade, al "cucciolo di leone" del quale parla Aristofane, odiato e idolatrato dal suo popolo. L'uomo adottato da Pericle fu in effetti una personalità ambivalente, a cavallo tra poli opposti a livello pubblico e privato: un aristocratico che ha fatto una scelta democratica, ma anche l'esponente di una politica slegata dall'idea di servizio alla comunità. Le sue doti intellettuali erano formidabili, come d'altra parte la sua eloquenza e la simpatia che lo circondava, non a caso fu allievo e amante di Socrate. Quasi impossibile non amare un personaggio così eccezionale, smisurato nelle ambizioni così come nel carattere. Capace di concepire piani grandiosi, fu poco efficiente nel portarli a termine, per questo fu costantemente esposto alle altalenanti sorti, in termini di consenso, di chi molto promette e nulla mantiene. Volle troppo e perse tutto, prima fra tutte la sua credibilità, in un tempo in cui etica e politica erano ancora congiunte.
Un'assolutista travestita da illuminista? O l'interprete più coraggiosa della vicenda storica della Russia, capace di tradurre le idee più avanzate della seconda metà del Settecento in una proficua stagione di governo? Fin dalla sua ascesa al trono Caterina II di Russia è stata prigioniera di un mito contraddittorio. Nel delineare la sua figura non sempre è stato facile per i biografi sottrarsi al fascino delle leggende accumulatesi attorno al suo personaggio e alla sua opera: quelle che la dipingono come la «Messalina del nord», la sovrana dall'appetito sessuale smisurato; o, di contro, quelle che la raffigurano come la monarca "illuminata" autrice del 'Nakaz', l'Istruzione in cui sintetizza le idee dei 'philosophes', e come colei che è riuscita a liberare per sempre l'Europa dal pericolo degli Ottomani. In questa biografia politica, l'autore ricostruisce dapprima la formazione personale di una Caterina che cerca di sovvertire le regole scritte e gli usi della tradizione per trovare la propria identità, le radici delle sue convinzioni e delle sue scelte; e poi percorre le tappe fondamentali - di cui rivela aspetti poco noti e retroscena inediti - di un regno che si è intrecciato con quel processo di trasformazione dell'impero russo da monarchia tollerata nel concerto degli Stati europei a potenza in grado di gettare un ponte verso il continente asiatico. Ma racconta anche i successi e i fallimenti di un'intera generazione politica alle prese con trasformazioni destinate a mutare il volto di una società di Antico regime rigidamente divisa in ordini. Così i rapporti mutevoli e ambivalenti della zarina con l'Europa occidentale sono posti in una prospettiva originale che spinge a interrogarsi sulla storia della Russia e sul suo ruolo nella costruzione dell'identità europea. l'indice, possa scomporre e ricomporre il testo affrontando i temi secondo la priorità d'interesse.
Dionisio rappresenta il tiranno per antonomasia: crudele e pauroso, circondato da adulatori e incapace di mantenere relazioni positive con familiari, amici e collaboratori. Il cosiddetto Orecchio di Dionisio - l'ingresso alla celebre cava di pietre di Siracusa - deve il suo nome alla paranoica volontà di controllo attribuita al signore di Siracusa. L'aneddoto più celebre che lo riguarda è quello della spada di Damocle, che ci fa intuire i mortali pericoli insiti nel potere che gestiva. Ma questa rappresentazione negativa del sovrano è viziata dalla tradizione a lui ostile, che prevalse sulla storiografia più favorevole, pervenutaci solo in parte: grazie a quest'ultima possiamo intravedere capacità politiche e militari fuori dall'ordinario. La gestione della continua conflittualità contro i Cartaginesi gli spianò la strada per il controllo di Si-racusa. La città divenne un punto di riferimento per grandezza e bellezza, e soprattutto per le grandiose opere di fortificazione. Il modo in cui Dionisio prese il potere e lo gestì rimase decisamente paradigmatico, e il suo carisma politico non sfuggì neppure ad Alessandro Magno e a Scipione l'Africano che videro in lui modello. Le guerre contro i Greci d'Italia e le pericolose alleanze con i barbari logorarono via via la sua immagine, specialmente presso gli Ateniesi. Ma la sua corte divenne un polo di attrazione per letterati e filosofi, anche perché lo stesso Dionisio amava comporre versi tragici, con una certa sopravvalutazione delle proprie capacità. Drammi familiari e difficili relazioni personali condizionarono in parte il suo agire, ma Dionisio resse il potere a lungo e in sicurezza fino alla morte, che lo colse nel suo letto.
«Scaltra come una zingara»: così Alberoni definì Elisabetta Farnese (1692-1766) pensando alle sue doti politiche. Regina consorte tutt’altro che passiva e dietro le quinte, la sua figura si presta all’analisi dell’apporto muliebre alla realizzazione della sovranità monarchica europea, in sintonia con l’attenzione della più recente storiografia alla regalità femminile, al ruolo delle regine consorti, nonché all’influenza delle donne nella costruzione delle corti. Le vicende della Farnese vanno infatti ricollocate in un quadro di studi profondamente rinnovato negli ultimi decenni.
In questa biografia si presta quindi attenzione alla formazione della futura regina di Spagna negli anni del tramonto degli antichi stati principeschi italiani, decadenti, ma con corti ancora vivaci e in grado di rappresentare dei modelli culturali e artistici. Proprio il destino della penisola italiana rappresenta il cuore della successiva politica internazionale della regina di Spagna. Si è voluto superare lo stereotipo della “madre ambiziosa”, per cogliere maggiormente i disegni complessivi di Elisabetta. La vita della regina di Spagna ha fatto i conti con i nodi internazionali che caratterizzarono il vecchio continente nella prima metà del Settecento: il conflitto a livello mondiale tra le potenze coloniali della Francia e dell’Inghilterra; la crisi e la resilienza dei paesi mediterranei; l’affermazione prima degli Asburgo di Vienna e l’emergere poi della Prussia come nucleo tedesco alternativo all’interno dell’Impero. È in questo quadro assai complesso che Elisabetta Farnese attuò un’attenta politica volta all’affermazione della dinastia. Fu soprattutto grazie al suo operare, energico e non sempre convenzionale, che nacquero numerose branche della famiglia dei Borbone, destinate a dominare con tratti assai comuni l’Europa della seconda metà del Settecento.
Di Manfredi di Svevia si ricorda soprattutto il celebre ritratto tracciato da Dante nel Purgatorio ("biondo era, bello e di gentile aspetto"), mentre la sua esperienza quale re di Sicilia (1258-1266) è da molti considerata una semplice appendice minore del grande regno del padre, Federico II. Schiacciato fra il poeta e l'imperatore, Manfredi è stato spesso ridotto a un'immaginetta oleografica, ritratto come il bel giovane morto troppo presto e vittima di una sorte ingiusta e delle trame dei papi e di Carlo d'Angiò. In tal modo, però, non si rende giustizia a una figura ben più complessa e sfaccettata, in grado di scalare il trono partendo dalla posizione di figlio illegittimo e di giungere, per qualche anno, a essere uno dei sovrani più potenti del Mediterraneo. Questo libro vuole ricostruire i molti volti di un uomo che fu amante della filosofia e della musica e spietato persecutore dei propri nemici, protagonista di un'ascesa conquistata con abilità e cinismo e abilissimo promotore della propria immagine, custode del ricordo della grandezza paterna e complice degli abusi degli zii materni. Comunque, uno dei grandi protagonisti della vita europea del Duecento.
'Il Vecchio', il 'Padre della Patria', ma soprattutto il nonno di Lorenzo il Magnifico: Cosimo de' Medici (1389-1464) è un personaggio molto noto, soprattutto per la storia della sua famiglia. Si tratta invece di una figura che come poche altre incarna la supremazia politica e culturale della Firenze del primo Quattrocento. Cosimo fu innanzitutto uno straordinario uomo d'affari, il più grande banchiere dell'Europa del suo tempo: da questa esperienza e dalle relazioni finanziarie maturò anche le sue eccezionali doti politiche, che gli permisero di reggere le sorti della sua città e del suo Stato con uno stile originalissimo, grazie al quale giocò insieme il ruolo di leader e quello di tutore dei valori repubblicani. Banchiere e uomo politico, Cosimo coltivò una rete di amicizie e frequentazioni nell'ambito della cultura umanistica e investì risorse imponenti nell'arte, nella raccolta di libri e oggetti preziosi, nella promozione delle imprese assistenziali e delle comunità religiose. Questo libro affronta i tanti aspetti della poliedrica personalità di Cosimo, attingendo alla voce delle fonti del tempo e alle sue stesse parole, per restituire alla sua figura la freschezza e la vitalità con cui lo conobbero i contemporanei.
Il nome di Marco Giunio Bruto riecheggia nella storia quale sinonimo di tradimento e irriconoscenza, oppure di fedeltà ai propri ideali. Osannato e al contempo dispregiato dai posteri, che videro in lui talvolta l'assassino, talaltra il paladino della Repubblica, legò la sua vita a uno degli eventi più noti della storia universale: la congiura che portò alla morte di Giulio Cesare. Nato nel bel mezzo delle guerre civili fra Silla e i seguaci di Mario, Bruto si formò sotto l'influsso dello zio Catone. Per l'elevata considerazione di cui godeva venne attratto nella trama del cesaricidio dal cognato Cassio, destinato a formare con lui, nella memoria collettiva, una specie di binomio; al disegno tirannicida, Bruto impresse realismo, con lo scopo di riaprire la competizione politica dopo che un singolo uomo si era librato ad un'altezza inusitata, non più compatibile con quell'ascesa verso una porzione di potere autentico che i maggiorenti dell'epoca chiamavano «libertà». L'orologio della storia scandiva inesorabilmente il percorso di Roma verso una forma di potere accentrata che avrebbe preso il nome di principato, e il tentativo di Bruto e di Cassio di fermare il tempo si infranse in Macedonia, a Filippi: entrambi sarebbero morti sconfitti e suicidi nella guerra contro Antonio e Ottaviano, a distanza di qualche settimana. Secondo la leggenda, il demone di colui che avevano ucciso avrebbe inquietantemente spinto le loro vite verso il crepuscolo, che era anche quello della repubblica.
Guglielmo II Hohenzollern fu imperatore di Germania e re di Prussia dal 1888 al 1918, quando di fronte alla sconfitta militare e ai sussulti rivoluzionari fu costretto ad abdicare. Durante il suo lungo regno cercò di esercitare un potere assoluto: nominava e sfiduciava cancellieri (ben sette), imponeva l'agenda politica, era il protagonista indiscusso della politica estera del Reich. L'imperatore agiva facendosi forte di una legittimazione divina del suo potere, e aveva in spregio il parlamento e i partiti politici. Durante il suo regno fu osannato e celebrato come un sovrano moderno, perfino "socialista", capace di risolvere i grandi problemi del Reich: l'industrializzazione accelerata e i conseguenti radicali mutamenti sociali. Fu abile nel servirsi dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, in particolare la stampa e la fotografia. Ma fu anche vituperato e messo in caricatura, soprattutto all'estero. Nel corso della guerra fu oggetto di durissime critiche da parte dell'Intesa, che lo considerava l'incarnazione del militarismo e autoritarismo prussiano. Critiche che si accentuarono nel dopoguerra, quando gli fu attribuita la responsabilità dello scatenamento del conflitto. Visse per quasi ventitré anni in un grigio esilio nei Paesi Bassi, messo ai margini della storia, incapace di fare i conti con le proprie responsabilità, tenacemente abbarbicato al sogno di sovvertire le istituzioni repubblicane e di essere riportato sul trono da Hitler. Il libro ripercorre tutte le fasi della sua vita, parallela a uno dei momenti più critici della civiltà occidentale: dai trionfi del colonialismo e dell'industria, all'abisso della Grande guerra. Dall'infanzia, contrassegnata da problemi fisici e da un conflitto mai risolto con i genitori, al lungo e scintillante regno, alla repentina scomparsa dalla scena proprio negli anni di guerra, al lungo e malinconico tramonto nell'esilio. Le vicende private e individuali dell'uomo, segnato da un carattere scostante e arrogante, all'apparenza brillante ma umanamente arido, sono analizzati in stretto intreccio con i contesti in cui si snoda la sua lunga vita: l'ascesa della Prussia, l'unificazione del Reich, la guerra mondiale, la svolta repubblicana e infine l'irresistibile trionfo del nazionalsocialismo.
Spirito religioso, politico a tratti spietato, ma tutt'altro che privo di ispirazioni ideali, Richelieu fu il protagonista della fase storica in cui si affermarono gli Stati assoluti e il moderno sistema delle relazioni internazionali, divenendo rapidamente una figura quasi mitica, che ancora affascina la cultura europea. Cadetto di una famiglia di piccola nobiltà, divenne poco più che ventenne l'attivo vescovo riformatore della piccola diocesi di Luçon. Legatosi alla regina madre Maria de' Medici, iniziò una carriera politica che fu bruscamente interrotta, nel 1617, dalla disgrazia della sua protettrice, allontanata dal potere dal figlio, Luigi XIII. Richelieu tornò al potere solo nel 1624, insieme a Maria de' Medici, e divenne l'uomo di punta di un vasto progetto di rafforzamento del potere monarchico e di affermazione della Francia sul piano internazionale. I successi conseguiti con la sconfitta dei protestanti francesi e l'intervento militare in Italia nella guerra di successione di Mantova gli portarono la completa fiducia di Luigi XIII, ma il suo crescente potere e le sue scelte di politica estera determinarono una rottura insanabile con il partito cattolico e con Maria de' Medici, che nel 1631 fu costretta a fuggire dalla Francia. Da questo momento e fino alla morte, Richelieu fu un primo ministro quasi onnipotente, il centro di una estesissima rete di potere e il bersaglio di una serie infinita di congiure. Lontano da ogni forma di machiavellismo, Richelieu espresse una concezione del potere come una forma di razionalità, ispirata da Dio, chiamata a imporsi su una società conflittuale e lacerata. Da questa ispirazione derivarono una politica fortemente assolutista e l'intervento nella guerra dei Trent'anni (1635), che avviò la costruzione di una nuova struttura delle relazioni internazionali in Europa.

