
L’ottavo giorno non è un tempo, ed è tuttavia “il tempo” sempre tacitamente presente, necessario a vivere il senso di un frangente che è vita, la più fonda, la più vera. Parallelo al silenzio, contiene tutto l’ineffabile, ma insieme avvolge ogni parola, la sua anima, ogni evento, ogni passaggio. L’ottavo giorno è la fine, la consumazione, la trasfigurazione, e insieme il principio, l’origine, la bellezza e l’incanto, la pienezza e il vuoto che la fa risaltare.
«Voglio parlare d’amore in queste pagine, in tutte queste pagine.
Tutto ciò che sulla terra è stato scritto, detto, sussurrato, urlato, gridato, parla d’amore...
Per dire della forza della passione insediata nel profondo dell’anima, da dove giunge a coinvolgere anche i corpi in vorticose danze d'amore, Christiane Singer fa rivivere la storia di Eloisa, quintessenza dell’amante e mistica. Attraverso questa confessione insieme pagana e spirituale, questa singolare esaltazione del piacere e dell’estasi ci offre un testo di straordinaria intensità, una trasmissione di umanità amorosamente partecipe «passione» appunto «fra cielo e carne»
Emily Dickinson, la poetessa americana del XIX secolo che visse nascosta, appartata e quasi reclusa dal mondo, è l’interlocutrice di questa lunga e appassionata lettera di Gobbi, poeta e saggista che da diversi anni riflette sulla natura della gioia. A lei egli rivolge le proprie domande: cos’è la gioia? Perché visita improvvisa le nostre vite, per abbandonarle poi senza preavviso? Da un evento all’altro della travagliata esperienza della Dickinson, la domanda sulla gioia si fa sempre più pressante, fino alla risposta, che si trova in una delle tante poesie che ella lasciò ai posteri nei cassetti del proprio scrittoio, avvolte in nastri di seta colorata. La conclusione è semplice: «Forse, possiamo sperare». Le api che popolano le liriche della poetessa, nel sogno, accompagnano Gobbi e il suo lettore verso «il luogo della gioia e del respiro», in una consapevolezza nuova.
A metà tra saggio e romanzo, rivolto a un pubblico caratterizzato da fine sensibilità spirituale e letteraria, Le api del sogno si collega idealmente ai precedenti lavori di Gobbi editi da Servitium (Carità della notte. Sul tempo e la separazione in alcune poesie di Paul Celan: una lettura personale e Lessico della gioia), e compone con essi una sorta di trilogia sull’unico mistero della gioia e del dolore.
Il racconto è delicato e denso di rimandi, sospeso tra la vita della Dickinson, l’esperienza dell’autore e l’eco interiore della lettura delle liriche: capaci davvero di rivelare verità nascoste, sostenendo l’anima nel proprio impegno di amore concreto e quotidiano al tempo e al mondo.
Lorenzo Gobbi (Verona, 1966), ha pubblicato saggi Lessico della gioia (Servitium, 2008) e Gerusalemme nella memoria di Amos Oz, “Le città letterarie”, UNICOPLI, Milano 2006)], e raccolte di poesie, tra le quali: Nel chiaro del perdono (con una lettera di Roberta De Monticelli, Book Editore, Bologna 2002), Le rose più di tutto (plaquette artigianale, I quaderni di Orfeo, a cura di R. Dossi, Milano 2005) e Luce alla mia destra (Book Editore, Bologna 2006). Ha tradotto e curato opere di poesia, tra cui: Rainer Maria Rilke, Vita di Maria (Qiqajon, Bose 2000; ora anche in Maria, “I Meridiani”, Mondadori, Milano 2000); Un guscio di nocciola. I fiori e le erbe di Shakespeare (Il filo di Partenope, Napoli 2006); Rainer Maria Rilke, Le rose, I quaderni di Orfeo, Milano 2006).
"È difficile nel vocìo della nostra "civiltà" che prova orrore per il vuoto e il silenzio ascoltare la breve frase che, da sola, può far vacillare una vita: "Dove corri?"" La brevissima e celebre frase di Silesius, posta a titolo del libro, è forse quella più ignorata, perché tenue, quasi incerta filtra tra le pieghe delle nostre affannate quotidianità. È illusoria, ingannevole, ma appare spesso più sbrigativa la via della fuga. "Dove corri?", ripete nel segreto, nell'intimo la piccola voce. E se provassimo a fermarci o cambiassimo, non potrebbe rivelarsi allora l'inatteso, l'insospettato? Ciò andiamo cercando all'esterno, attende di nascere in noi.
Come interpretare il più genuino cristianesimo, ispirando pensieri e atteggiamenti al vangelo di Gesù, traducendone non solo la forza e la globalità del messaggio, ma soprattutto la salvifica presenza che generi speranza e proponga umanità? Quale la disponibilità delle tradizioni e delle strutture ai mutamenti culturali, alle nuove domande di senso, alle nuove situazioni esistenziali? Una risposta che tenda davvero a essere validamente "umana" dev'essere aperta al confronto, alla collaborazione a tutti i livelli, da pari a pari, come il presente libro testimonia e propone.
In questo libro Maurice Bellet abbandona la problematica moderna, secondo la quale la critica, istanza ultima di verità, giudica la credenza e la costringe a difendersi come può, irrigidendosi, ancorandosi alle vecchie tradizioni e credenze, o ricorrendo ad adattamenti e compromessi. La critica radicale è il vangelo, che fa affrontare la prova di verità più inesorabile. Con il vangelo ogni pretesa di sapere e di potenza viene messa in questione, e la critica non risparmia nemmeno ciò che è chiamato "Dio" e il "cristianesimo".
Annick de Souzenelle, con la lettura biblica cui ha ormai abituato il suo lettore, affronta nel presente libro il mito di Giona, il profeta inviato da Dio a Ninive per convertire quella città. Succhiando antiche e nuove sapienze dalle radici delle parole ebraiche del testo e servendosi della psicologia junghiana, ella ci offre un’illuminante meditazione su noi stessi, sul nostro tempo con le sue paure e insidie, le sue speranze e i suoi rischi. Nelle società moderne, forse più di ieri, l’uomo si sente sempre più frammentato, lacerato e davvero “spaccato” in due tra le necessità, i desideri, gli obblighi esistenziali, e le aspirazioni di realizzazione umana, di profonda vita spirituale per dare senso alla propria esistenza e alla storia vissuta, pena la loro fagocitazione conseguente all’incoscienza, alla sottrazione, al rifiuto.
«Da noi nascondiamo la faccia. Il corpo, non conta. Il corpo va nudo sotto il sole, il biondo sole che arde di giorno, che arde la notte.
Da noi infatti non c’è notte. Ciò che chiamiamo notte lo è per comodità, quando l’amore va incontro agli innamorati, quando due corpi si stringono l’uno contro l’altro come due spighe di grano sotto lo stesso vento.
Anche quando fanno la notte, gli amanti non si mostrano la faccia. Proibito. Intoccabile. Impensabile.
Nessun volto allo scoperto, mai.
I corpi, la minuziosa contemplazione dei corpi, delle pieghe di una pelle, dei fremiti di una schiena, delle luci d’una mano, sì i corpi adempiono a meraviglia quella funzione di conoscere che da voi viene attribuita alle facce.»
«Già alte si levano la croce e le braccia inchiodate; a testa china dalla bocca s’aprono bave e lamenti; il corpo è serrato, stretto alla vita da un filo di ferro lungo, tirato da una parte e dall’altra dalle mani burine dei soldati romani. Vibra il sogno del Cristo: le carezze del padre falegname, l’incandescente agonia, l’angoscia dell’abbandono. Modellerò legni lucidi, tendini di cera, l’incupire degli incavi e dei nodi; mescolerò i “compiti” (la disponibilità ad accettare qualche loro desiderio) alla mia fatica e alla salute dei miei umori più bassi, che poi sono l’autonomia della mia arte.»
«“Fuori di senno”: così l’aveva giudicato la maggior parte. Dopo di che l’avevano condotto all’ospizio. Da quando, per bocca di sua figlia, un angelo gli aveva fatto sapere: “La vita non ha senso”, ha un centro, l’occhio con cui guardava se stesso, gli altri, le cose e il mondo era cambiato. Era dunque del tutto naturale e logico che lo considerassero “fuori di senno”.
Ma quello che non avrebbe mai potuto immaginare era la felicità che doveva sperimentare a partire dal momento della sua esclusione sociale. [...] Questa felicità era quella di una liberazione, poi di una libertà senza paragoni o, se bisogna paragonarla, di una libertà alla radice dello spirito.»
«Siamo tutti persone in viaggio. E questo viaggio è la vita. Attraversiamo, uno dopo l’altro, paesi in cui le prospettive e le avventure non si confrontano tra loro, e in cui cambia persino la percezione che abbiamo degli esseri, delle cose, del tempo e dello spazio. Una rivelazione attende chi avanza con il cuore e gli occhi aperti – senza precipitazione e, se gli è possibile, senza rimpianti. Lungo il cammino, dopo essersi visto spogliato di quanto aveva posseduto in passato, eccolo presto, con sua grande sorpresa, ricolmo di altri beni di cui prima non immaginava né l’esistenza né il costo. Impara – e la sua riconoscenza allora non ha limiti – che nulla gli viene tolto nel corso dell’esistenza, senza che non gli venga donata come contropartita un’altra cosa di corrispondente preziosità.»
Il modo di riconciliarsi con il mondo è di separarsene. E l'amore è l'invincibile solo nella misura in cui è totalmente impotente davanti a ciò che lo distrugge.