
I temi qui trattati riguardano l'influsso che il linguaggio religioso esercita sulla comunicazione umana. La questione viene esaminata nei tre ambiti della preghiera, orale o a stampa, in dialetto o in lingua; dell'oratoria sacra, dal Cinquecento all'Ottocento; e delle relazioni estatiche, sotto le forme dell'autobiografia, del diario e della trascrizione in diretta dalla dizione orale. Il confronto tra preghiera, predicazione e dettame mistico chiarifica le caratteristiche del discorso religioso cristiano. Esso trova fondamento e norma nell'incarnazione del Verbo di Dio dentro la caducità e molteplicità delle lingue umane; perciò, ogni enunciato che abbia Dio quale termine od oggetto deve conformarsi al discorso che Dio ha usato per comunicare se stesso all'uomo. In particolare, i saggi di Giovanni Pozzi scandagliano il singolare rapporto dialettico tra oralità e scrittura che connota i diversi modi in cui la lingua cristiana si esprime. Tale dinamismo pertiene alla natura stessa della nostra tradizione religiosa, a partire dal suo documento d'origine, la Bibbia, che è scrittura generata da parole e insieme generatrice di parole.
Anche il silenzio ha una sua biografia, quella scritta nella vita di chi si dedica alla meditazione. Come Pablo d'Ors, che in queste pagine ci racconta la sua avventura negli spazi della quiete silenziosa. Decidersi per questo viaggio significa abbandonare lo stato in cui sono immersi i nostri giorni, quell'atmosfera tossica di affanno, ricerca di emozioni, intorpidimento e, soprattutto, paura della vita. "Viviamo, sì, ma molto spesso siamo morti". Fermarsi e rimanere in silenzio, coltivando l'attenzione a sé e alla vita che accade: questa pratica fa incontrare deserti interiori, miraggi, spaesamenti; conosce la fatica, il tedio, la distrazione. Ma perseverare genera misteriosamente, in tempi e modi non prevedibili, frutti insperati: non solo una pace profonda e il contatto con l'io autentico, ma soprattutto un'intensa partecipazione alla vita così come ci viene incontro. Diversamente dai nostri sogni, la realtà non delude mai. "Non c'è nulla da inventare, basta ricevere quello che la vita ha inventato per noi". L'incontro fiducioso e perseverante con il maestro interiore ci insegna che vivere in modo diverso è possibile, che ogni vera ricerca ci porta nel luogo dove già ci troviamo, per apprezzarlo con occhi nuovi. Rinascere a questa gioia è semplice e alla portata di tutti.
Quando Mario Pomilio decise di raccogliere, nel 1979, sotto il titolo di "Scritti cristiani", alcuni fra i suoi interventi più lucidi e pensosi sulla Chiesa del Concilio e sulle inquietudini dell'uomo contemporaneo, non si era ancora spenta la vasta impressione suscitata dall'uscita, quattro anni prima, del "Quinto evangelio". E forse proprio la sfolgorante risonanza di quel romanzo che l'aveva consacrato come il maggior scrittore cattolico italiano dell'età postconciliare contribuì a far entrare gli "Scritti cristiani" in un cono d'ombra che ha finito per eclissarli. Ma senza quei testi non si potrebbe comprendere appieno l'opera narrativa di Pomilio: negli "Scritti cristiani", infatti, l'autore ha messo a nudo le radici della sua visione del mondo, intrecciando memorie autobiografiche, riflessioni biblico-evangeliche, approfondimenti storici e letterari, spunti morali e sociali. Oggi quegli "Scritti", da molti anni irreperibili in libreria, riaffiorano finalmente in una nuova edizione arricchita di altri undici testi, di cui uno del tutto inedito. E tornano a testimoniarci, dello scrittore abruzzese, l'impareggiabile capacità di coniugare i fondamenti della fede in Cristo e nella sua Parola con le ragioni della vera, grande letteratura. Nuova edizione accresciuta.
Il diario in prima persona di Charles de Foucauld, il beato fratel Carlo che scelse di vivere tra i poveri nel nulla del deserto, così come lo immagina uno scrittore di oggi. È l'operazione, coraggiosa e riuscita, compiuta qui da Pablo d'Ors, autore spagnolo di punta. D'Ors immagina il suo protagonista nel deserto del Sahara, pochi mesi prima di rimanere ucciso durante una scorreria nel dicembre del 1916, alle prese con il racconto della sua vita. Una vita di una ricchezza incredibile, avventurosa e avventuriera, che, sostenuta dalla scrittura limpida di d'Ors, diventa un racconto coinvolgente fino all'ultima pagina. Aristocratico di nascita, studente difficile, militare svogliato, esploratore di successo, frate trappista, apprendista giardiniere, matto del villaggio, povero tra i più poveri, amico degli arabi, lessicografo, grande mistico? Tutto questo è stato Charles de Foucauld, sempre in bilico ma sempre in equilibrio tra follia e santità, marginalità ed esemplarità. Il suo è stato un viaggio reale, lungo una vita, da Strasburgo alla trappa di Akbès in Siria, da Roma a Nazaret, da Parigi ai villaggi tuareg nel deserto sahariano; e insieme un viaggio interiore dentro le profondità vertiginose del silenzio e dell'oblio di sé per la conquista della felicità dell'illuminazione, fino alla visione che a tutto dà senso: "Preferisco l'ultimo posto rispetto al primo, la vita anonima a quella pubblica, l'essere umiliato al venir esaltato. Per questo motivo vedo spesso la gente del mondo camminare in senso contrario...".
Il volume ripercorre la vicenda biografica, e poi la fama post mortem, di Raniero da Ponza, monaco cisterciense ed eremita dalla fama di profeta. Raniero, già compagno di Gioacchino da Fiore nella fondazione del monastero che dà il nome all'abate calabrese, divenne in seguito un uomo di fiducia di Innocenzo III e godette di una certa notorietà fino almeno alla metà del XIII secolo. La sua figura viene delineata non solo nelle strette relazioni con Gioacchino e negli incarichi di alto profilo che ricevette dalla curia romana, ma soprattutto sullo sfondo della fama di profeta che lo circondava già in vita, e poi in modo particolare dopo la sua morte, sopravvenuta fra 1206 e 1209. In questa luce, assume grande importanza la testimonianza della lettera scritta in morte di Raniero dal cardinale Ugo di Ostia, futuro papa Gregorio IX, in cui egli piange quello che definisce suo "padre". Più elementi nella politica ecclesiastica di Ugo-Gregorio, in particolare nella promozione degli ordini mendicanti e nello scontro con Federico II, denunciano l'assunzione di temi e schemi interpretativi che si possono ricondurre al profetismo gioachimita: ben oltre l'utilizzo di una "retorica". Tutto ciò lascia intravedere un interesse reale e radicato, che proseguirà oltre la morte del papa, mentre divampa lo scontro fra lo stesso Federico e la sede apostolica.
Il biblista Bruno Maggioni propone in questo libro semplici e sapidi ritratti dei più noti profeti dell'Antico Testamento: da Amos, voce della giustizia sociale, a Osea, teologo dell'amore di Dio, a Geremia, uomo dalla preghiera interrogante, fino a Ezechiele, profeta dell'esilio, e Isaia, con la sua luminosa e poetica esperienza della fede. Ognuno con la sua spiccata caratteristica, ma tutti accomunati dalla medesima urgenza, quella di interpretare e annunciare la volontà di Dio in un momento preciso della storia di Israele. Il profeta sa leggere i segni dei tempi e il suo messaggio risulta di sorprendente forza e attualità, ma spesso, e forse proprio per questo, suscita irritazione. I profeti infatti sconvolgono gli schemi consolidati su cui poggiano le religioni e le società: i rapporti di forza che producono ingiustizia e povertà, l'amore per gli idoli, l'arrogante fiducia in se stessi, il culto separato dalla vita e dal cuore. Si capisce perché, allora come oggi, tutti i profeti siano rimasti incompresi e isolati, quasi sempre messi a tacere o uccisi. E tuttavia, attraverso la loro testimonianza critica e perseverante, Dio ha tenuto fermo il suo spazio originale dentro la vita di un popolo dalla dura cervice, aprendosi sempre un varco verso il futuro.
«Il momento esatto in cui da ragazzi si prende una decisione e ci si mette in cammino per realizzarla è senza dubbio uno dei più belli che la vita può regalare». È proprio questo che emerge dalle pagine vibranti e commoventi di Entusiamo. Un romanzo che si legge d'un fiato e che ci apre alla comprensione autentica dell'essere umano, ci invita alla speranza nel suo destino e ci commuove. «Perché scrivi romanzi?» Hanno chiesto a Pablo d'Ors. «I saggi nutrono la mente. I romanzi trasmettono immagini che nutrono l'anima», ha risposto. E non sono poche le immagini di questa trama ricca di personaggi indimenticabili, frasi fulminanti e situazioni comiche. Chi ama la vita, pur con tutte le sue contraddizioni, potrà seguire con entusiasmo la storia del protagonista, Pedro Pablo Ros (evidente anagramma del nome dell'autore): un uomo che, per rispondere alla pressante chiamata di Dio, intraprende fi duciosamente un cammino nel quale incontra amore, amicizia, e insieme dolori, fallimenti; insomma la vita stessa intesa come apertura all'altro. Dall'adolescenza negli Stati Uniti alla vita missionaria in Honduras, Pedro si confronta con tutto quanto gli accade, cercando se stesso e ritrovandosi con l'entusiasmo degli inizi. Un racconto sulle esperienze di iniziazione di un giovane, uno splendido romanzo sulla fede. Questo libro è per d'Ors come una bottiglia lanciata nel mare con la speranza che la raccolga qualcuno alla ricerca di un messaggio per l'anima. Un mondo letterario coinvolgente e intessuto di esperienze reali, nel quale cercare risposte ai nostri dubbi e confrontare le nostre esperienze, perché «la vita» - scrive l'autore - «è il vero spettacolo». Con squisito senso dell'umorismo e grande chiarezza narrativa, ecco un romanzo contagioso, vitale, che invita all'entusiasmo.
Oggi più che mai occorre riprendere, e a volte anche ricostruire, quell'intreccio tra spiritualità e politica che dà senso e forma alla nostra esistenza singolare e plurale. Perché se l'uomo è, per definizione aristotelica, un animale politico, cioè un essere che vive nella pluralità della polis, è anche vero che ciascun uomo di fronte al progetto dell'esistenza si pone da solo, con la sua originalità unica. Ecco allora la necessità di riflettere sulle questioni essenziali che accompagnano la costruzione del senso dell'esistenza (oggetto della spiritualità) per arrivare a disegnare l'orizzonte del proprio camminare nel tempo e nella comunità umana (che è essenza della politica). È quanto fanno gli autori di questo libro, che declinano il tema in modi diversi e peculiari: rintracciando le intime connessioni tra politica e anima nella filosofia greca; dialogando con le riflessioni della modernità, da Hannah Arendt a Simone Weil, da Heidegger a Lévinas, a Weber e tanti altri; ricostruendo le sembianze dello 'spazio interiore' come primo spazio di libertà e di resistenza; puntando l'attenzione sulle forme etiche del prendersi cura e dello sguardo accogliente nei confronti del diverso e della fragilità così facilmente ostaggio della violenza; ripercorrendo la metamorfosi dello spirituale e la sua resilienza nella società dell'imperio economico e secolare... Questa è la strada da percorrere se si vuol togliere la spiritualità dal recinto chiuso della vita unicamente privata e restituire alla politica il senso di pratica al servizio della comunità, orientata a costruire una polis dove vivere una vita giusta, bella e buona.
Tutti sanno cosa vuol dire avere sete. È un'esperienza comune a ogni essere vivente, eppure possiede molteplici sfaccettature. Rimanda a significati di concretezza fisiologica come di tensione simbolica. Dice di bisogni e di desideri. Di vuoto e di slancio verso il pieno. Di tristezza e di morte come di ricerca attiva della freschezza di una sorgente. Avere sete e dissetarsi: di questo parla José Tolentino Mendonça nelle sue riflessioni che hanno guidato gli esercizi spirituali nel tempo di Quaresima per papa Francesco e la Curia romana, e che ora sono qui raccolte. C'è la sete vera, quella delle periferie del mondo, la sete di cui si muore, e c'è la sete che è dolore dell'anima, vulnerabilità estrema di una vita che non trova via d'uscita. C'è la sete che è malattia dell'essere sempre insoddisfatti, prigionieri della mercificazione del desiderio, ma c'è anche la sete che fa muovere, che diventa spinta per un nuovo viaggio esistenziale. È soprattutto questo, l'opportunità di crescita umana e spirituale offerta dalla sete, che a Tolentino preme sottolineare, ricercandone le tracce nelle Scritture come nella letteratura e nella poesia. Dalla samaritana che nel dialogo con Gesù scopre che non è dell'acqua del pozzo che ha sete, al desiderio di vedere il volto di Dio come sete viscerale di tutto il creato; dalla sete del Crocifisso che è sete degli uomini, alla beatitudine della sete che amplifica il nostro desiderio, la nostra ricerca di Dio. Fino alla scoperta del dono che la sete ci fa, l'acqua viva dello Spirito, e alla consolazione senza pari che proviamo nell'abbraccio dell'ultima frase di Gesù contenuta nelle Scritture, nel Libro dell'Apocalisse: «Chi ha sete, venga».
I territori della mistica si presentano talmente ampi e indeterminati da apparire a prima vista refrattari a qualunque tentativo di ricostruzione sistematica. Con la storia della mistica occidentale Kurt Ruh offre la prima sintesi complessiva di questo ambito di conoscenza del divino, strettamente correlato alla teologia e alla spiritualità. L'esperienza di Dio propria dei mistici avviene nel rapimento, nella visione, nell'estasi d'amore; posto in tal modo dinanzi ai "misteri che - afferma san Paolo - non è dato all'uomo di proferire", il mistico avverte tuttavia l'urgenza di comunicare ciò che ha provato, consegnandolo a un testo scritto. Nasce così una tradizione di straordinaria ricchezza, anche letteraria: "Ci sono lingue della mistica cristiana occidentale, c'è la lingua dei mistici, e c'è il linguaggio mistico". A questo riguardo la svolta decisiva si compie nel Medioevo centrale, quando, grazie soprattutto alla mistica femminile, avviene il passaggio dal latino ai volgari. La lingua e il linguaggio si forgiano invece nei secoli precedenti: sforzandosi di dire l'indicibile, i grandi "fondatori" creano categorie, una terminologia e uno stile destinati a durare nella storia religiosa dell'Occidente cristiano. In questo primo volume viene appunto ricostruito il percorso che da Dionigi Aeropagita a Agostino giunge, attraverso Gregorio Magno e Giovanni Eriugena, sino alle grandi scuole del XII secolo: i certosini; i cistercensi, con Bernardo di Clairvaux...
Nei Vangeli l'immagine del contadino evoca con efficacia alcune fondamentali qualità del cristiano e della sua testimonianza nella storia. Attraverso di esse si realizza la fedeltà dei credenti alla logica singolare di Dio e del suo Regno. La metafora del contadino esprime anzitutto la fiducia insita nel gesto di chi semina con generosità e senza calcolo: dalla piccolezza del seme verrà in futuro la copiosità del raccolto. Così è della parola di Dio, il cui annuncio, inerme e povero, a suo tempo darà infallibilmente frutto. Ma questo prodigio avviene nel segreto della terra, durante il tempo invernale, quando al contadino, forzatamente inoperoso, è chiesta la confidente pazienza dell'attesa: il seme del Regno cresce nella storia grazie alla potenza di Dio, che resta nascosta. Questa consapevolezza libera il cristiano dalla presunzione, e dall'affanno, di far dipendere il destino del Vangelo dalle proprie capacità. Tale visione di fondo, non del tutto ovvia, ispira questo libro di Bruno Maggioni, offrendo sagge "note di cristianesimo per questo tempo di cristiani frettolosi e ansiosi di vedere, tesi a molti progetti e impazienti verifiche, ma poco capaci di attesa". Il discepolo invece si fida di Dio.
Apparsi sul quotidiano «Avvenire» nel periodo che va dal 1990 al 2008 e finora inediti in volume, gli interventi ora raccolti in Da Oriente offrono un originale autoritratto di Olivier Clément, il teologo ortodosso la cui esperienza si è rivelata fondamentale nel promuovere l'amicizia tra le Chiese. A dieci anni dalla scomparsa dell'autore, i temi del dialogo ecumenico, dell'identità europea, della ricerca di nuove forme di spiritualità e del legame inscindibile fra teologia e arte (di straordinario interesse le riflessioni critiche su Jean-Paul Sartre e Pablo Picasso) non hanno perso nulla della loro attualità e, anzi, si presentano in modo ancora più significativo e urgente nel contesto di questi anni, come dimostrano per esempio le annotazioni che Clément tempestivamente dedica all'insorgere del fanatismo religioso. «Il Vangelo e i Padri sono le bussole che hanno orientato il cammino di questo autentico "visionario" cristiano», scrive nella Prefazione Enzo Bianchi, che attraverso la Comunità monastica di Bose è stato tra i primi a introdurre in Italia il pensiero di questo grande maestro del nostro tempo. Una testimonianza 'da Oriente', illuminante oggi più che mai.