
Questo libro è un racconto a "cuore aperto" scaturito dall'immenso affetto di una mamma per suo figlio e dall'indicibile dolore per la sua prematura scomparsa: uno strappo, una ferita sempre aperta che mai, mano mano potrà ricucire. Eppure è proprio dalle macerie di questa tragedia che sboccia il fiore più bello: la speranza nella vita nuova da vivere e far vivere fino in fondo sempre accompagnati dalla luce della fede. Mariano oggi continua a vivere nel ricordo di chi lo ha generato, di chi lo ha amato, conosciuto e di chi si avvicinerà a lui grazie alle pagine di questo atto d'amore. Pagine di cui il lettore alla fine potrà dire: "ho letto d'amore". prefazione del cardinale Ersilio Tonini.
"La nostra santa, nella sua natura di donna dotata di fantasia, di intuito, di sensibilità, di vigore volitivo e operativo, di capacità e di forza comunicativa, di disponibilità alla donazione di sé ... è una donna prodigiosa, che in quella seconda metà del Trecento mostra in sé di che cosa sia resa capace una creatura umana, e - insisto - una donna, figlia di umili tintori, quando sa ascoltare la voce dell'unico pastore e maestro, al quale, da "vergine saggia", ha generosamente consacrato la sua vita. "Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta Italia"; anzi, io aggiungo: in tutta la Chiesa, in tutto il mondo. Di questo "fuoco" ha bisogno l'umanità anche oggi, ed anzi forse più oggi che ieri. La parola e l'esempio di Caterina suscitino in tante anime generose il desiderio di essere fiamme che ardono e che, come lei, si consumano per donare ai fratelli la luce della fede ed il calore della carità." (Giovanni Paolo II) "Passeggiare al tramonto, accarezzato dalla tiepida brezza estiva, nei luoghi Cateriniani, ascoltando i suoi passi, il suo pregare silenzioso, il suo anelito di Dio, mi ha suggerito un accostarmi alla Santa senese in maniera più profonda quasi a stringere conoscenza con lei, con la sua fede. Il venticello di quella sera di circa tre anni fa, oserei dire zefiro divino, ha portato la mia interiorità a veleggiare verso il Dialogo della Divina Provvidenza spingendomi al largo, apparentemente in balìa dei tempestosi flutti, difficoltà interpretative, in realtà placide onde che mi hanno cullato ponendomi, onorato di tanto grazia, come muto uditore, spettatore del sublime Dialogo tra Caterina ed il suo sposo. Due anni e mezzo di navigazione, solcando il mare del capolavoro di Santa Caterina da Siena, tra tempeste, nubifragi, splendide albe, meravigliosi tramonti, hanno cesellato, quotidianamente, questo mio omaggio alla Patrona d'Italia e d'Europa e alla sua straordinaria opera." (Gabriele Prigioni)
Il libro è composto da 506 riflessioni (annotazioni) su temi vari. Esse si possono suddividere in: Pensieri edificanti, diario intimo, note storiche, alcune poesie.
L’ordine di tali pensieri è cronologico dal 1988 al 2014. Le riflessioni sono annotazioni che Kiko ha fatto sul suo diario. Particolarmente interessante è il Diario intimo dal quale emerge la personalità dell’autore e la grande umanità dello stesso. Kiko non è un uomo diverso dagli altri, pur essendo l’iniziatore insieme a Carmen Hernández di una delle realtà ecclesiali più importanti nella Storia della Chiesa, esso è soggetto alle contraddizioni e agli slanci propri della natura umana. La Sua fede è segno di comunione con il divino e causa di sofferenze, di dolori e grandi gioie. In alcuni parti il libro è commovente raccontando in presa diretta, attraverso i pensieri e le sensazioni dell’autore, la storia vera di un uomo che ha ricevuto la grazia di parlare con Dio. Un Dio padre che lo accoglie e lo tratta come un figlio; Un figlio che a volte disobbedisce e altre lo abbraccia. Sembra di essere realmente presenti nella scena dipinta da Rembrandt nel Figliol Prodigo, di sentire quegli odori, di vedere le lacrime del Padre e del figlio, di ascoltare le loro parole. Una storia di amore ed di odio di fedeltà e di tradimento, di gioia e di dolore. Un mosaico variegato composto da una miriade di tessere colorate che danno al lettore una immagine definita, quella di una grande bellezza e di una vera umanità, di una grande letizia e di una grande sofferenza, di una natura umana perennemente in bilico tra la grazia e il peccato.
Il libro può essere letto senza continuità. Esso può essere aperto a caso ed offrire in una sola pagina o in una riflessione una chiave di lettura della vita o dei problemi esistenziali, offrendo a volte una soluzione che sembra impossibile o inesistente.
Queste riflessioni sono il frutto di un uomo qualunque con i suoi problemi, dubbi, speranze, gioie e dolori. Un uomo normale che ha compiuto nella sua vita opere impossibili e straordinarie. La vita dei santi è la vita di uomini e donne normali pregni dell’amore di Cristo, sempre più somiglianti alla bellezza del Suo volto.
Terzo volume della collana Ascolta e Cammina che raccoglie gli scritti dell'abate generale dei Cistercensi Padre Mauro Giuseppe Lepori. Per il modo di esprimere i suoi pensieri e di fermarli sulla carta Lepori è uno degli autori più letti e seguiti nel panorama della cultura cattolica italiana. Nel libro il padre Lepori approfondisce il tema della preghiera che rappresenta un canale privilegiato per parlare e per ascoltare Dio. L'autore attingendo dalla tradizione dell'Ordine cistercense, di cui è abate generale, compie suggestive riflessioni sulla spiritualità propria del monachesimo occidentale.
"In Christi amore prò inimicis orare. Pregare per i nemici nell'amore di Cristo." (KB 4,72). È questo il consiglio della Regola di San Benedetto che meglio sintetizza il centro e l'ampiezza della mistica, del cuore mistico della nostra vocazione cristiana e monastica. Mistica non vuol dire essere fuori dalla realtà, ma vivere con la coscienza della realtà totale, quindi mettere al centro della nostra vita e del nostro cuore il rapporto con Dio. Non essere coscienti della natura profonda del nostro cuore ci rende meno vivi, non solo nel vivere le esperienze drammatiche ed estreme, ma la vita quotidiana, la vita che ci è data da vivere ogni giorno con pienezza. È urgente che ci aiutiamo a capire come vivere consapevolmente l'esperienza centrale del cristianesimo, perché essa è appunto l'esperienza centrale della nostra natura umana, è il cuore della nostra umanità, è la scoperta del nostro cuore. Perché è solo da lì che può sempre rinnovarsi e fiorire una vita, una vocazione, una comunità, un Ordine, la Chiesa tutta.
Maria del Carmen Hernàndez Barrerà nasce a Olvega, Navarra (Spagna), il 24 novembre 1930. Figlia di Antonio Hernàndez Villar e di dementa Barrerà Isla, quinta di 9 figli. Per desiderio del padre, inizia gli studi in chimica all'Università di Madrid e, dopo la laurea, lavora per un breve periodo nell'industria di famiglia. Nel 1951 entra nell'Istituto Misioneras de Cristo Jesus per rispondere alla sua vocazione missionaria. Negli anni 1957-59 studia teologia a Valencia. Più tardi entrerà in contatto col rinnovamento del Concilio Vaticano II attraverso il liturgista padre Pedro Farnés. Dopo quasi due anni vissuti in Israele, conoscendo dal vivo la tradizione del popolo di Dio e dei luoghi santi, nel 1964 si reca tra i baraccati di Palomeras Altas (Madrid) in attesa di costituire un gruppo missionario. Qui conosce Kiko e comincia a lavorare con lui. Insieme daranno vita a una nuova forma di predicazione che porterà alla nascita di una piccola comunità cristiana: la prima Comunità Neocatecumenale. Il temperamento artistico di Kiko, la sua esperienza esistenziale; lo slancio di evangelizzazione di Carmen, la sua attenzione al rinnovamento liturgico del Concilio, centrato sul Mistero pasquale; l'ambiente dei poveri costituiscono quel "laboratorio", che dà luogo a una sintesi kerigmatico-teologico-catechetica, colonna vertebrale di tutto il processo di iniziazione cristiana, che è il Cammino Neocatecumenale. Il 16 maggio 2015 riceve, insieme a Kiko Arguello, il dottorato in teologia honoris causa dalla Catholic University of America di Washington (USA). Muore a Madrid, il 19 luglio 2016.
Chi siamo? Dove siamo diretti? Da dove proveniamo? Ha senso il vivere e il morire? Si apre una speranza dopo questa vita? Questo libricino è il compendio di elaborazioni dello spirito alla luce della fede cristiana. L’uomo è spirito oltre che materia, e lo spirito, anche se invisibile, non può tacere ma si espande come l’aria.
Il volume raccoglie una serie di conversazioni con voci prestigiose della cultura contemporanea che rileggono le passioni letterarie del Cardinale. «[...] alle mie Avventure, specchio luminoso delle esigenze più profonde dell'umanità, si affiancano gli Inni di sant'Ambrogio, espressione più alta di una fede che diviene canto del Mistero, e ancora: Dante con la sua opera divina e immortale, la genuina schiettezza di Giovannino Guareschi, Riccardo Bacchelli con la sua umanissima pietas, la paradossale arguzia di Gilbert Keith Chesterton e l'atmosfera hobbit della Terra di Mezzo di John Ronald Reuel Tolkien, per arrivare infine alle singolari e drammatiche profezie di Vladimir Sergeevic Solov'ëv. E non finisce qui: c'è anche una gustosa conversazione con Giacomo Poretti sul proverbiale umorismo del Cardinale» (dalla Presentazione di Pinocchio). Conversazioni con: F. Nembrini, I. Biffi, A. Ghisalberti, A. Guareschi, M. Vitale, G. Spirito, P. Gulisano, V. Possenti, Giacomo Poretti. Postfazione di Matteo Maria Zuppi.
«Chi è l'uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici?» (RB, Prol. 15) Dio e l'uomo si cercano. Dio ha bisogno dell'uomo e l'uomo ha bisogno di Dio. Hanno bisogno l'uno dell'altro per realizzare la stessa opera: l'immagine di Dio nell'uomo. L'umiltà di riconoscere e adorare Dio nell'uomo è ciò che ci rende perfettamente umani, totalmente umani. Umani nel rapporto nuovo di comunione, di onore e di carità che possiamo offrire a tutti, offrendolo anzitutto a Cristo stesso. È così che l'avvenimento cristiano, di cui san Benedetto ci educa a fare esperienza, ha trasfigurato, trasfigura e potrà sempre di nuovo trasfigurare il mondo umano. E oggi è più necessario che mai. Vi invito a ripartire umanizzando il mondo con l'umiltà totale che adora e accoglie Cristo in ogni persona che incontrerete.
«Che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi?» (Sal 8,5) Avere cura degli altri è l'atteggiamento che sintetizza l'esercizio della misericordia. Incarna l'amore per la vita dell'altro, per la sua crescita, per la sua felicità. San Benedetto è cosciente che la cura per l'altro inizia dall'attenzione che esercitiamo verso le necessità e le miserie dei fratelli e delle sorelle. E l'attenzione è uno sguardo, un vedere ciò di cui l'altro ha bisogno, una sensibilità per il bisogno degli altri, come quella del Padre, di Gesù. «Imiti il misericordioso esempio del buon Pastore» (RB 27,8): la cura del buon Pastore si esercita anzitutto nel vegliare sul gregge, nel tenerlo sott'occhio. San Benedetto ha fissato gli occhi su Gesù, Pastore misericordioso, e quando chiede all'abate di imitarne il pio esempio, la prima cosa che gli chiede è che anche l'abate impari come deve essere e agire «tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2).
«Se tu, al sentir presto, rispondi: Io!» (RB, Prol. 16) Quando Gesù ci chiama a seguirlo, viene a rispondere al desiderio di vita e di felicità che portiamo nel nostro cuore. Sentendo una vocazione, il cuore umano emerge come dai flutti del mare per manifestare che c'è, e che c'è appunto come domanda di vita, come domanda di salvezza. Ed è allora che nell'uomo si afferma l'io, un'identità, il suo essere persona. Lo stupore di fronte alla bellezza della presenza di Cristo che ci chiama a Lui è l'impegno esaustivo e inesauribile della vocazione, e ciò che rigenera nell'incontro con Cristo la gioia e fecondità della nostra sequela, rendendola feconda di gioia per gli altri. Una vocazione è compiuta, non quando è perfetta, ma quando è meravigliata, come all'inizio. È possibile da subito, questa pienezza, se lo sguardo, il cuore, è aperto ora, disarmato, alla bellezza di Gesù Cristo. «Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo!"» (Lc 19,5). La nostra bellezza è lo stupore di fronte a Cristo che ci chiama ora.
Si va avanti bene solo conoscendo da dove si viene. La cultura è una sporca faccenda», rispose don Camillo, «perché quando un discorso non si può tradurre in dialetto significa che è una parola in aria. Voi fate pure della filosofia e della politica, noi andiamo allo stand gastronomico dove il progresso non si arresta». Don Camillo si è ritirato sul crinale insieme a Peppone. E si ritrovano al belvedere a guardare verso la Bassa, dove sembra che l'acqua abbia smesso di andare dall'alto al basso. E Peppone ha perso i riferimenti, ma il reverendo parroco ha conservato il Crocifisso dell'altar maggiore. Per questo al bar continuavano a chiamarlo don Camillo. Brevi storie di un mondo piccolo ai giorni nostri, preparate leggendo e rileggendo la ricetta doc di Giovannino Guareschi.