
Non tutti sanno che Sir Arthur Conan Doyle, il grande inventore del moderno romanzo poliziesco e creatore di Sherlock Holmes, ha studiato medicina e ha praticato la professione per quindici anni come medico di bordo, prima di una baleniera e poi di un piroscafo, e infine con un suo ambulatorio con l'insegna della lampada rossa che in Inghilterra allora identificava gli ambulatori medici. Pubblicati nel 1894, quando oramai la fama di Conan Doyle aveva raggiunto dimensioni ragguardevoli, questi racconti sono prima di tutto un atto di amore non tanto verso la medicina quanto verso ciò che la figura del medico rappresenta, e soprattutto rappresentava nei tempi passati. Com'è noto, lo scrittore scozzese ha costruito Sherlock Holmes e il suo 'metodo' sulla base di un approccio scientifico ai fatti da interpretare non dissimile dal metodo diagnostico seguito dai medici in un periodo in cui non disponevano dei moderni strumenti di indagine. Questi racconti, sempre incentrati su tematiche riguardanti medici o medicina, si trasformano così nell'affresco sublime e leggero di un intero mondo e di un'intera società, la società vittoriana, descritta in personaggi che vanno dal ministro degli Esteri di Sua Maestà al piccolo borghese, dal grande chirurgo al medico alle prime armi, passando da un tono elegante e divertito al racconto 'nero'.
Dopo il recente "Pirati e altri avventurieri", Fernando Savater dedica un nuovo volume ai romanzi d'avventura e all'arte di raccontare storie. Naturalmente non mancano neppure qui gli 'avventurieri', e tuttavia cambiano i mondi che li vedono agire, che vanno dagli affascinanti paesaggi dell'Africa e dalle sterminate pianure del Far West, ai luoghi immaginati dai maestri della fantascienza di ieri e di oggi. Al centro gli scrittori più amati, come Jules Verne e come H.G. Wells; ma senza trascurare un corollario di scrittori oggi meno rinomati ma le cui opere restano intramontabili, a cominciare da quell'Arthur C. Clarke cui si deve il racconto da cui Stanley Kubrick trasse il suo indimenticabile "2001 Odissea nello spazio". Come sempre, Savater riflette a tutto campo e in profondità su ciascuno dei temi, degli autori e delle opere trattate, spaziando tra letteratura e cinema, tra grandi personaggi e grandi interpreti; ma lo fa soprattutto come un lettore appassionato e instancabile che lotta contro ogni pregiudizio che vada ad inficiare il piacere della lettura, che si tratti di Tolkien o che si tratti di Harry Potter, perché in definitiva l'arte di raccontare è anche l'arte di saper leggere.
Pubblicato nel 1901, La signora Berta Garlan narra la vicenda amorosa di un'insegnante di pianoforte. Sposata a un uomo che non ama, Berta resta ben presto vedova e continua a vivere da sola con il suo bambino in una piccola città danubiana. Nulla sembra poter ormai cambiare un destino già segnato da rinunce e privazioni, quando una gita a Vienna la farà incontrare di nuovo l'unico uomo che abbia davvero amato, un compagno di conservatorio divenuto nel frattempo un famoso virtuoso di violino... In questo romanzo Schnitzler ci regala una bellissima figura femminile, della quale sonda l'anima con grande sensibilità e modernità, descrivendo la difficile condizione sia economica che sociale di una donna di quei tempi e l'impossibilità di sfuggire a un'esistenza infelice. Ma la profondità di Schnitzler va al di là delle contingenze dell'epoca storica: come fece notare il padre della psicoanalisi Sigmund Freud, la sua arte, con il suo scetticismo, la sua penetrazione nella verità dell'inconscio e nella natura delle pulsioni umane, la demolizione delle certezze convenzionali della società e la polarità di amore e morte, attinge a un valore universale.
La presidente della Repubblica di Santa Clara, chiamata popolarmente 'la Principessa', desidera trasformare la sua piccola isola nel centro culturale del mondo intero e invita famosi scrittori, artisti, brillanti intellettuali, giornalisti, filosofi, linguisti, poeti, a un grande Festival della Cultura da tenersi nell'isola. Ma la nube sprigionatasi da un vulcano - come in effetti successo qualche anno fa in Europa per l'eruzione di un vulcano in Islanda blocca i collegamenti aerei e gli ospiti rimangono intrappolati nell'isola. Il romanzo è la cronaca delle conversazioni tra gli ospiti durante quell'ozio forzato, una situazione che richiama il Decamerone di Boccaccio. Gli argomenti sono molteplici: filosofia, politica, populismo, nazionalismo, terrorismo, letteratura, religione, società... un grande calderone contenente un enorme e irresistibile sciocchezzaio che ricorda drammaticamente il clima sociale e culturale in cui viviamo.
Con il titolo Siamo stati felici sono qui riuniti nove racconti, tutti incentrati su figure femminili, pubblicati dalla grande scrittrice – francese d’adozione – Irène Némirovsky, nata a Kiev nel 1903 e tragicamente scomparsa ad Auschwitz, dove era stata deportata, nel 1942.
Per la prima volta tradotti in italiano, questi racconti erano usciti su diverse riviste, negli anni tra il 1933 e il 1942, e dunque vanno a intersecarsi con la pubblicazione di grandi opere come L’affare Kutilov (1930), Il vino della solitudine (1935), Jezabel (1936), I cani e i lupi (1940), che avevano consacrato la scrittrice ebrea di origine ucraina come una delle maggiori narratrici di lingua francese della sua epoca. In tutti questi racconti, splendidi sono i ritratti delle donne protagoniste, che riflettono sugli episodi più intensi, a volte più drammatici, della propria esistenza; sempre legati a un amore incontrato e vissuto, oppure incontrato e perduto, che è stata la chiave di volta del loro destino. L’amore come passione, certo, ma con tutti i suoi ingredienti più contrastanti e antitetici: la gioia incontenibile, il piacere devastante, la sudditanza psicologica, la sofferenza estrema… E quasi sempre la felicità è al passato, nel ricordo, a volte enigmatico, a volte remoto, ma sempre ben presente, di un tempo in cui tutti noi ‘siamo stati felici’, per quel «sapore che soltanto l’amore può dare alla vita, un sapore di frutto, appetitoso, succulento, quasi aspro, un sapore di labbra giovani».
Nell'ambito dell'opera di Irene Némirovsky, i cui romanzi sono stati pubblicati principalmente da Adelphi, la Passigli Editori ha in programma l'edizione integrale dei racconti, che costituiscono una dimensione particolarmente felice della sua narrativa. Dopo la raccolta "Siamo stati felici", pubblicata in questa stessa collana, vengono dunque qui riuniti con il titolo "Giorno d'estate" alcuni altri racconti inediti o poco noti, a testimoniare ancora una volta la grande capacità di Irene Némirovsky di penetrare nelle pieghe più riposte dell'animo umano. E se "Giorno d'estate", "Domenica" e "Natività" si presentano come tre delicati studi sulle diverse età della vita, con "L'inizio e la fine" e con "Vincoli di sangue" vediamo nuovamente prorompere la passione fino al sacrificio più estremo, che sia l'assassinio dell'amata o sia la devastazione della propria stessa vita, immolata sull'altare di un amore impossibile. Cinque racconti di straordinaria intensità, che per lucidità di analisi psicologica già rivelano la scrittrice che di lì a breve avrebbe pubblicato i suoi grandi romanzi - da "Due" a "I doni della vita", da "I cani e i lupi" a "I fuochi dell'autunno" - fino alla riscoperta del suo capolavoro scampato alla deportazione ad Auschwitz, quella "Suite francese" che è stata uno dei maggiori successi internazionali di questi ultimi anni.
Dopo le raccolte "Siamo stati felici" e "Giorno d'estate" pubblicate in questa stessa collana, la Passigli Editori prosegue l'edizione integrale dei racconti della grande scrittrice francese di origine ucraina Irene Némirovsky. Questo terzo volume comprende nove racconti, tutti degli anni dal 1940 al 1942 con l'eccezione del primo, "Eco", che è del 1934, ma che a quelli si ricollega per una tematica fortemente improntata agli anni dell'infanzia e dell'adolescenza. Infatti, forse proprio il dilagare della Seconda guerra mondiale, con la nuova realtà tragica e brutale con cui le persone si trovano costrette a fare i conti, spinge la scrittrice ad una profonda rivisitazione del passato; non si tratta però di un consolatorio rifugio nel mito dell'infanzia, ma di una riflessione, in parte autobiografica e in parte fantastica, intorno ad un'età che non si lascia mai del tutto alle spalle e che spesso determina - anche negativamente, nella difficoltà dei rapporti tra genitori e figli, nelle aspettative deluse, nelle 'colpe' dei padri che i figli si trovano in qualche modo a dover espiare - l'ulteriore svolgimento della vita. Ma, come sempre nella narrativa di Irene Némirovsky, altri temi si intrecciano a questi: illusioni e delusioni d'amore, magie e sortilegi della memoria. E soprattutto, ancora una volta, questi racconti ci offrono una ricca, umanissima serie di indimenticabili personaggi maschili e femminili alle prese con i momenti cruciali delle loro esistenze...
Con "Speranze e destini" concludiamo la pubblicazione dell'intero corpus dei racconti di Irene Némirovsky. Questo quarto volume - dopo "Siamo stati felici", "Giorno d'estate" e "Sortilegio" - raccoglie dieci bellissimi racconti apparsi tra il 1937 e il 1940: anni particolarmente fertili per la grande scrittrice, che in quello stesso arco di tempo pubblica alcuni dei suoi principali romanzi, da "La preda" a "I cani e i lupi". Tra questi racconti ce n'è uno in particolare al quale Irene Némirovsky era molto affezionata: "Aino", splendida narrazione incentrata sugli anni dell'esilio finlandese della scrittrice. Del resto, una delle chiavi per entrare in tutti questi racconti è proprio quella autobiografica: così in "Fraternità", così in "Nascita e rivoluzione" e in "Magia", solo per citarne alcuni. Ma come sempre nelle opere di Irene Némirovsky, il ricordo autobiografico si apre all'immaginazione, un po' come avviene per i suoi personaggi, spesso adolescenti che invadono la realtà con i propri sogni, le proprie attese, le proprie fantasie. Si è parlato, a proposito di Irene Némirovsky, di una scrittura quasi romantica, intrisa di forti sentimenti; si può forse non obiettare troppo a questa osservazione, ma solo se la si integra con la straordinaria capacità della scrittrice di riprodurre la realtà, fisica e psicologica, nella quale si muovono i personaggi.
Opera postuma di Thomas Wolfe incentrata sul personaggio largamente autobiografico dello scrittore George Webber, "Ho una cosa da dirti" è la storia di una disillusione che segnerà profondamente la vita del grande scrittore americano. Fervente ammiratore della cultura e del popolo tedesco, George Webber - così come in realtà fece Thomas Wolfe - si concede, dopo la pubblicazione del suo ultimo romanzo, una lunga vacanza in Germania, dalla quale manca da molto tempo. È il 1936, l'anno delle Olimpiadi, tre anni dopo la vittoria elettorale di Hitler e il famoso 'patto con i tedeschi'. Ciò che George legge sulla Germania nella stampa internazionale lo inquieta, ma non vi crede del tutto: ritiene che la stampa esageri sempre, che la Germania degli anni precedenti fosse finita in un caos che sembrava irresolubile e che non sia possibile che un popolo tanto civile si sia sottomesso a una dittatura... Il primo impatto con Berlino è consolante: una città ordinata e bellissima, un'atmosfera culturale viva, una popolazione apparentemente felice. Ma presto George avverte piccoli segnali: un'atmosfera reticente, un sentimento generalizzato di paura, l'indisponibilità della gente ad affrontare certi argomenti. George è sconcertato: la grandiosa organizzazione delle Olimpiadi testimonia di un paese dalle eccezionali possibilità, la qualità e l'internazionalità dell'editoria tedesca la confermano ancora la migliore d'Europa, Berlino è tuttora una città multiculturale...
Gli appassionati lettori di Rainer Maria Rilke ben sanno quanto il tema dell'infanzia sia presente nelle opere del grande poeta praghese, forse anche a causa della sua stessa infanzia infelice, con i genitori ben presto separati, e poi con il precoce quanto detestato ingresso nell'accademia militare. In effetti, gli scritti di Rilke sono pieni di riferimenti all'infanzia: ci sono persino opere, come le famosissime "Storie del buon Dio", pensate appositamente per i bambini. L'infanzia per Rilke resta un luogo di sogni e insieme un luogo sognato, il momento magico in cui l'uomo vive per intero l'esperienza del mondo che gli sta intorno, un mondo che si apre a possibilità che paiono infinite. La presente antologia, a cura di Paolo Colombo, propone una scelta delle più belle poesie dedicate all'infanzia - la maggior parte delle quali vengono qui tradotte per la prima volta -, accompagnata da uno studio che precisa e sviluppa l'importanza di questo tema nel mondo rilkiano.
Dall'infelice passione di una giovane musicista nella Vienna del primissimo Novecento (L'amore di Erika Ewald) a quella impossibile di un cameriere per la propria padrona (La stella sul bosco), questi due racconti, pubblicati nel 1904 da uno Stefan Zweig appena ventitreenne, dimostrano la già grande capacità di osservazione psicologica dello scrittore viennese (1881-1942), tanto che fin dal loro apparire vennero elogiati da un lettore d'eccezione come Hermann Hesse per la loro finezza estrema di "studi di anime". E se l'Erika Ewald del primo racconto ha molti tratti in comune con quelle che saranno le successive, indimenticabili eroine dei racconti di Zweig - da Bruciante segreto a Paura, da Ventiquattr'ore nella vita di una donna a Lettera di una sconosciuta - La stella sul bosco ne costituisce già una delle possibili chiavi interpretative; scrisse infatti lo stesso Zweig diversi anni dopo di aver voluto illustrare con quel racconto l'idea che "la nostra vita sia guidata da correnti più profonde degli avvenimenti esteriori, e che un'intensa magia della vita, accessibile solo alla nostra emozione e non ai nostri sensi, governi i nostri destini, anche quando siamo noi a credere di dirigerli".
Da Istanbul a Diyarbakir, in terra curda, un treno corre lungo un'immensa steppa. A bordo c'è Yusuf, che non ha più né padre né madre, e neppure un nome: Yusuf è un sospetto agli occhi di un potere sempre più totalitario, e lascia alle spalle la sua città attraversando un paese scosso da una serie di attentati. Davanti a lui c'è 'Poeta': un terribile segreto sembra legarli indissolubilmente... Apparso nel 2002, e subito acclamato come uno dei migliori romanzi della nuova narrativa turca, "Tol" (parola curda che significa 'vendetta') è sì la storia di una vendetta, come recita il sottotitolo, ma è anche la storia di una misteriosa e paurosa odissea tra le colline dell'Anatolia e i guerriglieri del Kurdistan, sulle tracce di una rivoluzione impossibile: un viaggio nella geografia, nella storia e nell'anima di un paese, la Turchia, che è ancora oggi al centro dell'interesse del mondo intero, sia per la sua posizione strategica, sia per il suo complesso e contraddittorio cammino verso un'evoluzione democratica che pare ancora lontana.