
In un affollato quartiere residenziale di Tokyo quattro studentesse trascorrono un'estate caldissima preparandosi ad affrontare gli esami per l'ammissione all'università. Sono molto diverse tra loro: Toshi è affidabile e sicura, Yuzan riservata e malinconica, Terauchi ha un grande talento per gli studi, Kirarin occulta dietro la sua dolcezza un'attrazione morbosa per i comportamenti estremi. Un rumore inconsueto che proviene da un appartamento stravolge improvvisamente il loro destino: il vicino di casa, un liceale che le quattro amiche chiamano il Vermiciattolo, ha ucciso la madre ed è scappato con la bici e il cellulare di una di loro. In fuga dalla polizia, il giovane assassino inizia a contemplare affascinato il proprio volto riprodotto in fotografie e servizi televisivi, assapora l'improvvisa visibilità mediatica, il racconto della sua vita riscritto da giornalisti e reporter, e asseconda la curiosità collettiva intorno alle ragioni che lo hanno spinto a uccidere. Il pigro distacco del giovane si trasforma progressivamente in una consapevolezza crudele: insensibile alle conseguenze del suo crimine, vuole che le ragazze scrivano per lui un manifesto filosofico che esalti la lucida follia delle sue azioni... Immerse in una vita di chat, sms e Reality TV, le quattro adolescenti scoprono un mondo scabroso e brutale. Una realtà popolata di ragazzi in attesa di un esempio, di una guida che li riscatti dalla noia di un sistema che non sa comprendere la loro diversità.
Nel porto di Napoli, all'altezza di via Nuova Marina, si ergono due torri antiche talmente rabberciate a colpi di mattoni che sembrano due verruche gemelle. Su un terrapieno in mezzo a quelle torri, erbacce, rovi e malvarosa ostruiscono una porta di legno tarlato. Da quella porta, più di venti anni fa, è uscito Filippo Scalfaro De Nittis. Era un bambino allora, ora è un uomo che ogni mattina entra dal retro del ristorante La Bersagliera. Seduto davanti alla macchina del caffè, aspetta che il padrone del ristorante gli faccia un cenno. Filippo Scalfaro De Nittis, infatti, non cucina, non porta i piatti, fa soltanto il caffè. E a Napoli nessuno può vantarsi di farlo meglio di lui: un caffè per ogni voglia, per ogni umore, violento come uno schiaffo per svegliarsi al mattino, rotondo e morbido contro il mal di testa, robusto e forte per non dormire. Oggi è un giorno speciale per lui, il giorno in cui farà il suo ultimo caffè, destinato a un cliente seduto nella grande sala della Bersagliera. Sta mangiando calamari fritti. Gli trema un po' la mano e la forchetta gli gioca ogni tanto degli scherzi. Si potrebbe prenderlo per un impiegato delle poste in pensione, calvo com'è e con le dita gonfie. Ma Filippo Scalfaro De Nittis sa di che cosa è capace, sa quale abisso di crudeltà tradisce la sua aria infastidita e il suo modo di rivolgersi ai camerieri come se si trattasse di cani. Si chiama Toto Cullaccio. E per lui che Filippo Scalfaro De Nittis è tornato dagli inferi...
In un giorno del 1974, la vita di Hailu e di milioni di etiopi muta di colpo. Dal cielo terso e acceso dal sole di Addis Abeba, gli elicotteri dell'esercito imperiale lasciano cadere migliaia di volantini. Adagiandosi al suolo con la grazia di piume strappate, i fogli annunciano alla popolazione l'impensabile: la ribellione dell'arma a una «monarchia vetusta e decadente», incapace di assicurare alla giustizia i corrotti e i responsabili della carestia che flagella l'Etiopia.
Nei mesi seguenti l'imperatore Hailè Selassiè, subito dopo aver firmato l'ordinanza di scioglimento del governo e del consiglio della corona, viene arrestato e trasportato in una modesta casa sulla collina che sovrasta la capitale.
Nella notte fra il 26 e il 27 agosto del 1975, l'eletto del Signore, il monarca con nelle vene il sangue di re Salomone, il Leone di Giuda che ha combattuto Mussolini, viene soffocato con un cuscino e sepolto sotto il pavimento di una latrina, di fronte alla finestra dell'ufficio del nuovo tiranno, Menghistu.
Nei trent'anni trascorsi come medico del Prince Mekonnen Hospital, ribattezzato dal nuovo regime Black Lion Hospital, Hailu non ha mai visto una città così sconvolta come ora. Jeep e uniformi, marce militari e assemblee obbligatorie, una continua parata di manifesti propagandistici, stelle, falci e martelli, operai dall'aria fiera e con i pugni alzati e, soprattutto, incessanti arresti ed esecuzioni di intellettuali, notabili, aristocratici e funzionari imperiali finiti, inermi, nelle mani del Derg, il consiglio della rivoluzione, dopo essersi fidati della sua falsa promessa di non ricorrere a un bagno di sangue.
Il Derg ha trasformato persino l'ospedale in un luogo desolato, pieno di dottorini russi e pazienti etiopi mal assistiti e afflitto da una perenne scarsità di medicinali.
Hailu tuttavia, non si ribella. Continua la sua vita segnata dalla solitudine seguita alla morte della moglie per un male incurabile, anche quando scopre che il figlio più giovane, Dawit, non frequenta affatto i corsi universitari, ma le riunioni clandestine della resistenza studentesca contro il Derg.
Un giorno, però, al Black Lion Hospital viene trasportato il corpo di una ragazza avvolto in un foglio di plastica trasparente. Un corpo orrendamente torturato, i jeans e la camicetta a fiori letteralmente zuppi di sangue, i piedi che sporgono gonfi dall'estremità della barella. Un'oscenità inaudita, che costringe Hailu a drammatiche e inevitabili decisioni.
Opera strabiliante sulla tragedia di una rivoluzione e sull'insopprimibile bisogno di libertà degli esseri umani, Lo sguardo del leone svela, sulla scena letteraria mondiale, l'originalità e la potenza del nuovo romanzo africano.
Giovane avvocato a Barcellona, Ricardo vive giorni difficili - Clara, la sua donna, lo ha piantato di punto in bianco - quando riceve una telefonata di Cristina, sua madre. Tomàs, suo padre, annuncia Cristina, è sparito lasciando uno strampalato biglietto in cui ha manifestato l'intenzione di raggiungere il Tibet. Una prospettiva davvero bizzarra per un uomo che, al tramonto della propria vita sessuale, ha commesso la stupidaggine di abbandonare la moglie per mettersi con una donna molto più giovane e ritrovarsi poi solo come un cane in uno squallido monolocale, seduto, come un vecchio risentito e debole, davanti al televisore. Cristina riferisce qualche tempo dopo a Ricardo che la polizia ha rintracciato la Opel di Tomàs in un paesino a nord di Girona, e intima al figlio di mettersi sulle tracce del vecchio genitore. Ricardo raggiunge in macchina il villaggio, e nel giro di qualche ora ritrova Tomàs. O, meglio, ritrova fisicamente suo padre, ma stenta quasi a riconoscerlo. Del vecchio, malandato Tomàs non vi è più traccia. Al cospetto di Ricardo si presenta un uomo gioviale, circondato da amici straordinari: Lola, una maitresse anarchica; Marcelo, il grassone che legge continuamente i classici della letteratura a Paquita, la sua compagna cieca che passa le ore seduta davanti alla porta di casa, Irene, bella e formosa, con un'animalità primordiale nei movimenti; Maria dal piacevole sguardo sfuggente; e la bellissima Barbara Baldova...
Ceylon, 1836. Catherine Colebrook, giovane moglie di un anziano funzionario britannico della John Company, è una donna alle prese con una vita non facile. Ma, soprattutto, Catherine coltiva una passione disdicevole per una donna della sua epoca: la fotografia. Nella malandata tenuta di Dimbola, accerchiata dai tumulti sempre più violenti che i tamil scatenano contro gli invasori inglesi, Catherine insegue il suo sogno giorno dopo giorno. Ad aiutarla con curiosità e crescente dedizione è il giovane tamil Eligius, entrato a servizio per poter sfamare la madre e la sorellina, ma con il cuore pieno di rabbia dopo che il padre è stato ucciso nel tentativo di sostenere la causa della sua gente. Eligius è fiero, orgoglioso, estremamente intuitivo e, nonostante l'iniziale disprezzo per i colonizzatori, finisce per subire il fascino del mondo occidentale attraverso il rapporto con il saggio capofamiglia, Charles Colebrook, con l'appassionata moglie e con la bella figlia, Julia, di cui si innamora. Quando la tensione esplode sull'isola, nell'animo di Eligius si apre un abisso: deve appoggiare la rivolta gli inglesi oppure seguire quel che sempre più chiaramente gli appare come il progresso? Ispirato alla storia vera di Julia Margaret Cameron, illustre pioniera della fotografia, "Luce proibita" intreccia storia, scienza, arte, politica e quotidianità familiare nel racconto di un'amicizia indistruttibile oltre le convenzioni e i pregiudizi.
Nella primavera del 1939, Laura Chappell incontra per la prima volta a Memphis Henry McAllan. Lei, piccola e scura, con marcati lineamenti francesi, ha trentun anni ed è ancora vergine: una "zitella sulla via della pietrificazione", come ironicamente si definisce. Insegna inglese in una scuola privata per ragazzi, canta nel coro della Calvary Episcopal Church e fa da baby-sitter ai suoi nipoti. Lui, quarantunenne che dimostra tutti i suoi anni soprattutto per via dei capelli candidi, ha mani forti, una solida aria di sicurezza e la deliziosa parlata del Delta del Mississippi. Quando Henry McAllan le propone di sposarlo, Laura accetta di buon grado, certa che il primogenito di un clan rurale come Henry non possa che essere un buon marito e un padre premuroso dei suoi figli. Il giorno in cui Henry decide di ubbidire al "richiamo della terra" dei McAllan e di trasferirsi col vecchio padre in una fattoria sul Delta del Mississippi, Laura lo segue fedele, portandosi dietro le due bambine nate un paio d'anni dopo il matrimonio. Sul Delta del fiume, però, la vita si rivela completamente diversa dall'idillio che Laura aveva immaginato.
«Una delle più grandi biografie del Novecento»: così il Times Literary Supplement ha definito questo libro. Un'opera che ha attratto nel tempo milioni di lettori e lettrici, tra le quali la regista Jane Campion che le ha dedicato uno dei suoi film più riusciti. Si potrebbero spiegare le ragioni di questa attrazione con la fascinazione che il tema Genio e follia - così nel 1922 Jaspers intitolò un suo celebre saggio - esercita da tempo immemorabile. La stessa Jane Campion, del resto, ha dichiarato di essersi accostata a Janet Frame e di aver concepito l'idea di un film sulla scrittrice famosa per aver trascorso otto anni in un ospedale psichiatrico e per aver subito più di duecento elettroshock, perché leggeva da bambina le sue opere ed era rimasta colpita dai passaggi poetici «che erano molto tristi ed evocavano il mondo della follia».
Quando, tuttavia, ha realizzato il suo film, la Campion si è limitata a raccontare la storia quotidiana di una donna dalla prima infanzia alla piena maturità, tenendosi ben lontana dal binomio genio-follia, arte-sregolatezza.
Di che cosa parla, infatti, Un angelo alla mia tavola?
Si potrebbe dire che parla di schizo-frenia, ma solo nel senso originario del termine su cui pure ha richiamato l'attenzione Jaspers: la mente scissa in due mondi, in questo caso il mondo della vita e quello dell'arte e dell'espressione.
Il mondo della vita è descritto in queste pagine nei suoi capitoli salienti: l'infanzia trascorsa a Dunedin, in Nuova Zelanda, nella povertà degli anni della Depressione; il trasferimento al sud, al seguito del padre ferroviere; i primi colpi che lasciano il segno: l'obesità infantile, la sgraziata adolescenza, la fatalità della morte con la prematura scomparsa della sorella Myrtle, l'orrore dell'ospedale psichiatrico; e poi la fuga, il tentativo di suicidio, il ritorno alla casa paterna.
Il mondo dell'arte e dell'espressione vive nella compagnia dei poeti - Shakespeare, Shelley, Keats, Dylan Thomas, T.S. Eliot, Auden - che come un teatro dell'immaginario subentra spesso alla triste scena del mondo reale e restituisce la felicità perduta.
Vive, infine, nella prosa stessa di Janet Frame, nella sua mobilità nervosa, nella imprevedibilità delle immagini e dello stile che ne fa una delle più grandi scrittrici del Novecento.
Con la presente edizione, che offre una traduzione aggiornata e rivista, l'opera appare per la prima volta nella Biblioteca Neri Pozza.
Amy e Bob Withers vivono in una baracca fatiscente nella piccola città neozelandese di Weimaru e, nella grave depressione economica degli anni Trenta, riescono a malapena a sfamare i loro quattro bambini. Francie, la maggiore, a dodici anni è costretta a lasciare la scuola con la prospettiva di un misero impiego nel locale lanificio. Teresa, detta Chicks, Pulcino, è la più piccola e trotterella sporca dietro i fratelli, in perenne ricerca di una caramella o di un gesto d’affetto. Toby, l’unico maschio, soffre di epilessia e attende spaventato quei momenti in cui Dio gli butta sulla testa «un mantello scuro», e lui lotta per liberarsi «agitando in aria le braccia e le gambe». Daphne, infine, la fragile e introversa Daphne, fa suo ogni pensiero, ogni palpito del cuore, ogni gioia e dolore dei suoi fratelli.
Il luogo preferito dai piccoli Withers è la discarica dei rifiuti, il posto dove si cercano i tesori, dove Toby e Daphne trovano libri di fiabe mangiucchiati dai vermi e dove Francie può liberamente raccontare i suoi sogni di adolescente che si farà strada nel mondo, andrà a ballare con i ragazzi e i loro cuori batteranno insieme.
Ma il futuro per chi nasce segnato non prevede alcuna realizzazione dei sogni. Passano gli anni e i fratelli Withers non trovano tesori sulle loro strade: Francie presto paga con una tragica fine il suo desiderio di evasione e trasgressione; Toby diventa un emarginato che si attacca ossessivamente a quel po’ di denaro che riesce a guadagnare e a un rapporto morboso con la madre; Chicks si allontana dalla famiglia per sposarsi e cercare disperatamente un’esistenza agiata, che si rivela però fragilissima. E Daphne, la debole e indifesa Daphne, vive rinchiusa in un ospedale psichiatrico dove è sottoposta a ripetuti e dolorosi elettroshock. Dalla sua «camera morta» accompagna con il suo canto, il suo grido, la sua poesia, le vite dei genitori e dei fratelli.
Opera prima di Janet Frame, che ne rivelò l’immenso talento lirico e narrativo, Gridano i gufi è un romanzo corale che parla di amore, abnegazione, dolore e speranza, gioie e lutti con una scrittura ricca di pathos e commozione tra le più alte della narrativa femminile di tutti i tempi.
È il 1570 e il buio sta calando sul Santa Caterina a Ferrara, uno dei conventi più rinomati della città che, con le elargizioni di ricche e nobili famiglie e i frutti del vasto podere ritagliato all'interno delle sue mura, provvede al sostentamento di un elevato numero di suore, otto o nove postulanti, alcune convittrici e venticinque converse.
Come ogni sera, la sorella guardiana fa il giro dei corridoi misurando lo scorrere del tempo fino a mattutino, due ore dopo la mezzanotte.
È una sera particolarmente agitata questa. I singhiozzi della novizia appena arrivata si odono per tutto il convento. È stata ribattezzata Serafina e avrà quindici o sedici anni. Appartiene a un'illustre famiglia milanese. Per dimostrare il proprio attaccamento alla città di Ferrara, con la quale intrattiene affari lucrosi, il padre ha deciso, come recita la sua nobile missiva, di donare all'insigne monastero la sua figlia «illibata, nutrita dall'amor di Dio e con una voce da usignolo». In realtà, ha ubbidito a un comportamento diventato legge nell'Europa della seconda metà del sedicesimo secolo, in cui le doti si sono fatte così dispendiose da costringere l'aristocrazia a maritare una sola figlia e a spedire le altre in convento. La giovane, avvenente Serafina fa parte appunto di quella metà delle nobildonne milanesi costrette a prendere i voti, non necessariamente di buon grado.
Mentre la novizia strepita nella sua cella, in un'altra stanza suor Benedicta sta componendo il graduale per l'Epifania. Le melodie nella sua testa sono così prepotenti che non può evitare di cantarle ad alta voce. Nessuno, però, la sgriderà all'indomani, poiché le sue composizioni fanno onore al convento e attirano i benefattori.
In una cella non lontana suor Perseveranza è asservita, invece, alla musica della sofferenza. Sta stringendo con forza una cintura irta di chiodi che si spingono a fondo nella carne. Le sue grida, in cui la sofferenza si mescola col godimento, si confondono con i singhiozzi di Serafina.
Nella stanza sopra l'infermeria, infine, suor Zuana, la monaca speziale, prega a modo suo, scrutando le pagine del grande libro delle erbe di Brunfels. Figlia unica di un cultore dell'arte medica, è lei che accoglie le fanciulle che entrano in convento. È lei che si recherà tra breve nella cella di Serafina per somministrarle uno dei suoi miracolosi intrugli e calmarla. Tra le due giovani donne si stabilirà un rapporto speciale che non impedirà, tuttavia, che lo scompiglio, generato dall'arrivo di Serafina, si diffonda per tutto il convento come un fuoco che minaccia di inghiottirlo.
«Le gioie e i dolori, la frustrazione e la rabbia, la ribellione e la fede di un piccolo gruppo di suore del XVI secolo... in un romanzo notevole».
The Washington Post
«Sarah Dunant mescola magistralmente fatti storici e invenzione letteraria fornendo un ritratto unico dell'Italia del XVI secolo».
Daily Telegraph
Margaret Taub accompagna i turisti americani in giro per la Berlino odierna, nel macabro tour prediletto da ogni agenzia turistica che si rispetti: una sosta all'ex ministero dell'Educazione del Popolo e della Propaganda nazista, un'altra al ministero dell'Aeronautica di Hermann Göring, una rapida passeggiata presso le sedi delle SS e della Gestapo, e così via. Studentessa americana alla Freie Universität, e guida turistica a tempo perso, Margaret dispensa con professionalità le sue informazioni: quest'edificio non è di Speer, l'architetto preferito di Hitler, ma di Reichle; quest'opera è un perfetto esempio di Monumentalismo ecc. Un giorno, però, al cospetto dell'ex ministero dell'Educazione del Popolo e della Propaganda nazista, le accade qualcosa di inaspettato e spaventoso. A una delle finestre del secondo piano del ministero, Margaret vede una donna, i capelli lisci biondi, gli occhi neri piccoli e imperturbabili, il corpo fatto di piume sporche. La donna-falco, dalle fattezze incredibilmente simili a quelle di Magda Goebbels, la moglie del ministro per la Propaganda hitleriana che avvelenò i figli poco prima della disfatta del regime, si sporge alla finestra e le fa un sorriso familiare. Sembrerebbe un'allucinazione momentanea, frutto di un lavoro alquanto stressante, se i sogni di Margaret non fossero da quel momento in poi popolati dal tragico volto di un'altra donna legata al passato nazista della città: Regina Strauss, una madre ebrea che si uccise con le sue figlie...
È un giorno d'ottobre del 1956 quando Giovanni e la sua famiglia lasciano il piccolo paese di Buonalbergo e partono per il Nord. Lungo il viaggio in treno, Giovanni sogna quella città sconosciuta e magica, che può dargli da mangiare come ai ricchi: un paese pieno di luci, palazzi fantastici, giostre sul mare e donne bellissime che accolgono sua madre dicendole "benvenuta". A Genova, però, alla stazione Principe, non c'è nessuno a aspettarli. Una macchina li conduce a destinazione, a vico Vele, una strada stretta in mezzo a altre così anguste che il sole si ferma sui tetti e non scende mai. La casa è una stanza in affitto, un tavolo, un letto grande per tutti, un lavandino e un bidet smaltato, pareti scrostate. La notte, dal corridoio, risate, rumore di tacchi a spillo e voci grosse di marinai. Giovanni dorme con Totò, il fratello minore, con la testa ai piedi del letto, lasciando il posto migliore in alto alla mamma e alla sorellina Olimpia. La sera suo padre li bacia tutti e poi esce per andare a fare il guardiano notturno. Un giorno prende il clarino, l'unico tesoro portato da Buonalbergo. Quando rientra, al posto dello strumento, sotto il braccio c'è un fagotto contenente un chilo di carne. Giovanni non chiude occhio quella notte. Il clarino venduto per un pezzo di carne? In una Genova stupenda e dura, Giovanni cresce e scopre presto di essere una strana cosa lì al Nord: un "terrone", un essere invisibile che si può compiangere e offendere senza tanti scrupoli.
È il 1811 a Lyme, un piccolo villaggio del Sussex, sulla costa meridionale inglese. Le stagioni si susseguono senza scosse in paese e il decoro britannico si sposa perfettamente con la tranquilla vita di una provincia all'inizio del diciannovesimo secolo.
Un giorno, però, sbarcano nel villaggio le sorelle Philpot e la quiete è subito un pallido ricordo. Vengono da Londra, sono eleganti, vestite alla moda, sono bizzarre creature per gli abitanti di quella costa spazzata dal vento.
Margaret, diciotto anni, riccioli neri e braccia ben tornite, sorprende costantemente tutti coi suoi turbanti verdolini sconosciuti alle ragazze di Lyme, che se ne vanno in giro ancora con grevi vestiti stile impero.
Louise, meravigliosi occhi grigi e grandi mani, coltiva una passione per la botanica che è incomprensibile in quel piccolo mondo dove alle donne è dato solo di maritarsi e accudire i figli.
Ma è soprattutto Elizabeth, la più grande delle Philpot, a costituire un'eccentrica figura in quel paesino sperduto sulla costa. Ha venticinque anni. Dovrebbe comportarsi come una sfortunata zitella per l'età che ha e l'aspetto severo che si ritrova, ma se ne va in giro come una persona orgogliosamente libera e istruita che non si cura affatto di civettare con gli uomini.
In paese ha stretto amicizia con Mary Anning, la figlia dell'ebanista. Quand'era poco più che una poppante, Mary è stata colpita da un fulmine. La donna che la teneva fra le braccia e le due ragazze accanto a lei morirono, ma lei la scampò. Prima dell'incidente era una bimba quieta e malaticcia. Ora è una ragazzina vivace e sveglia che passa il suo tempo sulla spiaggia di Lyme, dove dice di aver scoperto strane creature dalle ossa gigantesche, coccodrilli enormi vissuti migliaia di anni fa.
Il reverendo Jones, un uomo con il volto squadrato, i capelli a spazzola e le labbra sottili che non stanno mai ferme, dice che le cose non possono stare in questo modo, perché sarebbe contrario alla Bibbia. Dio non può aver creato delle bestie così grandi per poi sbarazzarsene.
Elizabeth Philpot però non solo presta fede alla ragazzina, ma la protegge anche dai cacciatori di fossili e dagli avventurieri che accorrono a frotte a Lyme. Tra questi anche l'affascinante colonnello Birch, un militare dritto e sicuro di sé dai bei capelli folti e neri, che infrange il cuore di Mary e suscita una morbosa, irresistibile attrazione nella maggiore delle Philpot.
Basata sulla storia vera di Mary Anning, la ragazzina che a Lyme Bay portò alla luce il cranio del primo ittiosauro e rese così possibile quella svolta negli studi sull'evoluzione che trovò il suo coronamento nel 1859, con la pubblicazione dell'Origine delle specie di Darwin, Strane creature è una delle opere più riuscite di Tracy Chevalier: un'avvincente storia di donne che lottano contro le ottuse convenzioni di un'epoca per aprire la strada al progresso e alla conoscenza.

