
Beit Safafa è il quartiere più ricco di Gerusalemme est. Prediletto dagli arabi israeliani provenienti dal nord, il quartiere ha prezzi di case, carne e altri generi di prima necessità così alti che nelle panetterie vi sono due tariffari, uno per i locali e un altro per gli immigrati. A Beit Safafa vive l'avvocato protagonista di queste pagine, un giovane procuratore con una promettente carriera da principe del foro gerosolimitano davanti a sé. Vive in una villetta, due piani con salotto spazioso, cucina ultramoderna e due ampie stanze da letto. E ogni giorno raggiunge il centro a bordo della sua elegante Mercedes nera. Insomma, l'avvocato è, come si usa dire, un uomo che ne ha fatta di strada, un bravo ragazzo che ha di certo realizzato il sogno di sua madre, comune a tutte le madri arabe in Israele: avere un figlio medico o avvocato di successo. Tuttavia, ha anche un cruccio che l'affligge non poco. Si vergogna delle sue lacune in fatto di musica, letteratura, teatro e cinema. Lacune rilevanti, visto che suoi colleghi israeliani parlano disinvoltamente di tali argomenti. Perciò, di tanto in tanto fa una capatina in una vecchia libreria a dare una sbirciata ai titoli di narrativa raccomandati da Ha'aretz, il giornale cui è opportunamente abbonato. Un giorno, nel settore dei libri usati della libreria, scopre, e decide di comprare all'istante, una copia gualcita di "Sonata a Kreutzer", celebre racconto di Tolstoj, che sua moglie gli ha una volta stranamente menzionato...
È notte e la ragazza corre nella campagna buia più veloce che può, senza voltarsi indietro. È finalmente riuscita a scappare dalla gabbia in cui la vecchia la teneva prigioniera. Il vento gelido le taglia la faccia e la terra brulla i piedi, ma quasi non se ne accorge, perché il dolore delle doglie la rende insensibile a tutto il resto. La ragazza si accascia, urla e partorisce, ma a quell'urlo di dolore ancestrale non segue alcun pianto che annunci la vita. Lascia il bambino morto sotto un albero e prosegue fino a un fienile dove spera di potersi nascondere e riposare. La ragazza non lo sa ma la terra su cui sta cercando rifugio è conosciuta da tutti come "la terra del Sacerdote". Agapito è un uomo burbero e solitario, arido e secco come la sua terra. Tanti anni prima aveva provato a fuggire la povertà della sua terra, il Molise, emigrando in Germania; lì era divenuto sacerdote ma ormai di quel saio e della promessa fatta prendendo i voti è rimasto solo un soprannome. Dalla Germania è tornato con un segreto troppo grande e ha barattato il suo silenzio con la terra su cui vive. Quando Agapito scopre la ragazza nascosta nel fienile si trova di colpo al centro di un affare molto più grande di lui; la ragazza è un'immigrata clandestina, portata con l'inganno dall'Est dell' Europa e costretta a ripagare il passaggio in Italia in modo disumano: rinchiusa come un animale in gabbia e utilizzata per partorire figli da destinare all'adozione o al traffico d'organi.
Novantatré ospiti, perché uno entri, un altro deve partire, la cena si serve ogni sera alle sei, nella sala grande, ecco la televisione, i divani, il giardino, gli infermieri che parlano con frasi semplici, sempre, i medici che sorridono, sempre, perché gli anziani, si sa, hanno l'età mentale dei bambini e se non si trattano con cura, se non si dà loro un biscotto o una carezza, fanno le bizze e piangono. Non c'è molto da capire nella casa di riposo "Feliz Idade", ma ad Antonio non interessa affatto capire. Sua moglie Laura, con cui ha trascorso ogni giorno degli ultimi cinquant'anni, è appena morta e i suoi figli lo hanno lasciato in un ospizio con due valigie e un album di fotografie: si sente cosi pieno di rabbia, di frustrazione, di risentimento che, se potesse, urlerebbe fino a far crollare i muri. Invece preferisce non dire niente. Anzi, lui non dirà proprio niente, mai più. Se ne starà semplicemente in silenzio, fino alla fine dei suoi giorni. È appena arrivato a questa conclusione quando il signor Pereira, un veterano dell'ospizio, gli si avvicina e gli confida di essere rimasto zitto per tre mesi, al proprio arrivo. Antonio non è ancora al sesto giorno... Intuito quanto sia ridicolo voler vivere segregato da tutti, come un condannato a morte, non gli rimane che una soluzione: abituarsi alla nuova vita che lo aspetta nella "Feliz Idade"...
È il 1850 quando Honor e Grace Bright si imbarcano sull'Adventurer, un grande veliero in partenza dal porto inglese di Bristol per l'America. L'aria smarrita di chi non è avvezza ai viaggi, il bel volto offuscato dal mal di mare, Honor Bright sa che non rivedrà mai più Bridport, il paese in cui è nata, nell'istante in cui la nave si allontana dalle verdi colline del Dorset. Troppo grande è il mare e troppo lontano è Faithwell, il villaggio dell'Ohio in cui Adam Cox, un uomo anziano e piuttosto noioso, attende sua sorella per prenderla in sposa. L'irrequieta Grace ha allacciato una corrispondenza epistolare con lui, culminata poi con la proposta di matrimonio, con l'intento di lasciarsi alle spalle l'angusta vita della piccola comunità di quaccheri in cui è cresciuta e abbracciare così nuove avventure. Honor Bright non condivide lo spirito temerario di Grace, ma Samuel, il suo promesso sposo, ha rotto il fidanzamento e la prospettiva di vivere in mezzo all'altrui compassione l'ha spinta a seguire la sorella al di là del mare. Una volta giunte in Ohio, tuttavia, a un passo da Faithwell, Grace si ammala di febbre gialla e, tra le misere mura di un albergo, muore. Honor Bright si ritrova così sola in una nazione enorme ed estranea, divisa da un immenso oceano dall'amato Dorset. Non le resta perciò che Adam Cox come unica ancora di salvezza. A Faithwell, tuttavia, viene accolta con freddezza dall'uomo e dalla cognata vedova.
"Un unico sbaglio può appiccare il fuoco a una foresta nel cuore, oscurando ogni luce...": così comincia quest'opera. "Shantaram" ha come protagonista Lin, il "filosofo che ha smarrito l'integrità nel crimine", il fuggiasco divenuto a Bombay un "uomo della pace di Dio" in grado di allestire ospedali per mendicanti e di stringere relazioni pericolose con la mafia indiana. Ne "L'ombra della montagna" perduto nella giungla urbana di amore, morte e resurrezione dell'immensa metropoli indiana, Lin è alle prese con la Grande Ombra che si abbatte, improvvisa, sulla sua esistenza, su quella delle sue donne, Lisa e Karla, e dei suoi amici più cari. Dopo la morte di Khaderbhai, il gangster-saggio che lo ha eletto a suo allievo, Lin si ritrova, in compagnia di Abdullah e di altri membri della vecchia organizzazione, nella Sanjay Company, la società criminale diretta dall'ambizioso Sanjay Kumar. In una delle scorribande in compagnia di Vikram, si imbatte in Concannon, uno straniero come lui, un irlandese dell'Ulster con uno scintillio spavaldo, quasi un presagio minaccioso negli occhi. Quell'incontro è l'errore destinato a oscurare ogni luce. Concannon non conosce, infatti, compassione. Per essere sincero con sé, per non fingere ciò che non è e non può, deve essere insensibile a tutto e a tutti, e seguire il suo destino, la sua "follia marziale" che lo spingerà a scatenare una guerra sanguinosa tra la Sanjay Company e la banda degli Scorpions...
Amina Eapen è una fotografa di matrimoni, e vive a Seattle in un tipico appartamento da middle class. Sua madre, Kamala, vive nel New Mexico in una casa circondata da pioppi e da una mesa contro cui la sera echeggia lo stridio dei grilli. Sua madre detesta Seattle, una città perennemente "senza sole" dove, come ha letto su un numero di Rolling Stone che Amina le ha inavvertitamente lasciato, le rock star non trovano di meglio che spararsi. Una sera di pioggia la ragazza riceve una telefonata di Kamala. All'orecchio le giungono i rumori della notte del New Mexico, l'applauso soffocato del vento che soffia tra i pioppi, il ticchettio del lucchetto del cancello dell'orto. Le giungono anche notizie che non avrebbe mai voluto sentire: Thomas, suo padre, un medico stimato, di notte se ne sta seduto sotto il portico di casa in preda a febbre e a un furore di parole. E Kamala, infrangendo la legge non scritta di non valicare mai il confine della zona di casa riservata a Thomas, si è spinta nella luce gialla del portico giusto per udire il marito parlare con Ammachy, la nonna morta da quasi vent'anni in India. È chiaro che Amina dovrà precipitarsi laggiù, nella casa del New Mexico, dove albergano ancora i ricordi della sua infanzia e degli anni trascorsi dagli Eapen in India. La la storia di una famiglia indiana emigrata in America e di una ragazza che, scoprendosi donna senza aver realizzato nessuno dei suoi sogni, si avventura alla ricerca delle proprie radici.
È il 1942 a Lisbona. Un uomo osserva attentamente una nave ancorata nel Tago, poco distante dalla banchina. Al vivo bagliore delle lampadine scoperte, sull'imbarcazione si sbrigano le operazioni di carico. Si stivano carichi di carne, pesce, conserve, pane e legumi. Come tutti i piroscafi che, in quei tumultuosi giorni del 1942, lasciano l'Europa per l'America, la nave sembra un'arca ai tempi del diluvio. Un'arca incaricata di porre in salvo una gran folla di disperati, di profughi inseguiti dalle acque fetide del nazismo che hanno inondato da un pezzo Germania e Austria, e già sommerso Amsterdam, Bruxelles, Copenaghen, Oslo e Parigi. Anche l'uomo che la contempla è un profugo, senza alcuna speranza, però, di raggiungere New York, la terra promessa. Da mesi i posti sulla nave sono esauriti e, oltre al permesso di entrata in America, all'uomo mancano anche i trecento dollari del viaggio. Sarebbe certamente destinato a perdersi e dissanguarsi nel groviglio dei rifiutati visti d'entrata e d'uscita, degli irraggiungibili permessi di lavoro e di soggiorno, dei campi d'internamento, della burocrazia e della solitudine, se la sorte non venisse in suo aiuto. Un uomo, che non ha l'aria di un poliziotto, lo approccia e in tedesco gli dice di avere due biglietti per la nave ancorata nel Tago. Due biglietti che non gli servono più e che è disposto a cedere gratis a una sola condizione: che il futuro possessore non lo lasci solo quella notte e sia disposto ad ascoltare la sua storia...
È il 15 aprile 1912 quando il Titanic affonda e più di 1500 persone perdono la vita. La notizia della tragedia fa il giro del mondo. Quando arriva tra le verdi campagne dello Yorkshire, in Inghilterra, nella tenuta di Downton Abbey, il conte e la contessa di Grantham appaiono più sconvolti e turbati di chiunque altro. Lo stesso destino che non ha concesso loro un figlio maschio, ma soltanto tre femmine, Mary, Edith e Sybil, gli ha appena strappato anche il legittimo erede della loro proprietà, Patrick Crawley, morto a bordo del transatlantico. Ora il nuovo beneficiario è Matthew, cugino di terzo grado della famiglia, un uomo "inopportuno", "scandaloso", che, in spregio a ogni nobile tradizione e costume, lavora per vivere.
Un'oscura credenza vuole che due fratelli gemelli non possano vivere insieme senza danneggiarsi a vicenda, e che spesso solo la morte di uno dei due possa garantire all'altro di crescere bene. Così, quando nella famiglia Barbeau nascono i gemelli Landry e Sylvinet, la levatrice non esita a mettere in guardia i genitori: occorrerà impedire che i due fratelli passino troppo tempo insieme, per far sì che non si affezionino troppo l'uno all'altro. Ma il consiglio viene accantonato e i gemelli diventano inseparabili e pressoché identici. Anni dopo il padre decide che Landry, il più forte e maturo dei due, dovrà andare servizio presso la tenuta dei Caillaud. Landry si rassegna all'idea di dover partire da casa. Sylvinet, il più fragile, non riesce tuttavia ad accettare che le loro vite debbano prendere strade diverse. Il suo affetto per Landry è così morboso che, quando il fratello si invaghisce della piccola Fadette, una ragazzina del borgo della Cosse, Sylvinet è divorato dalla gelosia. La Fadette è una piccola vagabonda che gli abitanti del borgo giudicano con un po' di disprezzo e un po' di timore, soprattutto per via di quelle voci che corrono sul conto della nonna, una guaritrice le cui pratiche sono viste come un incrocio di sapere e stregoneria. La ragazza, invece, ha un carattere mite e generoso: non avendo nulla, si accontenta di poco per essere felice e rispetta tutte le creature, soprattutto quelle che considera brutte come lei. Introduzione di Daria Galateria.
Questo libro racconta la vita di Marguerite Duras, dall'infanzia, quando è per tutti Nené, agli anni centrali in cui gli amici più intimi, come Jeanne Moreau, Godard, Depardieu, Lacan, la chiamano Margot, fino al delirio megalomane e alcolico della vecchiaia in cui la scrittrice parla di sé in terza persona autocitandosi con il solo cognome: Duras. È la storia di una vita irripetibile che si è intrecciata al colonialismo, alla Resistenza, al Partito comunista francese - con l'adesione prima, la ribellione e l'espulsione poi - al '68, al femminismo, all'Ecole du Regard, alla Nouvelle Vague. La storia di una donna dai moltissimi aggrovigliati amori e di una scrittrice e cineasta che, dopo la vittoria al Goncourt e il successo del romanzo ispirato al suo primo amore - L'amante - ha conquistato, suo malgrado, una sterminata folla di lettori. La storia, infine, dei trionfi e delle sconfitte di questa donna, del suo corpo a corpo con la letteratura, della sua autenticità e delle sue mistificazioni, del doloroso attraversamento dell'alcolismo, dei deliri dovuti alla disintossicazione, della sua capacità d'innamorarsi e di giocare coi sentimenti e con le parole fino all'ultimo soffio di vita. Per scoprire, infine, che nessun riconoscimento, nessuna turbinosa passione potevano guarirla dal male di vivere, dalle lontane ferite infantili e dalla lucidità con cui, in vecchiaia, avrebbe compreso che "nessun amore vale l'amore" o che "scrivere non insegna altro che a scrivere".
È il 1845 quando Frances Osgood si imbatte per la prima volta in Edgar Allan Poe. Lei è una poetessa - come scriverà in seguito Poe -"esile fino alla fragilità", l'incarnato pallido, i capelli nerissimi e lucenti. Lui - dirà Frances in una lettera del 1850 - "un incrocio inimitabile di soavità e alterigia". Frances vive a casa dei coniugi Bartlett, librai e editori noti nella New York di metà Ottocento. I due l'hanno generosamente accolta dopo che suo marito, Samuel Osgood, un pittore di "una bellezza rude e segaligna" capace di portarsi a letto le signore con lo stesso entusiasmo con cui le dipinge, l'ha abbandonata in una stanza dell'Astor House, uno degli alberghi più lussuosi della metropoli americana, per lanciarsi alla ricerca di nuove conquiste e avventure. L'incontro con Poe avviene a casa di Anne Charlotte Lynch, animatrice del più celebre salotto letterario del tempo, durante un ricevimento in cui non manca nessuna delle personalità di rilievo della New York della metà del XIX secolo Poe fa il suo ingresso nel salotto di casa Lynch con l'aria marziale di un soldato. Vestito in modo impeccabile, la fronte eretta, lo sguardo da cui emana un'intelligenza gelida, il poeta, al culmine del successo dopo aver pubblicato "Il corvo", è accompagnato da Virginia, la cugina presa in sposa quando era poco più di una bambina.
Laurinda è una domestica a ore. Chiama "padroni" i suoi datori di lavoro, ma nel suo tono di voce non c'è un briciolo di provocazione. Per lei il mondo va così e non ce n'è da lamentarsene. Si dice contenta di essere vedova, è conservatrice, bacchettona, pettegola, sboccata, superstiziosa e parla con i fantasmi. Eppure, quando varca la soglia di casa dei suoi quattro padroni e inizia a parlare con quel suo modo schietto e sincero tutti pendono dalle sue labbra. Come Celeste, una donna divorziata che passa da un flirt all'altro, l'ultimo dei quali con un bamboccio apatico interessato solo ai suoi soldi. O Vanda, sposa e madre esemplare che si annoia a morte e passa il tempo a cucinare, senza rendersi conto che nessuno mangia quello che lei si ostina a preparare. Oppure Ursula, una ceramista svizzera nella cui casa affollata da quadri si muovono anime e fantasmi che solo la domestica può vedere. E infine Emanuel, "il professore": uomo colto e scapolo. L'unico che Laurinda vizia e coccola nella speranza che ammetta la sua omosessualità e dia una raddrizzata alla propria vita. "Con rispetto parlando" è una commedia umana in cui la protagonista accompagna i propri "padroni" tra fidanzamenti, divorzi, scandali e viaggi improvvisi, confermando quanto sia vero uno dei ritornelli da lei più ripetuti: "gli uomini, in fondo, sono tutti uguali".