
È l'estate del 1976, un'interminabile calda estate inglese. Ruth Gilmartin è giunta in macchina nel minuscolo villaggio di Middle Ashton dove vive sua madre. Il paese ha l'aspetto di sempre: una Shangri-La all'incontrario nel cuore perduto dell'Inghilterra dove, come per un misterioso sortilegio, tutto sembra diventare a ogni istante più vecchio, ammuffito, decrepito. La grande casa del XVII secolo al centro del villaggio traballa sui suoi legni divorati dai tarli; la chiesa è sempre più buia e umida, soffocata dagli alberi che sprofondano il villaggio in un crepuscolo perenne; la villetta di Sally, la madre di Ruth, è immersa come sempre in un verde selvaggio e incolto. Tutto sarebbe tediosamente uguale alle innumerevoli volte in cui Ruth è accorsa a Middle Ashton col piccolo Jochen al seguito, se sua madre non avesse un comportamento a dir poco bizzarro. È comparsa sulla soglia della casa seduta su una sedia a rotelle, con le braccia allargate come per accogliere in grembo figlia e nipote. Una volta in casa poi, è balzata giù dalla sedia, si è chinata per dare un bacio a Jochen e ha raggiunto la finestra schermandosi gli occhi per sbirciare fuori, verso il bosco di querce, faggi e noci. Ruth ha avuto la netta sensazione che stesse accadendo qualcosa di strano. Una sensazione che è diventata angosciosa certezza quando Sally ha afferrato un raccoglitore di cuoio e le ha detto porgendoglielo: "Vorrei che lo leggessi". Sul contenitore c'era scritto: "Storia di Eva Delektorskaja".
Questa è la storia di Jacques Rainier, cinquantanove anni, industriale, habitué dei salotti mondani internazionali, un uomo di successo che si accompagna senza alcuna remora a una giovanissima bellezza brasiliana. Un giorno Jacques si imbatte al Gritti a Venezia in Jim Dooley, un affascinante e ricco uomo d'affari della sua età, un texano da lui sempre ammirato e incontrato per la prima volta a Saint Moritz, ai campionati di bob, dove Dooley aveva vinto naturalmente. Quando, a Saint Moritz, aveva visto la figura alta dell'aitante texano in pullover rosso che si toglieva il casco all'arrivo della corsa e si voltava poi verso gli spettatori con un riso che pareva dar per scontato il possesso del mondo, Jacques non era riuscito a vincere una sensazione di inferiorità. Che delusione, perciò, rivederlo ora con i capelli grigi e i riccioli ormai incongrui su un volto pesantemente manomesso dal tempo. Lo sguardo azzurro diventato ormai vitreo. E quei discorsi, quelle confidenze, sugli acciacchi della vecchiaia. Dopo l'incontro con Jim Dooley la paura del declino fisico e sessuale si insinua in Jacques, lo pervade, lo distrugge, non lo abbandona più tra visite per il controllo della prostata e inattesi fallimenti con la giovane e ricca fidanzata brasiliana.
C'era ancora la guerra il giorno in cui Mary prese la nave per l'Inghilterra. Sulla nave si sistemò in un cantuccio, i due fratelli uno di fronte all'altro, lei con la testa poggiata sulla spalla del padre, la guancia sul cappotto che sapeva di terra e fumo di torba dell'Irlanda. A Liverpool, il padre e i fratelli la misero sul treno per Londra e se ne andarono. Mary arrivò a Hampstead, nella casa dove doveva prendere servizio. Raggiunse la sua stanza all'ultimo piano, ordinò i vestiti in un baule sotto il letto e cominciò la sua nuova vita. Puliva i camini, scrostava pentole e tegami, scarpe e gradini, lavava, stendeva e stirava il bucato, accendeva il fuoco in tutte le stanze. Era giovane e bella, e la governante la spediva spesso nella stanza del padrone di casa. Qualche mese dopo, Mary cominciò a indossare vestiti più larghi, a mangiare poco e a smettere di andare al cinematografo. E un giorno, dopo aver lasciato sul letto un biglietto che non diceva niente e un mese di stipendio, prese l'autobus per l'ospedale, dove partorì un bambino che, appena nato, le fu portato via. È passato molto tempo da allora e Mary non si è più mossa dall'Irlanda, ha avuto quattro figli, li ha visti crescere e diventare adulti, li ha visti prendere moglie e marito e mettere su casa, ma non ha mai smesso un solo istante di sperare che il figlio perduto attraversasse un giorno il mare per venire da lei. Quello che Mary non sa è che quel giorno è finalmente arrivato...
Una grande agenzia di pubblicità sulle rive dell'immenso lago di fronte a Chicago, nel cuore dei grattacieli più antichi d'America. Qui, tra open space e cubicoli, tra computer e stampanti, si svolge la commedia umana di un gruppo di giovani spregiudicati e sognatori, cinici e brillanti, che ogni mattina, fatalmente, si incontra nello stesso luogo: in ufficio. Carl, Karen, Benny, Amber, Jim sanno tutto di tutti. Sanno che Tom è pazzo, e che Lynn, il boss, ha un tumore al seno. Sanno che il vecchio Brizz se la passa male ed è finito nella classifica di Quale vip muore prima, anche se non e una celebrità. Sanno chi ha nascosto il sushi dietro la libreria di Joe. Sanno con chi se la prende Marcia quando ha inviato una mail a Genevieve in cui c'è scritto: "È davvero irritante lavorare con persone irritanti". Conoscono ogni pettegolezzo, ogni storia d'amore, ogni invidia e segreta generosità. Sanno chi è nelle grazie del capo e chi verrà fatto fuori. Sanno tutto di tutti perché quell'ufficio è ormai la loro vita. E in quelle stanze, tra corridoi e scrivanie, scopriamo un mondo, l'universo intero della nostra gioia e del nostro scontento, l'affetto e la competizione, lo struggimento e il disprezzo, il desiderio e la privazione, in fondo la vita stessa, perché nessuno ci conosce davvero quanto le donne e gli uomini che ogni giorno ci siedono accanto.
Nella sala di lettura della biblioteca di Chicago un giovane non ha ancora gettato lo sguardo ai documenti sui quali dovrebbe lavorare. I suoi occhi sono attratti da una ragazza seduta davanti a lui. Tra un po' la ragazza si alzerà e lui la seguirà fino al bar della biblioteca, dove scambierà con lei le prime parole. Le dirà che è svizzero e che sta scrivendo un libro sui treni di lusso americani. Saprà che lei si chiama Agnes, è americana, studia fisica e suona il violoncello. Si rivedranno spesso, si innamoreranno... Un giorno però, Agnes gli chiederà "Perché non scrivi una storia su di me?". Lui lo farà e 9 mesi dopo sarà costretto ad annotare: "Agnes è morta. L'ha uccisa un racconto. Di lei non è rimasto nulla se non questo racconto".
Quando negli anni Venti conobbe Carl, Elisabeth Rother era veramente un fiore... un fiore germanico: folti capelli castani, naso fine, occhioni azzurri e labbra perfettamente scarnite. Bastava guardarla per capire che la sua famiglia doveva aver avuto ascendenze nobiliari. Carl, invece, aveva gli occhi ancora più grandi ma neri, un naso adunco, le ossa spesse. Suo padre era proprietario di un negozio di ferramenta in una cittadina dell'Alta Slesia. Nella sua famiglia gli uomini portavano lo zucchetto e le donne la parrucca, poiché erano ebrei da innumerevoli generazioni. Quando Carl ed Elisabeth si sposarono, Carl indossava l'uniforme, con tanto di medaglie e spadino alla cintola. Sembrava il classico gentiluomo tedesco dalle credenziali morali ineccepibili. E, del resto, era un medico rispettabile, un chirurgo di prim'ordine. Per la famiglia di Elisabeth, però, quel matrimonio non era soltanto un errore, era il primo passo verso il baratro. Ma Elisabeth amava il suo sposo ebreo, l'amava così tanto che quando nel '37 divennero tragicamente evidenti gli effetti della legge nazista "per la protezione del sangue e dell'onore tedesco", scappò col suo amato marito in America, nel New Jersey, una terra nuova ma barbara, una terra che non conosceva nobiltà, mentre i suoi fratelli diventavano gerarchi del regime.
È il 1859 a Londra e davanti alla legatoria Damage si è appena fermata una carrozza con le ruote di un rosso fiammante, i fanali dorati e uno stemma sulla portiera. Dalla carrozza scende Sir Jocelyn Knightloey che, con la sua cerchia di amici coltiva il sogno di liberare la società dalle "pastoie del ritegno" e della morale. Da quando la legge ha stabilito che è illegale pubblicare e diffondere opere letterarie di genere immorale ma non possederle, Sir Knightloey e i suoi amici collezionano quei libri proibiti che i puritani dell'epoca vorrebbero bruciare tra le fiamme dell'inferno: il Decamerone, il Satyricon di Petronio, l'Ars Amatoria di Ovidio. A rilegare quei libri con preziose pelli e fodere scarlatte è Dora Damage, la moglie di Peter Damage. L'artrite reumatica sta deformando le mani del marito e, in barba a tutte le leggi della corporazione dei legatori che vietano il lavoro alle donne, Dora ha preso il suo posto. Le sue originali rilegature suscitano l'entusiasmo di sir Knightloey e dei suoi amici. Dora comincia così a rilegare tutte le opere proibite e galanti del gruppo con l'aiuto di Jack, un giovane apprendista, e di Din, uno schiavo nero americano condotto nel laboratorio dalla filantropica e ambigua Lady Sylvia, la moglie di Sir Knightloey. Ma non finisce forse puntualmente nei guai chi entra in una "società del vizio"? Un'eroina moderna che non esita a infrangere le regole e i tabù della Londra del XIX secolo, in cui gli ideali più nobili si accompagnano alle miserie più sordide.
"Ginger Man" è la storia di un mostro senza tempo, un diavolo in carne e ossa, un angelo perfido e carismatico. Sebastian Dangerfield è un bel giovanotto e un insaziabile disgraziato, il maschio che ogni donna non può che odiare, con ogni vizio e pochissime virtù: seduttore, erotomane, ladro, imbroglione, violento, bevitore, ingordo - il tipo che abbandona la moglie con la bambina, ruba i soldi dalla borsetta e va a farsi il giro dei pub, invidiato da qualunque altro uomo perché riesce a farla franca, e a salvare la faccia. Sebastian è americano, ha ventisette anni, è andato a vivere a Dublino al termine della guerra e studia giurisprudenza al Trinity College; è padre e marito, adora blaterare di decoro e di successo, di famiglia e buone maniere, ma passa il tempo a sognare i soldi facili, a inseguire belle gambe e gonnelle, tra bevute, battute, accessi di rabbia, truffe e sconcezze, È un eroe comico e maledetto al tempo stesso, invaso dallo spirito irrefrenabile di una libertà dissennata, maligna, tragica. Ed è un anti-eroe di quel mondo che si andava formando dopo il conflitto, smanioso di dimenticare gli orrori, la fatica, il grande rumore della catastrofe, e insieme un simbolo dei nostri tempi, in fuga costante dalla realtà e dalla responsabilità, eterno egoista, eterno bambino, sperduto e sgomento di fronte al peso e al dolore insopportabile di una vita normale
È il 31 gennaio del 1953 ad Amsterdam e Armanda chiede alla sorella Lidy il favore di compiere per lei un'incombenza: far visita a uno dei suoi figliocci nella provincia olandese dello Zeeland. È una mattina di pieno inverno, con una pioggia assillante e fastidiosa. Lidy, però, parte di buona voglia, poiché sa che sua sorella non mancherà di prendersi cura della sua bambina e di accudire suo marito per le 24 ore in cui sarà assente. Quello che Lidy ignora è che quelle sono 24 ore fatidiche: le ore in cui la costa olandese conoscerà la più terribile mareggiata che la storia ricordi. Un'inondazione che spazzerà completamente via l'intera regione dello Zeeland e, con essa, anche la giovane esistenza di Lidy. Armanda, il cui legame con Lidy non si romperà mai, continuerà la sua vita con lo stesso ritmo di sempre. Incalzata dal fato, che lei stessa ha sollecitato, sposerà il marito di Lidy, ne crescerà la bambina e sperimenterà gli alti e i bassi dell'esistenza riservata all'eroica sorella.
Il 1993 è appena iniziato in Sierra Leone e a Mogbwemo, il piccolo villaggio in cui vive il dodicenne Ishmael, la guerra tra i ribelli e l'esercito regolare, che insanguina la zona del paese più ricca di miniere di diamante, sembra appartenere a una nazione lontana e sconosciuta. Di tanto in tanto nel villaggio giungono dei profughi che narrano di parenti uccisi e case bruciate. Ma per Ishmael, suo fratello Junior e gli amici Talloi e Mohamed, quei profughi esagerano sicuramente. L'immaginazione dei ragazzi è catturata da una cosa sola: la musica rap. Affascinati dalla "parlata veloce" di un gruppo americano visto in televisione, i ragazzi hanno fondato una band e se ne vanno in giro a esibirsi nei villaggi vicini. Un giorno, però, in cui sono in uno di questi villaggi, li raggiunge la terribile notizia: i ribelli hanno attaccato e distrutto Mogbwemo. Ishmael non vedrà più casa sua e i suoi genitori. Perderà Junior. Fuggirà nella foresta, dormirà di notte sugli alberi, sarà catturato dall'esercito governativo, imbottito di droga, educato all'orrore, all'omicidio, alla devastazione. Il suo migliore amico non sarà piú il tredicenne Talloi ma l'AK-47 e la sua musica non più l'hip-hop ma quella del suo fucile automatico. Una testimonianza indimenticabile dal cuore dell'Africa, dove milioni di bambini muoiono di malattie curabili in Occidente e centinaia di migliaia sono mutilati o cadono in guerra.
È il 1792 a Londra, e il traffico è intenso in Hercules Buildings: ventidue case a schiera di mattoni con un piccolo giardino sul davanti e un pub a ciascuna estremità della strada. Nel trambusto di carrozze, cavalli e barrocci, grida di pescivendoli, venditori di scope e fiammiferi, lustrascarpe e calderai, Jem Kellaway, un ragazzo col viso allungato, gli occhi azzurri infossati e i capelli biondo-rossicci, trasporta all'interno del numero 12 una sedia Windsor dopo l'altra. È il mese di marzo e il caldo e il rumore sono insopportabili. Jem esploderebbe certamente di rabbia e stanchezza se d'improvviso non calasse una strana pausa di silenzio sulla strada e la signorina Pelham non si zittisse e Maggie non smettesse di fissarlo. Seguendo il suo sguardo, il ragazzo scorge un uomo attraversare la via. Robusto, la faccia larga, la fronte spaziosa, gli occhi grigi e la carnagione pallida, vestito semplicemente, camicia bianca, brache, calze e giacca nere, e un bizzarro berretto in testa, un bonnet rouge, il copricapo con la coccarda blu, bianca e rossa della Rivoluzione francese. È uno degli abitanti più noti degli Hercules Buildings: William Blake, l'artista, il poeta che stampa "strani libretti" e inneggia alle idee che incendiano il paese dall'altra parte della Manica.
Nel novembre del 1885, quando giunge a Mandalay, Rajkumar ha undici anni e lavora come aiutante e garzone su un "sampan". Dopo aver risalito l'Irrawaddy dal golfo del Bengala, la sua barca si è dovuta fermare per riparazioni e il ragazzino indiano si è spinto per un paio di miglia nell'entroterra ed è arrivato nella capitale del regno di Birmania. Vi è arrivato nei giorni della fine del regno. La casa reale ha chiamato i sudditi a combattere contro gli eretici e i barbari kulan inglesi, per difendere l'onore nazionale e "avviarsi sul cammino che conduce alle regioni celesti e al Nirvana". Ma gli inglesi hanno la più grande flotta che abbia mai navigato un fiume, cannoni che possono abbattere le mura di pietra di un forte, fucili a retrocarica, mitragliatrici a ripetizione, e tre battaglioni di sepoy temprati da mille battaglie. L'esercito birmano si è disintegrato, i soldati sono fuggiti sulle montagne con le armi, due ministri hanno fatto a gara nel tenere sotto sorveglianza la famiglia reale, e il popolo di Mandalay si è riversato nel palazzo reale saccheggiando e mettendo a soqquadro ogni cosa. Rajkumar si aggira ora nel vastro atrio al centro della cittadella, in quello che tutti chiamano il Palazzo degli specchi, con le sue pareti di cristallo lucente e i soffitti rivestiti di specchi. L'esito finale del regno e della famiglia reale birmana, sarà l'inizio della fortuna di Rajkumar.

