
Mayta è il nome del presunto eroe di un velleitario golpe trockijsta che Vargas Llosa immagina essersi svolto nel 1958 in America Latina. A metà del Novecento, in quei paesi, fra avventurieri e idealisti, la libertà stava sempre a un tiro di schioppo. E per conquistarla la via rivoluzionaria sembrava la migliore. In questa ricostruzione, Vargas Llosa ci fa ripercorrere la vita dei diversi personaggi attraverso le testimonianze dei loro conoscenti e il confronto, a posteriori, di questi racconti con la realtà.
Ricardo conosce la "ragazza cattiva" da adolescente, a Lima, e per trent'anni la rincorre in lungo e in largo per il mondo, colpito da un amore folle e sconsiderato. Lei ama nascondersi sotto false identità, è sempre in fuga da qualcosa, irretita da ideali politici, alla ricerca di libertà, ma anche di patrimoni da depredare. La rincontra a Parigi, dove lei è di passaggio, guerrigliera della MIR destinata all'addestramento a Cuba: sull'isola seduce un capo castrista, poi un diplomatico francese che la riporta con sé in Europa. Seduce poi un benestante inglese, per poi finire con un mafioso giapponese, che la devasta nel morale e nel fisico con ripetute, terribili violenze sessuali. Ogni volta Ricardo è lì a proteggerla. E ogni volta lei riprende la sua via di fuga.
Così rispondeva l'autore a chi, al momento della pubblicazione, gli chiedeva se La ciudad y los perros - bruciato in piazza dai militari, considerato dalla critica il migliore tra i suoi romanzi, - fosse un romanzo "sulla violenza". E la violenza - fisica e non - fa da sfondo al microcosmo del Collegio Leoncio Prado di Lima dove avviene l'educazione del protagonista-alter ego dell'autore. Un collegio retto da militari secondo una disciplina militare in cui confluiscono sia i figli delle classi inferiori ammessi per merito sia quelli delle classi alte mandati lí dalle famiglie nella speranza di domarli, e dove la sopraffazione, la forza bruta, il dispotismo sono le leggi della convivenza, a dispetto di regolamenti e norme. "Ero un bambino viziatissimo, presuntuosissimo, cresciuto, faccio per dire, come una bambina... Mio padre pensava che il Leoncio Prado avrebbe fatto di me un uomo, - ricorda Vargas Llosa, - ma per me fu come scoprire l'inferno".
Nella Casa Verde i due poli geografici sono la costa peruviana e la selva amazzonica. In Vargas Llosa - ed è una costante della letteratura americana che ha dato, per fare solo un esempio, un capolavoro come Cento anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez - la storia del suo popolo e del suo paese è ricuperata al livello di mito simboleggiato dalla Casa Verde, il postribolo le cui vicende coincidono con la storia della città di Piura e dei suoi abitanti. Ma il mito implica una rottura del tempo storico e della logica dei fatti che Vargas Llosa compie con un procedimento, continuamente interrotto, di messa a fuoco "a ritroso".Passato e presente si confondono nei tempi della narrazione, e a poco a poco il lettore va scoprendo frammenti di verità e profili di personaggi che si sovrappongono per raccontare una storia. Che è quella della trasformazione violenta di Piura, piccolo centro di provincia dedito all'agricoltura e al commercio del bestiame, in una grande e tumultuosa città moderna. E' un processo inesorabile che travolge con automobili, grattacieli e fabbriche, gli abitanti e i costumi più radicati. Ora che persino la Mangacheria, l'agglomerato di capanne ai margini della città, variopinto crogiolo di razze e di miserie, dove sorgeva l'originaria Casa Verde, è diventato uno squallido suburbio, la vecchia Piura e i suoi personaggi, don Anselmo, padre Garcia, il dottor Zevallos, la Santera Domitilla, sono frammenti di una storia ricostruibile solo per evocazione, nei modi e nelle cadenze della mitologia popolare. La Casa Verde è però anche metafora dell'altro polo geografico, l'Amazzonia, immensa distesa di acque e foreste dove la colonizzazione non riesce a fissare che alcuni avamposti: le missioni e le guarnigioni militari.
Un padre dall'immaginazione troppo fervida, un figlio diabolicamente angelico, una matrigna dalla sensualità irresistibile sono i protagonisti di questo romanzo di raffinato erotismo. Rigoberto, il padre, è un uomo di successo, appassionato d'arte e di letteratura. Eppure qualcosa lo tormenta, qualcosa lo spinge, nelle notti insonni, a frugare tra i numerosi quaderni dove per anni ha annotato emozioni, sentimenti, riflessioni. È la nostalgia per Lucrecia, la seconda moglie che ha condiviso con lui dieci anni di notti appassionate e inventive. E mentre don Rigoberto soffre da solo, Lucrecia è relegata nel suo appartamento vittima di un simmetrico rimpianto per l'ex marito. Che cosa ha potuto separare dunque due persone che si amano così tanto?
Ricardo conosce la "ragazza cattiva" da adolescente, a Lima, e per trent'anni la rincorre in lungo e in largo per il mondo, colpito da un amore folle e sconsiderato. Lei ama nascondersi sotto false identità, è sempre in fuga da qualcosa, irretita da ideali politici, alla ricerca di libertà, ma anche di patrimoni da depredare. La rincontra a Parigi, dove lei è di passaggio, guerrigliera della MIR destinata all'addestramento a Cuba: sull'isola seduce un capo castrista, poi un diplomatico francese che la riporta con sé in Europa. Seduce poi un benestante inglese, per poi finire con un mafioso giapponese, che la devasta nel morale e nel fisico con ripetute, terribili violenze sessuali. Ogni volta Ricardo è lì a proteggerla. E ogni volta lei riprende la sua via di fuga.
Santiago Zavala, giovane giornalista della «Cronica» che tutti chiamano Zavalita, torna a casa dal lavoro e trova la moglie in lacrime: le hanno strappato di mano il cagnolino Batuque. Zavala lo va a riprendere al canile, e il destino gli fa ritrovare, tra i dipendenti di quel luogo che sembra piuttosto un macello, Ambrosio, per molti anni autista di famiglia. Insieme vanno a bere una birra a «La Catedral», sordido locale di periferia, a dal loro dialogo viene fuori il romanzo di una città, e dei suoi deliri: storie di vinti e di illusi, di militari a caccia di potere, di politici, giornalisti, prostitute, delle loro sconfitte, ma anche di rari momenti di quiete. Destini personali che insieme restituiscono un'immagine globale della società di Lima, ma anche peruviana, e latinoamericana, negli anni cinquanta e sessanta. Pubblicato nel 1969, Conversazione nella «Catedral» è un romanzo dalla costruzione articolata e travolgente, in cui le inquadrature sono «montate» in successione martellante, come in un film d'azione: vero e proprio affresco storico, un tentativo prossimo alla perfezione di creare un «romanzo totale». E su tutto, implacabile come un legame vischioso e concreto, la grigia nebbia che avvolge Lima e le sue creature.
Ne "I cuccioli" tutto ruota attorno a un episodio drammatico letto su un giornale, protagonisti un bambino e un cane. Le conseguenze saranno terribili, e il bambino porterà il loro pesante fardello anche nella vita adulta. Ai "Cuccioli" segue "I capi", una raccolta di racconti del 1959 che si pone come punto di partenza di una ricerca che si concretizzerà più avanti ne "La città e i cani" e "Conversazioni nella Catedral". Racconti in cui sono presenti molti dei "luoghi" dell'autore: gli studenti, la politica, gli spazi urbani delle città, tra poveri sibborghi e quartieri della borghesia, l'interno del Paese, la miseria.
Nel 1961 un gruppo di dominicani decide di uccidere in un agguato il dittatore Rafael Leónidas Trujillo, il "Caprone", padrone assoluto di Santo Domingo, violentatore e paternalista, che da trent'anni controlla le coscienze, i pensieri, i sogni dei cittadini... Molti anni dopo, Urania Cabral figlia dell'ex presidente del Senato Trujillo, professionista di successo, torna nella Santo Domingo che ha lasciato quattordicenne. Per chiudere i conti con un passato impossibile da rimuovere? Per vendicare torti e sofferenze? Per amore della sua terra, delle sue radici?
Le indagini di un abile e tenace «Maigret delle Ande».
A Naccos, desolato cantiere minerario situato in una zona impervia delle Ande peruviane, il caporale della Guardia Civíl Lituma e il suo fedele aiutante, il giovane Tomás, indagano sulla misteriosa scomparsa di tre manovali, svaniti improvvisamente nel nulla. Da tempo la cordigliera è teatro delle azioni terroristiche di Sendero Luminoso, movimento rivoluzionario di ispirazione maoista, e appare subito assai probabile che i tre uomini siano stati rapiti e forse uccisi dai guerriglieri. Di - sordinata accozzaglia di giovani, donne e persino bambini, armati di pietre, randelli, coltelli, essi sottopongono i loro prigionieri a processi sommari in nome della giustizia proletaria. Tuttavia, il caporale Lituma non si ferma ai primi indizi e alle conclusioni piú ovvie. Giorno dopo giorno, caparbiamente, si immerge nella vita quotidiana degli sperduti villaggi per comprenderne l'umanità dolente di poveri contadini e minatori. E scopre cosí un mondo inesplorato di credenze antiche e riti ancestrali, radicati profondamente nel cuore degli indigeni. Ed è in questo modo che il caporale raggiunge infine, dopo una serie di colpi di scena, la sconvolgente verità che avrebbe preferito ignorare.
La vita vera di Roger Casement è materia da romanzo. Irlandese, nato nel 1864, si trovò a indagare sugli orrori del colonialismo, seguendo la scia di sangue e denaro proveniente dall'affare planetario tra Otto e Novecento, la raccolta del lattice per la produzione del caucciù. Il Congo belga di Leopoldo II e la foresta amazzonica tra Perù, Colombia e Brasile sono i due scenari in cui Casement esercita il suo ruolo di osservatore, su incarico del governo inglese, e le condizioni d'incredibile sfruttamento in cui vede costrette le popolazioni indigene lo convincono della necessità di una lotta senza quartiere contro i massacri dei colonialisti, contro le prevaricazioni dell'uomo sull'uomo. L'esperienza di quello che fu il primo olocausto della storia moderna inciderà sulla coscienza del protagonista, contribuendo al radicalizzarsi della sua passione per la terra d'origine, l'Irlanda, nella lotta contro l'Inghilterra. Mentre tentava di trovare il sostegno della Germania in chiave anti-inglese per gli insorti irlandesi, sarà arrestato nel 1916 e, sfruttando le fantasticherie omosessuali scritte nei suoi Black Diaries, sarà oggetto di una campagna di discredito che lo condurrà al patibolo, malgrado fossero dalla sua parte Arthur Conan-Doyle, William Butler Yeats e Gorge Bernard Shaw. Ha detto Mario Vargas Llosa: "Gli eroi non sono statue, non sono esseri perfetti". E il personaggio Casement è certo un eroe ma è altresì uomo di contraddizioni.
Nulla mi ha fatto tanto piacere nella vita come passare mesi e anni a costruire una storia, dal suo incerto sbocciare, quell’immagine che la memoria aveva salvato da una qualche esperienza vissuta, che si trasforma in inquietudine, in entusiasmo, una fantasia germinata poi in un progetto, fino alla decisione di cercare di tramutare quella nebbia popolata da fantasmi in una storia. «Scrivere è un modo di vivere», scrisse Flaubert. Sí, certamente, un modo di vivere con entusiasmo e allegria e con un fuoco scoppiettante nel cervello, battagliando con le parole ribelli fino ad addomesticarle, esplorando il vasto mondo come un cacciatore in cerca della preda desiderata per alimentare la finzione in embrione e placare quel vorace appetito di ogni storia che, crescendo, vorrebbe inglobare tutte le storie.
Mario Vargas Llosa, Elogio della lettura e della finzione
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Ventotto anni dopo l’assegnazione del Nobel per la letteratura a García Márquez, nel 2010 l’Accademia di Stoccolma ha premiato un altro autore sudamericano, Mario Vargas Llosa, per «la sua cartografia delle strutture del potere e per la sua acuta immagine della resistenza, della rivolta e della sconfitta dell'individuo».
Con il discorso pronunciato in occasione della premiazione e riproposto in Elogio della lettura e della finzione, Vargas Llosa ci regala un capitolo inedito della sua autobiografia: la storia di un bambino curioso e intelligentissimo, che trova il suo «paradiso dell’infanzia» nella casa di famiglia a Cochabamba:
... in compagnia delle mie cugine e dei compagni di scuola potevamo giocare a rappresentare le avventure di Tarzan e di Salgari, e nella prefectura di Piura, dove nei sottotetti si annidavano i pipistrelli, ombre silenziose che riempivano di mistero le notti stellate di quella terra rovente. In quegli anni, scrivere fu come giocare un gioco che si svolgeva in famiglia, un piacere che faceva meritare applausi.
Cresciuto nella convinzione di essere orfano di padre, il bambino Vargas Llosa custodisce sul comodino la foto di un bell’uomo in uniforme, e ogni sera, prima di dormire, la bacia e le rivolge una preghiera. Ma un giorno la favola dell’infanzia si sgretola e fa spazio alla solitudine, alla paura, alla scoperta dell’autorità e della vita adulta.
Una mattina piurana, da cui tuttavia credo di non essermi ancora ripreso, mia madre mi rivelò che quel signore, in realtà, era vivo. E che quello stesso giorno saremmo andati a vivere con lui, a Lima. Io avevo undici anni e, da quel momento, cambiò tutto.
Da quel momento, racconta Vargas Llosa nell'Elogio, anche il suo rapporto con la letteratura «diventa grande». Se leggere è il rifugio, la nuova favola in cui vivere avventure esaltanti e sentirsi libero e ancora felice, scrivere è l’azione speculare, non di fuga ma di partecipazione.
... scrivere, di nascosto, come chi si concede a un vizio inconfessabile, a una passione proibita. La letteratura smise di essere un gioco. Si trasformò in un modo di resistere all’avversità, di protestare, di ribellarmi, di scappare dall’intollerabile, la mia ragione di vita.
Un testo toccante e appassionato, che mescola le riflessioni agli aneddoti e si muove tra storia e ricordo, presentandoci la letteratura come il luogo in cui convergono il desiderio di fuga e la volontà di cambiamento, l’incanto del sogno e la caparbietà dell’impegno civile. Oggi a parlare non è più un bambino: è un grande scrittore. Ma leggere e scrivere, per Vargas Llosa, hanno ancora lo stesso significato: «protestare contro le ingiustizie», e «dimostrare che la vita così com’è non è sufficiente a soddisfare la nostra sete di assoluto».

