
A partire dai secoli quarto e quinto si verificò, negli immensi spazi compresi fra l'Asia e l'Europa, un vasto processo di spostamenti a catena di popolazioni eterogenee che, dopo un vario e lungo peregrinare, finirono per stabilirsi in sedi diverse da quelle d'origine, trasformando in profondità gli assetti del mondo allora noto, in concomitanza con il collasso dell'impero romano d'occidente. L'epoca delle grandi migrazioni dei popoli o, come si usa dire adottando il punto di vista dei romani, delle invasioni barbariche ha sempre esercitato una fortissima suggestione ed èattualmente oggetto di una particolare attenzione storiografica. Il profilo di Azzara ripercorre le complesse vicende che portarono alla sostituzione dell'impero d'occidente con una pluralità di regni barbarici assai eterogenei e di disuguale durata, fino agh estremi fenomeni migratori che investirono lo spazio europeo nei secoli decimo e undicesimo. La sua esposizione non solo fa il punto sulle singole questioni, ma indica le ulteriori linee di sviluppo dell'indagine storica su avvenimenti alla radice della nostra civiltà.
Chi governa nel Regno Unito? Chi governava? Come si distribuisce il potere: chi fa che cosa e chi decide? Come è organizzata e come funziona la giustizia? Alessandro Torre, docente di diritto pubblico comparato, prende in esame la cultura politico-istituzionale del Regno Unito e propone un agile volumetto dal taglio interdisciplinare pensato per studenti e studiosi che devono approfondire la conoscenza di altri paesi, per coloro che per lavoro intrattengono rapporti con paesi esteri di cui è utile conoscere la realtà istituzionale, per coloro che viaggiano e per coloro che hanno a cuore i problemi delle democrazie all'inizio del terzo millennio.
Evitando di sposare una specifica teoria dell'opinione pubblica, questo volume discute tutto quello che sull'argomento è indispensabile sapere. I temi passati in rassegna attingono a una molteplicità di discipline: la nascita e la storia del concetto, i diversi modi di intendere i due termini che lo costituiscono, alcuni problemi classici, le dinamiche sottese alla formazione dell'opinione pubblica e gli attori che vi partecipano, le tecniche di ricerca usate per rilevarla.
Dopo essere rimasto per secoli una folcloristica e gelida colonia britannica, popolata da nostalgici sudditi di Sua Maestà, da ostinati coloni francesi sconfitti e da remote tribù indiane, il Canada si è trasformato, in pochi decenni, nella seconda metà del XX secolo, in uno degli stati più innovativi e interessanti del pianeta, un vero "laboratorio costituzionale", fonte di ispirazione per ogni società pluralista. La necessità di superare, in uno stato federale asimmetrico, le "due solitudini" del Quebec francofono e del resto del paese, anglofono, unitamente alla immissione di crescenti flussi di immigrati, ha spinto alla adozione di politiche multiculturali. In tale trasformazione, il diritto (e, in primo luogo, il diritto costituzionale) ha svolto un ruolo centrale. L'introduzione, nel 1982, della Carta dei diritti e delle libertà, tavola dei valori condivisi da tutti i canadesi, indipendentemente dalla loro "altra" appartenenza, segna l'avvio di un processo e di un modello di integrazione "attraverso i diritti".
L'economia della conoscenza è un sistema in cui la quota di occupazione ad alta intensità di conoscenza e il peso economico dei settori legati all'informazione sono preponderanti. In altri termini, un'economia in cui la scienza e la tecnologia svolgono un ruolo determinante. Storicamente le economie fondate sulla conoscenza si sono affermate a partire da un doppio fenomeno: da un lato una tendenza di lungo periodo che riguarda l'aumento delle risorse consacrate alla produzione e alla trasmissione delle conoscenze e dall'altro un'innovazione tecnologica importante che ha agito da elemento scatenante dei cambiamenti strutturali.
Da sempre la storia millenaria e la profonda spiritualità dell'India trovano in Europa e in Occidente un vasto movimento d'interesse: non altrettanto può dirsi della sua storia politico-istituzionale. Eppure, con la conquista dell'indipendenza (1947) e l'entrata in vigore (1952) di una costituzione democratica, proprio l'India si configura come la "democrazia più grande del mondo", nonostante le contraddizioni di una società multietnica, plurilinguistica e multireligiosa. Lo studio dell'ordinamento istituzionale indiano di oggi può offrire quindi un fondamentale contributo alla teoria democratica, evidenziando due aspetti di grande interesse: da un lato l'universalità dei valori democratici e la loro applicabilità ai contesti più disparati e apparentemente "incompatibili"; dall'altro la dimostrazione di come come la democrazia, lungi dal costituire un "monopolio dell'occidente", debba adattarsi ai contesti socioculturali dei popoli che, volontariamente, la scelgono.
Le società moderne sembrano contrassegnate dall'incapacità di elaborare significati condivisi, e perciò di assicurare coesione. Le istituzioni che in passato se ne facevano carico - famiglia, scuola, chiesa, stato - appaiono ormai inadeguate ad assolvere queste funzioni, condannando l'individuo a un angoscioso isolamento e sconcerto. Ma è una diagnosi fondata, oppure una mera riformulazione dell'"eterno lamento" per un mondo paventato come vacillante solo perché le nostre opere sono caduche e la nostra esistenza irrevocabilmente segnata dalla finitezza? Ne ragionano, in modo lucido e pacato, Berger e Luckmann, due grandi veterani della riflessione sull'uomo e sulla società.
"Un'opera intramontabile" (Samuel Huntington)
Le tesi elaborate in questo libro ormai classico non hanno mai smesso di suscitare un'eco estesa ben oltre il mondo degli studiosi. L'espressione "familismo amorale", coniata da Banfield per spiegare l'arretratezza, o meglio la mancanza di reazione all'arretratezza, di Montegrano (dietro cui si nasconde Chiaromonte, in Basilicata, alla metà degli anni '50), è diventata di uso corrente per etichettare una molteplicità di fenomeni, ma soprattutto per individuare un presunto "difetto" fondamentale della società italiana. Avverso allo spirito di comunità, disposto a cooperare solo in vista di un proprio tornaconto, il familista amorale si comporta secondo la seguente "regola aurea": massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare, nel presupposto che tutti gli altri agiscano allo stesso modo. Una interpretazione discussa ma di indubbia efficacia nell'indicare i guasti provocati dalla cronica carenza di senso civico.
Edward C. Banfield (1916-1999), consigliere di diversi presidenti americani, ha insegnato nelle Università di Chicago e Harvard. Tra le sue opere ricordiamo "Political Influence" (1961) e "The Unheavenly City Revisited" (1974).
Questo saggio si concentra sulla dinamica che determina l'adesione a un impegno collettivo o il ripiegamento nella propria sfera privata, identificando le forme di scontento che stanno alla base di tali comportamenti. Hirschman parte dall'analisi dell'individuo che, concentrato dapprima sul suo benessere privato, acquista, per soddisfare i suoi bisogni, ogni genere di beni. Ma che cosa succede quando egli, ottenendo ciò che pure desiderava, scopre di non aver ottenuto la felicità che si aspettava? La delusione lo spingerà probabilmente a impegnarsi in azioni di interesse pubblico. Anche la vita dell'arena pubblica offre però una quantità di delusioni: egli farà allora ritorno al suo mondo privato. Correggendo e integrando i modelli di azione razionale propri delle scienze economiche, Hirschman offre un contributo di grande interesse alla comprensione dei mutamenti dell'azione collettiva e delle sue motivazioni individuali.
Assistiamo oggi a una crisi strisciante, di enormi proporzioni e di portata globale, tanto più inosservata quanto più dannosa per il futuro della democrazia: la crisi dell'istruzione. Sedotti dall'imperativo della crescita economica e dalle logiche contabili a breve termine, molti paesi infliggono pesanti tagli agli studi umanistici ed artistici a favore di abilità tecniche e conoscenze pratico-scientifiche. E così, mentre il mondo si fa più grande e complesso, gli strumenti per capirlo si fanno più poveri e rudimentali; mentre l'innovazione chiede intelligenze flessibili, aperte e creative, l'istruzione si ripiega su poche nozioni stereotipate. Non si tratta di difendere una presunta superiorità della cultura classica su quella scientifica, bensì di mantenere l'accesso a quella conoscenza che nutre la libertà di pensiero e di parola, l'autonomia del giudizio, la forza dell'immaginazione come altrettante precondizioni per una umanità matura e responsabile.
Dopo il '45 è sembrato che l'Europa riuscisse a mettere fuori gioco la guerra, sconfessando così gran parte del suo stesso passato. Ora però essa è nuovamente circondata da una conflittualità minacciosa, e per le nostre democrazie si sta forse annunciando un appuntamento fatale con la storia: un appuntamento nel quale mille indizi sembrano indicare che la guerra possa tornare d'attualità. Ma l'Europa saprà ritrovarne le categorie culturali, prima ancora che le armi? Provenienti dal mondo della storia, della geopolitica, della filosofia e della letteratura, quattro autorevoli voci fanno i conti con l'evoluzione dell'atteggiamento europeo sulla guerra: Massimo Cacciari; Lucio Caracciolo, Ernesto Galli della Loggia, Elisabetta Rasy.
Educazione. Per alcuni un peso di cui disfarsi, per altri una risorsa senza la quale qualsiasi gruppo è destinato prima o poi a sgretolarsi. Educare oggi si può? L'educazione è solo una tecnica e una costruzione di competenze? Che si parli di ammonimenti o di «prediche», di modelli o di esempi, il problema attraversa la famiglia, la scuola, le associazioni del tempo libero e le relazioni di lavoro, e chiama sempre in causa la questione dei valori. Di certo, anche per le generazioni dell'era virtuale lo scambio diretto a fini educativi tra le persone - adulti-giovani, maestro-allievo - resta qualcosa di insostituibile.