
Saggi sulla gioia della liberta e sul piacere del gioco.
Introduzione generale alla Sacra Scrittura.
Se è senza dubbio illusorio fare la somma delle verità 'da credere', esiste in compenso una regola che aiuta a discernere ciò che è 'di fede'. In questo cammino, il padre Marlé è una guida sicura, chiara e convincente.
Come orientarsi fra le svariate discipline che rientrano nell'orbita della teologia? Anzi: che cosa si intende esattamente con "teologia"? Queste pagine si propongono di chiarire i concetti in gioco e di offrire un insieme di informazioni non solo corrette ma adeguate su un ambito che è davvero vasto. Prendendo come proprio centro di gravità la teologia dogmatica, quest'opera intende inquadrarla alla luce del suo passato, del suo presente e del suo avvenire. Sesboüé spiega allora che la teologia dogmatica non è il dogma: è la disciplina umana che cerca di capire nel modo migliore il contenuto del dogma. Dal punto di vista cristiano, la teologia avrà come oggetto centrale l'evento storico raccontato nella Bibbia e il cui apice è la venuta, morte e risurrezione di Gesù di Nazaret, proclamato dai cristiani Cristo e Signore, e adorato come Dio. Questo avvenimento prosegue in un'altra storia, quella della Chiesa, di cui Gesù di Nazaret è il fondatore e il fondamento. Per questo motivo, la teologia cristiana è in larga misura una storia, scienza dell'uomo per eccellenza. Una introduzione solida e sintetica alla teologia cristiana.
Questo breve saggio nasce da un’idea a prima vista insopportabile: la fine della storia è ormai cosa certa. È insomma passata l’epoca in cui potevamo sperare di impedire, con un ultimo sussulto di orgoglio collettivo, l’annientamento prossimo del nostro mondo. È iniziato il tempo in cui la fine dell’umanità è diventata del tutto certa, nel volgere di un periodo storico abbastanza breve.
Ne consegue che affrettarsi a distruggere tutto, magari provandoci gusto, diventerà non solo sempre più allettante, ma anche sempre più ragionevole: che altro resta da fare, infatti, se tutto è perduto? Anzi, per certi versi la tentazione del peggio anima fin da ora coloro che sanno che viviamo i tempi della catastrofe finale.
Sotto questa luce crepuscolare, il Male – così come la violenza e il senso della vita – cambia valore e contenuto. Castel se ne lascia interpellare ed esplora le conseguenze – talora paradossali – di questa prospettiva reale, già presente più che futuribile. Al Male imminente, esiste forse un qualunque Bene da opporre? Insomma: siete pronti per la fine del mondo?.
Il "Manoscritto di un prigioniero" di Carlo Bini appartiene alla letteratura meno nota della prima metà dell'Ottocento italiano. Eppure esso merita di essere riproposto all'attenzione del lettore odierno per molti motivi: in primo luogo, per la modernità del testo, che si sottrae a una stretta identificazione di genere, oscillando tra il romanzo, l'autobiografia, il trattato politico, il dialogo drammatico. Come tale è un'opera rivoluzionaria per l'epoca, e lo è anche per i contenuti, giacché sostiene una proposta politica egualitaria, fondata sulla rivendicazione dei diritti dei poveri, proposta che si collocava al di là della posizione non solo dei pensatori retrivi dell'epoca, ma anche degli spiriti aperti, ivi compreso il Mazzini, per l'adesione alla cui setta Bini scontò a Portoferraio il carcere nel quale nacque il Manoscritto stesso. Questo è dunque anche un libro di speranza e di progetto, che, nel clima della Restaurazione, all'opposto della disperazione proveniente a Leopardi dalla staticità della società di Recanati, nasce all'interno della città "libera" e aperta di Livorno.
Con questo secondo volume dei Quaderni dell'Accademia di Belle Arti di Macerata abbiamo voluto restituire - e il piu fedelmente possibile - i risultati degli incontri organizzati dal 18 al 21 marzo 2013 in occasione del Quarantennale dell'Accademia ed evidenziare dunque lo sforzo di fare ricerca, di unire gli spazi della tecnica con quelli della teoria (Paola Taddei). Con testi di Renato Barilli, Loretta Fabrizi, Pierfrancesco Giannangeli, Jannis Kounellis, Antonello Tolve e Angelo Trimarco.
Metafora, metonimia, palindromo... sono solo alcune delle figure retoriche che arricchiscono la nostra lingua e che servono a capire e a raccontare la realtà. Tutti noi le usiamo, in modo naturale e spesso senza rendercene conto. "Che figura!" le trasforma in personaggi strambi e divertenti: dal Signor Litote che ormai ha il torcicollo a forza di fare no con la testa, a Miss Enfasi che sembra vivere a teatro, fino a mago Ossimoro, che si rinfresca col fuoco e si scalda col ghiaccio. Età di lettura: da 8 anni.
Il testo che qui presentiamo corrisponde a un seminario che Antoine Berman ha tenuto a Parigi nel 1984, ed è stato pubblicato già l’anno successivo a cura dell’autore. Al centro della riflessione c’è, com’è evidente, il tema della letteralità nel tradurre, a partire dall’idea che non è possibile parlare di traduzione in senso stretto quando si mira alla semplice restituzione del senso, alla semplice ricerca di equivalenti, senza scontrarsi integralmente con il peso corporeo della lettera. Tuttavia la dimensione della lettera non è fungibile in maniera immediata – la letteralità viene quasi universalmente confusa con il “calco servile” – e tutto il seminario si applica nello sforzo di far emergere la natura più profonda e produttiva di questa dimensione, innanzitutto cercando di accerchiarla (la definizione “in cavo”), nominando una per una le tendenze “deformanti” che incessantemente l’aggrediscono nelle forme correnti di traduzione; quindi procedendo alla magistrale disamina di tre casi esemplari di traduzione letterale: Hölderlin traduttore di Sofocle, Chateaubriand traduttore di Milton e Klossowski traduttore di Virgilio.
Lo stile – si tratta di un “testo di lavoro” – è rapido e informale, spesso declinante verso l’oralità, ma sorprendentemente sottile nella posizione delle domande e nella definizione dei problemi: al punto da costituire una guida preziosa tanto per chi si cimenti nella pratica del tradurre, quanto per chi osservi il fenomeno con occhio puramente teorico; ma anche – e forse soprattutto – per chi s’interroghi sull’espressione linguistica in generale: sui suoi vincoli spesso invisibili o inavvertiti, sui suoi spazi di libertà (quelli che solo l’esperienza della traduzione consente di riconoscere), sui piani imprevedibili – come quello etico, “religioso” e persino politico - in cui essa è messa realmente in gioco.
Nel più lussuoso hotel di Dubai o in uno slum di Bombay. Nel cuore della foresta amazzonica o in una fattoria islandese, per le strade di Times Square, dove gli schermi si moltiplicano, o in un villaggio di Zanzibar, dove le ombre di una piccola tv in bianco e nero sono ancora un miraggio, tutti guardano gli stessi programmi: La ruota della fortuna, Stranamore, Chi vuol essere milionario?, Grande fratello, Affari tuoi, L'isola dei famosi. Sono i format. Il più importante catalizzatore dei gusti che il mondo abbia mai conosciuto. Miliardi di persone li guardano, ma sappiamo pochissimo dei meccanismi più profondi grazie ai quali hanno costruito il "nuovo impero globale dell'intrattenimento". Come si analizza un format? Perché alcuni conoscono un successo planetario e altri scompaiono in una sera? Quali sono le costanti e i legami invisibili che uniscono tutti quelli vincenti? Paolo Taggi, autore e direttore di programmi televisivi, propone una teoria semplice, rifacendosi alla "Morfologia della fiaba" di Vladimir Propp, in chiave libera e riattualizzata, ma anche al mito, alla fiaba, alla performance, al wrestling e al videogame: elenca duecento azioni che, combinate sempre in modo differente, danno vita a tutti i programmi seriali di successo nel mondo. Uno strumento di analisi delle strutture della tv di oggi, ma anche come un metodo originale di lavoro - quasi una sfida - per chi, stanco della televisione che vede, vuole davvero cominciare a costruirne una nuova.

