
Un lungo viaggio, al passo con le stagioni: dal fondo della Calabria al triangolo del riso tra Po, Ticino e Sesia, dal distretto della fragola di Policoro alle serre di Albenga. E poi i frutti di bosco che dalle Alpi scendono alle metropoli, la sfida di un profeta con l'aratro nel cuore dell'Appennino, l'avventura del radicchio di Chioggia, il mais ottofile di Roccacontrada e le ciliegie pugliesi, rossi gioielli nel bouquet di un'agricoltura che in vent'anni ha cambiato volto. Dulcis in fundo l'uva da tavola che dialoga con gli internauti e un'irresistibile pomodorina partita da Melfi per conquistare Londra. Con lo sguardo spiazzante di chi, digiuno di ogni sapere specialistico, è curioso di tutto, Giorgio Boatti racconta storie di persone che hanno scelto di ridare vita a cascine e masserie, di mettersi insieme per creare aziende radicate nella tradizione ma capaci di sfide innovative. Un affresco controcorrente in un paese dove, per abitudine, bisogna dire che tutto va male. Un percorso interiore in cui il disegno del paesaggio e della vita si confondono. Rivelano un'Italia con i piedi ben piantati per terra dove è all'opera un futuro che riguarda ognuno di noi.
Il mondo non cambia da sé e di per sé. Eppure ogni giorno, ossessivamente, ci sentiamo ripetere che alcune scelte economiche sono obbligate, che costi sociali pesanti e ingiusti sono necessari, che perfino i provvedimenti politici da adottare non possono che seguire linee già tracciate. Quasi che i cambiamenti, i rapporti e le logiche di cui si parla siano privi di autori e costituiscano una sorta di stato di natura. Per contrastare questa logica dobbiamo capire gli interessi che hanno guidato i cambiamenti degli ultimi trenta anni e i motivi per cui essi hanno prevalso. Dobbiamo capire come delocalizzazione, impiego di informatica e robotica, spostamento dei capitali verso i mercati finanziari abbiano portato i profitti a un punto mai raggiunto in un recente passato spostando i livelli di forza a danno del lavoro. E che il risultato di questa vera e propria controffensiva è stata la riduzione dei diritti senza che ad essa siano seguiti progressi sia economici che sociali.
Chi è l'imprenditore più audace, l'innovatore più prolifico? Chi finanzia la ricerca che produce le tecnologie più rivoluzionarie? Qual è il motore dinamico di settori come la green economy, le telecomunicazioni, le nanotecnologie, la farmaceutica? Lo Stato. È lo Stato, nelle economie più avanzate, a farsi carico del rischio d'investimento iniziale all'origine delle nuove tecnologie. È lo Stato, attraverso fondi decentralizzati, a finanziare ampiamente lo sviluppo di nuovi prodotti fino alla commercializzazione. E ancora: è lo Stato il creatore di tecnologie rivoluzionarie come quelle che rendono l'iPhone così 'smart': internet, touch screen e gps. Ed è lo Stato a giocare il ruolo più importante nel finanziare la rivoluzione verde delle energie alternative. Ma se lo Stato è il maggior innovatore, perché allora tutti i profitti provenienti da un rischio collettivo finiscono ai privati? Per molti, lo Stato imprenditore è una contraddizione in termini. Per Mariana Mazzucato è una realtà e una condizione di prosperità futura. È arrivato il tempo di questo libro.
La sfiducia nei confronti delle valute nazionali, il crescere di monete alternative e virtuali, le preoccupazioni ambientali per la produzione del denaro, il trionfo delle nuove tecnologie digitali, l'ondata di prove contro il contante, accusato di penalizzare i poveri più di chiunque altro. Tutto fa pensare che l'epoca del denaro fisico stia volgendo al termine. David Wolman va alla ricerca delle persone, delle tecnologie, dei luoghi che per primi hanno aperto la strada all'idea di un mondo senza soldi. Incontreremo ad esempio Bernard von NotHaus, falsario e sostenitore di una moneta di scambio alternativa, e David Birch, propugnatore ed esperto di tecnologie per la digitalizzazione del denaro. Visiteremo il Digital Money Forum di Londra e sapremo tutto dei soldi fatti di bit e di byte; ci fermeremo alla banca centrale islandese, riscoprendo il valore culturale delle banconote; voleremo a Delhi, dove la moneta virtuale, alternativa ai contanti, promette un futuro migliore per i poveri.
Se riusciremo a dare un volto umano alla globalizzazione e a far sì che la democrazia continui a essere un sistema politico credibile, dipenderà da come risolveremo la questione della disuguaglianza.
Gli autori individuano i temi fondanti del dibattito economico, filosofico e politico intorno alla disuguaglianza, offrendoci un quadro del pensiero dei maggiori scienziati sociali che se ne sono occupati. Emerge chiaramente come la teoria economica abbia a lungo trascurato il fondamentale problema della distribuzione personale del reddito e come l’uso di sofisticati strumenti statistici abbia svuotato la questione della disuguaglianza dei suoi contenuti etici più profondi. Il libro dedica in seguito particolare attenzione all’analisi del complesso rapporto che intercorre tra globalizzazione, disuguaglianza e democrazia.
Per finire – e per indirizzare la riflessione sul futuro – gli autori tracciano una mappa delle più recenti proposte avanzate da importanti studiosi della disuguaglianza economica: da Anthony Atkinson a Joseph Stiglitz, fino a Thomas Piketty.
Non è l’economia che traina il sociale, ma il contrario; per fare sviluppo occorrono processi di autocoscienza e di autopropulsione collettiva, non interventi dall’alto: ho sempre tenuto a mente questi principi studiando il Mezzogiorno italiano.
«I primi due esperti di sviluppo che ho frequentato all’inizio del mio meridionalismo sono stati Giorgio Sebregondi e Padre Louis-Joseph Lebret. Il primo era convinto che nella ‘lunga durata’ non è l’economia che traina il sociale ma il contrario; e che quindi lo sviluppo va perseguito con adeguati interventi sul sociale e sollecitando la partecipazione delle popolazioni locali; Lebret, dal canto suo, era convinto che per fare sviluppo occorrono non interventi dall’alto, ma profondi processi di autocoscienza e di autopropulsione collettiva. Io sono nato su quel duplice imprinting, e su di esso ho sempre fedelmente lavorato».
Una raccolta di testi che attraversano sessant’anni di storia italiana e ripercorrono l’impegno di Giuseppe De Rita per il Mezzogiorno.
Uno spaccato illuminante dell’economia del nostro paese dal 1968 a oggi: la storia degli interventi pubblici nell’economia italiana ma anche la loro relazione con la trama dei principali eventi politici, istituzionali, internazionali e sociali di quegli anni.
Ne emerge il racconto avvincente di una stagione di illusioni ed errori, culminata dieci anni fa in una crisi economica gravissima, da cui l’Italia stenta a riprendersi.
Una guida utile per chi – anche se non addetto ai lavori nelle discipline economiche – voglia orientarsi nella storia recente della politica e dell’economia in Italia.
Vi ricordate cosa accadde il 12 settembre 1962? John F. Kennedy annunciava al mondo che gli Stati Uniti si prefiggevano un obiettivo straordinario: arrivare sulla Luna. La storia ci dice il resto: la missione Apollo 11 venne realizzata e l'allunaggio avvenne sette anni dopo. Per raggiungere questo traguardo fu necessario mettere in campo nuove forme di collaborazione tra il settore pubblico (la Nasa) e quello privato, insieme a investimenti di portata straordinaria. Cosa accadrebbe, si domanda Mariana Mazzucato, se la stessa audacia fosse impiegata per affrontare i più gravi e complessi problemi del nostro tempo, dai cambiamenti climatici alle epidemie, dal digital divide alle disuguaglianze crescenti? Sono problemi enormi, impermeabili a soluzioni semplici, che possiamo risolvere solo affrontandoli in maniera radicalmente nuova. Nel concreto questo significa creare nuove forme di partnership tra pubblico e privato; significa ripensare al modo in cui sono strutturati i bilanci statali per orientarli più esplicitamente al lungo periodo; significa investire coraggiosamente su larga scala e utilizzare l'innovazione, fino a ora impiegata solo per generare profitti privati, a fini sociali. Significa, soprattutto, mobilitare le nostre risorse - materiali, intellettuali, finanziarie - in modo audace, prefiggendoci missioni capaci di ispirare e stimolare l'immaginazione. Siamo riusciti a fare tutto questo per arrivare sulla Luna. Oggi possiamo farlo, di nuovo, per raggiungere un obiettivo ancora più ambizioso: migliorare la vita di tutti.
Secondo l'ideologia liberista il mercato lasciato a se stesso crea le migliori opportunità e il maggior benessere per tutti. È un'illusione di cui questo libro critica le premesse economiche ed esplora le conseguenze etiche, sociali e politiche. Il progetto liberista ha cercato e tuttora cerca di realizzare non solo un'economia di mercato, ma una società che, in definitiva, si risolve nel mercato. Dove i rapporti sociali sono irrilevanti se non mediati dal mercato e anche le istituzioni politiche vengono guardate e valutate solo in base agli interessi economici di individui egoisti, mentre il denaro può comprare tutto e le disuguaglianze di reddito, di ricchezza e di opportunità possono crescere a dismisura in nome del merito, degli incentivi, dell'efficienza. Di questi fili è intessuta l'ideologia di mercato.
Secondo studi recenti la Russia ha la quota più alta al mondo di dark money, soldi opachi detenuti all'estero: un trilione di dollari. Si stima che un quarto di questi sia collegato a Vladimir Putin e a suoi stretti associati, e il Cremlino sembra sempre più capace di pilotare operazioni aggressive. L'Italia è uno dei pezzi di questo grande gioco: gli oligarchi russi in Italia investono e comprano grandi proprietà. Agiscono portando avanti attività che sono a volte al confine con lo spionaggio. Il libro ricostruisce la loro rete di rapporti in Italia: troveremo i rapporti dei servizi segreti italiani sugli investimenti fatti per sostenere operazioni di influenza politica, i passaggi in Italia degli avvelenatori di Skripal, la ricostruzione puntuale dei giganteschi flussi di denaro dalla Russia verso il nostro paese. Così come le relazioni e le onorificenze della Repubblica a personaggi sanzionati da Usa e Ue e le timidezze dei due governi Conte. Vicende che sembrano uscite da un romanzo di John le Carré, ma che sono drammaticamente reali e ci riguardano da vicino.
Si dice che in una società meritocratica i redditi seguano i meriti. Ma in alcune società contemporanee che si presentano come meritocratiche le differenze di reddito sono enormi. Com'è possibile che alcuni abbiano meriti superiori ad altri di centinaia di volte? Da qui prende oggi le mosse il rifiuto del programma meritocratico che nella seconda metà del secolo scorso era la sostanza del 'sogno americano' ed era sottoscritto dal laburismo britannico e dal socialismo riformista europeo. Marco Santambrogio difende la meritocrazia con due ordini di argomenti. Dimostra da un lato che quelle società si presentano come meritocratiche ma non rispettano il principio irrinunciabile delle uguali opportunità. Dall'altro sostiene su solide basi filosofiche che il merito non si trasferisce dalle posizioni e dai posti di lavoro alle retribuzioni che li accompagnano. Non si butti dunque il bambino con l'acqua sporca. Si continui - o, in qualche caso, si cominci - a distribuire posti e posizioni rispettando le competenze, senza favoritismi e dando a tutti uguali opportunità. La meritocrazia consiste in questo. Quanto alle enormi differenze di reddito, si dimostri che sono meritate. Se non ci si riesce, una tassazione equa (richiesta dagli stessi principi meritocratici) si preoccuperà di ridurre le sperequazioni immeritate.
Negli ultimi tre decenni l'Occidente ha visto crescere i divari tra chi sta in basso e chi sta in alto per reddito, patrimonio e accesso alle opportunità come scuola, sanità e lavoro. La classe media si sta progressivamente sgretolando, schiacciata tra redditi anemici e costi sempre più elevati. E l'ascensore sociale è guasto: per chi viene da una famiglia povera occorrono quattro generazioni e mezza, circa centotrentacinque anni, per arrivare al reddito medio. Poi è arrivata la pandemia, che ha generato la peggiore crisi sanitaria da cent'anni e una brutale crisi economica e sociale che si è accanita contro i più vulnerabili: i lavoratori con basse qualifiche, i precari, i migranti, le donne, i giovani. Stridenti le contraddizioni per il sistema formativo: la tecnologia digitale ha permesso la didattica a distanza, ma per i bambini di famiglie a basso reddito le possibilità di studiare con le nuove modalità sono state esigue. Le conseguenze rischiano di essere di lungo termine. Come ricostruire un tale tessuto sociale sfibrato? La solidità delle società occidentali si misurerà proprio dalla nostra capacità di immaginare un mondo migliore, migliore anche di quello da cui siamo usciti, affrontando non solo i fattori contingenti ma anche quelli strutturali. Prefazione di Ignazio Visco.

