
John Maynard Keynes e Friedrich von Hayek si ritrovarono su fronti opposti in una contrapposizione che si fece sempre più netta e che diede luogo al maggiore scontro in campo economico della storia contemporanea. Al centro della contesa si impose la questione se spettasse ai governi e allo stato intervenire nel mercato e in economia, o meno. Tutti e due poterono osservare l'espansione e la recessione del ciclo economico dell'epoca, ma giunsero a conclusioni molto differenti in proposito. Hayek era convinto che il fatto di alterare l'"equilibrio" del libero mercato avrebbe provocato una selvaggia inflazione. Keynes credeva invece che per contrastare la disoccupazione di massa e favorire la crescita alla fine di un ciclo servisse la spesa pubblica. Sarebbero stati in disaccordo per il resto delle loro vite e per vent'anni si confrontarono per lettera, con sapienti articoli e interventi accademici, in accalorate conversazioni private e infine tramite i ferventi discepoli: da John Kenneth Galbraith a Milton Friedman. Dalla Grande depressione alla seconda guerra mondiale e dal dopoguerra al presente, Nicholas Wapshott, nel suo stile narrativo e con grande capacità di rendere comprensibili complesse questioni economico-finanziarie, riporta in vita gli animati dibattiti tra questi due giganti del ventesimo secolo, la cui eredità condiziona tuttora il dibattito politico.
La prima globalizzazione, nella seconda metà dell'Ottocento, fu accompagnata, e in un certo senso guidata, da un'élite internazionale ristretta e potente, artefice di un nuovo sistema economico. A propria capitale eresse la più grande metropoli di allora, Londra, sede di due imperi: quello diplomatico-militare vittoriano e quello informale, dai confini mobili, della finanza. I merchant bankers londinesi furono un'aristocrazia atipica, che intrecciava il potere del denaro con quello delle relazioni istituzionali e sociali. In questo libro si racconta l'ascesa di tale élite imperiale, capitalistica e aristocratica insieme, e se ne descrivono il profilo sociale e la cultura operativa. Si parte dalla scoperta della globalizzazione, si analizzano poi da una parte la diffusione di speculazione e gioco di Borsa e dall'altra la concentrazione in poche mani di un colossale potere economico e politico. I finanzieri internazionali si erano dati tacite ma stringenti regole comportamentali che delimitavano lo spazio tanto della concorrenza quanto della cooperazione. L'epoca in cui la globalizzazione si delineò non fu affatto un periodo di anarchia economica, bensì di regolazione dell'economia, sebbene su basi rigorosamente privatistiche. E forse è questa la differenza più profonda rispetto alla globalizzazione del nostro tempo, che ha sottratto la dinamica della finanza a ogni regola.
Dalla Repubblica dell'antica Roma agli oligarchi russi di oggi, è sempre stato così: un ristretto numero di individui spaventosamente ricchi domina l'economia e la politica del suo tempo. Come abbiano accumulato capitali così spropositati diventa irrilevante una volta che siano entrati nella ristretta cerchia di chi conta davvero. Dal banchiere dei papi Cosimo de' Medici ai padroni delle ferriere della Rivoluzione industriale, l'origine di quelle favolose fortune viene presto dimenticata, mentre i super-ricchi forniscono fondi per la costruzione di chiese e istituzioni culturali, si inventano patroni delle arti e delle lettere e, ansiosi di essere accettati dall'establishment, si sforzano di ripulire la loro immagine con grandiosi gesti di filantropia, esibizioni di stile e opulenza, imprese che i comuni mortali possono solo sognare. Gli oggetti del desiderio e gli status symbol possono cambiare, ma le regole sono sempre le stesse: gli schiavi, le concubine, i forzieri pieni d'oro e i castelli inespugnabili hanno lasciato il posto ai jet privati, i super-yacht, le isole private e le squadre di calcio, ma il gioco rimane uguale - e la storia sembra dimostrare che questo 0,01% vince ogni volta sul restante 99,99%. Ma è destinato a essere sempre così? dimostrare che questo 0,01 per cento vince sempre sul restante 99,99 per cento. Ma è destinato a essere sempre così?
Nel novembre 1999 si è svolto a Seattle il terzo meeting interministeriale tra i paesi che aderiscono al Wto, l'organizzazione mondiale per il commercio. Lo scopo dichiarato era quello di trovare regole per la liberalizzazione e la diffusione del commercio. Ma il vero tema sul tavolo è l'espansione dei poteri dell'organizzazione a scapito delle legislazioni nazionali e, al contempo, l'estensione del dominio del commercio a tutta la sfera delle attività umane, al di là di quelle preoccupazioni ecologiche o etiche che possano frenare il rullo compressore della mercificazione.
Il petrolio è la più importante risorsa del nostro tempo. Proprio per questo, abbondano errori di valutazione sulla sua reperibilità e la sua abbondanza. Da tempo ci troviamo in una situazione in cui questo bene veleggia oltre i settanta dollari al barile, con prospettive di crescita ulteriore del prezzo. La questione che sembrerebbe emergere è quindi quella di prezzi condizionati da una difficoltà di approvvigionamento. La realtà invece, a detta di Maugeri, non sta proprio in questi termini. Basti pensare alla situazione irachena dove solo circa il 15 per cento di quanto si troverebbe nel sottosuolo è stato esplorato e quindi estratto. La tesi di Maugeri è che il petrolio c'è, basta sfruttarlo a pieno, migliorare le tecnologie di estrazione e condurre le necessarie ricerche. Il mondo intero galleggia su una quantità in espansione di combustibili liquidi, basta cercarli...
Con "Il banchiere dei poveri" ha raccontato la storia straordinaria della fondazione della Grameen Bank e ha mostrato come il sistema del microcredito sia capace di sottrarre milioni di persone alla miseria e allo sfruttamento. Da allora ha esteso il raggio d'azione di Grameen dal campo strettamente finanziario a quelli dell'alimentazione, dell'educazione, dell'assistenza sanitaria, delle telecomunicazioni. Oggi il premio Nobel per la pace Muhammad Yunus è pronto per una nuova sfida: proporre quell'esperienza come un modello e un punto di riferimento per riuscire finalmente a estirpare la piaga della povertà mondiale. La sfida si può vincere, secondo Yunus, con lo sviluppo e la diffusione del "business sociale": un nuovo tipo di attività economica che ha di mira la realizzazione di obiettivi sociali anziché la massimizzazione del profitto. Una forma di iniziativa economica capace di attivare le dinamiche migliori del libero mercato, conciliandole però con l'aspirazione a un mondo più umano, più giusto, più pulito. Sembra un sogno a occhi aperti. Ma è un sogno che ha aiutato il Bangladesh quasi a dimezzare il suo tasso di povertà in poco più di trent'anni. E che comincia a coinvolgere multinazionali, fondazioni, banche, singoli imprenditori, organizzazioni no profit in ogni parte del mondo.
Ogni giorno prendiamo decisioni sui temi più disparati: come investire i nostri soldi, cosa mangiare per cena, dove mandare i figli a scuola, con che mezzo di trasporto raggiungere il centro della città. Purtroppo facciamo spesso scelte sbagliate. Mangiamo troppo, usiamo la macchina quando potremmo andare a piedi, scegliamo il piano tariffario peggiore per il nostro telefonino o il mutuo meno conveniente per comprare una casa. Siamo esseri umani, non calcolatori perfettamente razionali, e siamo condizionati da troppe informazioni contrastanti, dalla complessità della vita quotidiana, dall'inerzia e dalla limitata forza di volontà. È per questo che abbiamo bisogno di un "pungolo", di una spinta gentile che ci indirizzi verso la scelta giusta: di un nudge, come l'hanno battezzato l'economista Richard Thaler e il giurista Cass Sunstein in questo libro. L'idea di Thaler e Sunstein è semplice ma geniale: per introdurre pratiche di buona cittadinanza, per aiutare le persone a scegliere il meglio per sé e per la società, occorre imparare a usare a fin di bene l'irrazionalità umana. I campi d'applicazione sono potenzialmente illimitati: dal sistema pensionistico allo smaltimento dei rifiuti, dalla lotta all'obesità al traffico, dalla donazione di organi ai mercati finanziari, non c'è praticamente settore della vita pubblica o privata che non possa trarre giovamento dal "paternalismo libertario".
Cosa succede quando un sistema - politico, economico, imprenditoriale - si blocca? Dove attingere idee ed esperienze in grado di innovare il sistema? Tutto ha avuto inizio col punk. Una cultura giovanile che ha fatto del riuso "non autorizzato" delle immagini e della musica preesistenti la propria cifra stilistica. In rapida successione hip-hop, rave, graffiti e industria dei videogame, in combinato con la facilità d'uso degli strumenti digitali, hanno diffuso su un altro piano le idee portanti che stavano alla base del punk. In modo coinvolgente, Punk capitalismo ci racconta come le culture giovanili in questi ultimi trent'anni hanno cambiato il modo in cui il mondo lavora e funziona, offrendoci una diversa prospettiva della pirateria, vista come un'opportunità per il sistema e un altro modo di fare business. Oggi, molte imprese si trovano a dover fare i conti con un dilemma sempre più lacerante. Se la pirateria continua a terremotare il modo in cui usiamo l'informazione, come dobbiamo rapportarci? Dobbiamo reprimerla, trattandola come un problema, o al contrario come una soluzione? Forse la pirateria dovrebbe essere letta più semplicemente come un nuovo e vincente modello di business.
Ogni volta che compriamo una banana, il 45% di ciò che paghiamo va al rivenditore, il 18% all’importatore, il 19% è assorbito dai costi di trasporto, mentre alla compagnia che controlla la piantagione spetta circa il 15%. Al contadino resta meno del 3%.
Evidentemente c’è qualcosa che non va in un modello così iniquo di distribuzione, che non riguarda peraltro solo i beni alimentari. Il prezzo da noi pagato per ogni cosa, dal cibo ai beni di consumo, è sistematicamente distorto. Il mercato non riesce a valutare con equità il valore del lavoro, i bisogni delle persone, le necessità delle generazioni future. E quando i prezzi sono ancorati al nulla anziché ai valori reali siamo di fronte a un baratro.
Oggi che il neoliberismo è saltato fragorosamente per aria è più che mai necessario tornare alla radice dei problemi. È questo l’obiettivo del lavoro di Raj Patel: un’indagine stringente che fornisce gli strumenti per riflettere in modo nuovo sul mondo, sul valore delle cose, sul senso di ciò che facciamo.
Banca Etica. Una banca unica al mondo, nata dal basso su iniziativa di movimenti pacifisti e ambientalisti, botteghe del commercio equo e solidale e di migliaia di cittadini attivi. A dieci anni dalla partenza.il suo presidente e fondatore Fabio Salviato ne ripercorre la storia. Un racconto in prima persona che attraversa trent'anni di attivismo sociale, dagli scontri del '77 all'occupazione della base americana di Comiso, dal messaggio rivoluzionario del commercio equo agli anni novanta, con il boom del Terzo settore. Fino ai giorni nostri, quando il modello di Banca Etica è pronto per essere esportato in altri paesi europei. Il libro racconta anche una storia mai scritta: quella dei movimenti e delle reti cooperative che da decenni animano la coscienza critica dei cittadini europei. Lontani dai riflettori della politica-spettacolo e dai salotti buoni delle grandi famiglie dell'industria e della finanza, le cooperative, le associazioni e le organizzazioni non governative hanno saputo rispondere ai bisogni di milioni di persone, creando opportunità di lavoro e integrazione per giovani emarginati, disabili, disoccupati dalle regioni più isolate e depresse fino alle periferie infinite delle grandi città contemporanee. Il progetto di una nuova grande Banca Etica Europea viene accompagnato dalle voci di chi sta cercando di costruirla: gli steineriani francesi della finanziaria La Nef, i baschi del Mondragón, ma anche i palestinesi del Parc, che lottano per la difesa delle proprie terre.
Nel settembre del 2006, dal podio del Fondo monetario internazionale, un professore di economia della New York University ammonì sull’imminente, terribile crack dell’economia mondiale, innescato dalla crisi dei mutui immobiliari americani, dall’oscillazione dei prezzi del petrolio e dalla conseguente crisi di fiducia dei consumatori. All’epoca nessuno diede peso alle sue fosche analisi, ma oggi Nouriel Roubini è riconosciuto come uno degli economisti più autorevoli del mondo, dopo che tutte le sue previsioni si sono puntualmente avverate. In questo libro attesissimo – in contemporanea uscita in più di venti paesi – Roubini svela finalmente in che modo sia riuscito a prevedere prima di altri la crisi in arrivo, evidenzia gli errori da evitare nella fase attuale e indica i passi da compiere per uscirne in modo stabile. Centrale nella sua visione è la convinzione che i disastri economici non siano “cigni neri”: eventi unici e imprevedibili, privi di cause specifiche. Al contrario, i cataclismi finanziari sono antichi quanto il capitalismo stesso e si possono prevedere e riconoscere mettendo a confronto i dati ricavabili dalle diverse realtà geografiche ed epoche storiche. Solo traendo i giusti insegnamenti dalle tante esperienze di crisi, ammonisce Roubini, possiamo fronteggiare l’endemica instabilità dei sistemi finanziari, imparare a prevederne i punti di rottura, circoscrivere i pericoli di contagio globale, e soprattutto riuscire a immaginare un futuro più stabile per l’economia mondiale.
“Nouriel Roubini aveva ragione.”
Paul Krugman, Premio Nobel dell’economia 2008
La nuova scommessa di Muhammad Yunus - dopo aver ribaltato gli assunti di base del mondo dell’economia con la sua idea di microcredito - sta nel pensare un capitalismo diverso, basato su imprese che abbiano per scopo non solo il raggiungimento del profitto ma anche la ricchezza sociale: il business sociale. In Si può fare! Yunus entra nel merito degli esperimenti di business sociale avviati in questi ultimi anni, spiegando cosa ha funzionato e cosa invece è da cambiare, grazie alla sua capacità di sapere sminuzzare i problemi in modo non convenzionale, parlando di continuo con i protagonisti, per ripensare di continuo convinzioni e procedure. Oltre al racconto dei primi passi (e difficoltà) dell’esperienza Danone in Bangladesh, si susseguono il delizioso racconto della vicenda della Mirakle Couriers di Mumbai, un social business di consegna a domicilio gestito da sordomuti poveri organizzati da un giovanotto che studia a Oxford. Oppure l’incredibile vicenda dei medici dell’Ospedale dei bambini di Firenze, che dopo aver messo a punto l’unica cura contro la talassemia a livello mondiale, dal 2007 stanno cercando di esportarne le pratiche anche negli angoli più poveri dell’Asia. O ancora la collaborazione fra la multinazionale francese Veolia e il mondo Grameen per distribuire acqua potabile purificata nel bacino dell’Himalaya in cui l’acqua è sì abbondante, ma contaminata da tracce di arsenico di origine naturale.