
La cura dei poveri è stata una caratteristica del cristianesimo sin dalle sue origini, e in questo senso si sono espresse le moderne encicliche sociali dei papi. Il contesto economico è cambiato radicalmente dalla Rivoluzione industriale in poi. L'autore di questo libro ci aiuta a comprendere questo contesto, nella convinzione che la dottrina sociale della Chiesa trarrebbe beneficio da un'analisi delle fonti e dei vantaggi della creazione della ricchezza: bisogna creare benessere, non impoverire la società. Creare ricchezza significa migliorare la vita di tutti, ed è quindi un presupposto necessario per alleviare la povertà e procurare mezzi per migliorare il benessere materiale dei più vulnerabili. Prefazione di Salvatore Rebecchini.
La nostra società è dominata da una "intemperanza frenetica", quell'inarrestabile tendenza che si manifesta nell'economia moderna attraverso l'individualismo, l'eliminazione di ogni freno inibitore e la soddisfazione di ogni passione disordinata. In questo modo si sono creati pessimi modelli di business e politiche economiche che ci hanno condotto, di crisi in crisi e all'inverno demografico. Questo libro, che unisce considerazioni di ordine teologico, filosofico, giuridico e sociologico, offre l'unica soluzione possibile: la costituzione di una "società organica" e gerarchica, orientata verso il bene comune, che si sviluppi naturalmente e spontaneamente senza l'imposizione di modelli da parte di un pianificatore centrale.
La gentilezza custodisce il segreto per instaurare relazioni solide, autentiche, di fiducia, che ci aiutano a conseguire i risultati desiderati in tutti gli ambiti della nostra esistenza privata e sociale. Non ha niente a che vedere con la manipolazione né con l'essere ben educati o manierosi. La gentilezza è un bene complesso e potentissimo, che appartiene a ciascuno di noi, ma che va riscoperto e praticato quotidianamente, perché porti i suoi frutti migliori.
Alcune delle nostre decisioni sono così folli se guardate in retrospettiva che difficilmente possiamo credere di averle mai prese davvero. Eppure sì, l'abbiamo fatto... I dubbi tormentano: scegliere "di pancia" o "di testa"? Delegare o controllare? Cambiare lavoro o restare? E se le opzioni sono troppe? Jochen Mai ci guida attraverso i risultati più recenti della psicologia cognitiva, dell'economia comportamentale e degli studi sul cervello, per svelarci i meccanismi nascosti che si attivano ogni qual volta prendiamo una decisione. Offre inoltre consigli pratici, presenta diverse tecniche decisionali, fornisce esempi concreti per affrontare le nostre prossime decisioni più consapevolmente. Identificando gli errori di ragionamento più classici in cui cadiamo e i dilemmi in cui ci ritroviamo incastrati di volta in volta, Jochen Mai ci dice come migliorare le nostre capacità decisionali, rendendoci più autonomi, meno influenzabili e più soddisfatti. Cosa influenza le nostre decisioni? Come arriviamo a maturarle? Perché oggi decidiamo una cosa e domani qualcosa di completamente diverso? Cosa distingue gli uomini dalle donne in fatto di decisioni? Cosa guida le nostre scelte in famiglia e con il partner? E al lavoro? E al supermercato? Una sola decisione buona o cattiva può cambiare il corso della nostra vita per sempre. Questa guida completa alla scienza della decisione ci insegnerà a valutare, ponderare, prendere una direzione anziché un'altra, e ci farà aprire gli occhi sulle trappole lungo il percorso che porta a una scelta, senza dovercene così pentire subito dopo.
La crisi odierna del capitalismo sta scuotendo in profondità non solo le istituzioni finanziarie internazionali e i bilanci pubblici di quasi tutti gli stati, ma gli stessi paradigmi dominanti nel campo delle scienze economiche. Occorre ripensare seriamente, in questo contesto, le possibilità stesse di un nuovo sviluppo, e avere il coraggio di rimettere in discussione premesse che sembravano fino a oggi scontate. Il nuovo paradigma-argomentano in questo libro Jean-Paul Fitoussi ed Éloi Laurent - dovrà fondarsi su un'idea di economia aperta, cioè di un'economia consapevole del suo contesto ambientale, sociale e politico. Non è infatti la teoria economica in se stessa che bisogna incriminare per i disastri attuali, ma la sua definizione ristretta come scienza di processi autonomi. La crisi alimentare ed energetica mondiale, non meno della crisi finanziaria, riporta viceversa al rapporto essenziale che deve esistere tra la ripartizione dei "mezzi di sussistenza" e la ripartizione del "diritto a sussistere", tra ecologia, giustizia sociale e democrazia. Un nuovo sviluppo potrà essere sostenibile, da questo punto di vista, solo se sarà democratico, nel senso che saprà assicurare a ciascuno il diritto a sussistere. Detto altrimenti: l'unica decrescita davvero importante è la decrescita delle disuguaglianze.
"Il compito di garantire istruzione e sanità, libertà di decisione e accesso alla finanza è troppo importante per lasciarlo al gioco delle circostanze e all'improvvisazione, per quanto generosa. […] La sola reale soluzione consiste nel testare rigorosamente le diverse politiche e nel compararne costi ed effetti."
Al cuore di questo piccolo libro c'è un'idea semplice e rivoluzionaria. La lotta alla povertà ha assorbito forze e finanziamenti ingenti, ha mobilitato coscienze e avviato progetti in tutto il mondo, ma non ha prodotto che scarsi risultati. Gli interventi talvolta funzionano e talvolta falliscono: nessuno è in grado di spiegare perché ciò avvenga e, soprattutto, nessuno è in grado di prevedere se un certo tipo di intervento avrà buone chance di successo. I politici non hanno strumenti per operare le scelte di politica sociale, gli scienziati sociali sono disarmati. È dunque necessario un nuovo modo di pensare e operare. Ciò che serve è un modo per poter valutare rigorosamente i tipi di intervento necessari. La chiave di volta ha un nome: studi controllati randomizzati. In altri termini: verificare sul campo attraverso esperimenti controllati l'efficacia dei diversi tipi di intervento possibili. Esther Duflo ha messo in atto questa nuova strategia. L'ha fatto in India, in Africa, in Messico. È andata sul campo, si è posta le domande giuste e ha allestito gli esperimenti necessari. I risultati sono stati sorprendenti. Non solo hanno spesso sfatato luoghi comuni, ma hanno prodotto effetti positivi a lungo termine. Una rivoluzione pragmatica e concettuale che ha pochi precedenti. Duflo non si è posta il compito di sradicare la povertà nel suo complesso. Si è invece posta quello di dare risposte rigorose a singoli problemi: come rendere più efficaci le campagne di vaccinazione? Come migliorare l'istruzione dei bambini con il minor investimento? Come combattere la malaria nel modo più semplice ed efficace? Così facendo ha avviato un circolo virtuoso che sta contagiando studiosi di tutto il mondo e sta cambiando dalle fondamenta il modo di fare economia.
Da tre secoli il capitalismo plasma il mondo, sostentando e condizionando le nostre vite. Nonostante sia attraversato da ricorrenti crisi interne così profonde da mettere a rischio la sopravvivenza di intere nazioni, il capitalismo continua a espandersi, incontrastato. Scopo di questo libro è capire come ciò accada e se sia inevitabile che continui ad avvenire anche in futuro. Si apre con una ricostruzione dei fatti relativi alla crisi economica che da tempo attraversa il capitalismo finanziario globale e alle innumerevoli altre crisi che hanno contrassegnato il percorso del capitalismo dal secondo dopoguerra a oggi. Questa ricostruzione porta Harvey a porre un problema classico del marxismo: quello del carattere strutturale delle crisi che il capitalismo attraversa, uscendone trasformato ma anche consolidato e rafforzato. In particolare al centro dell'analisi c'è il problema della crescita illimitata. Qui l'approccio di Harvey - classicamente marxista nelle forme ma rinnovato nei contenuti e duttile di fronte all'inedito scenario odierno - consiste nell'individuare le premesse costitutive della crescita illimitata nel meccanismo del "flusso di capitale", spiegandone il funzionamento e mostrando in che modo si tratti di un effetto interno e strutturale a un insieme di dispositivi tanto pratici che teorici, capaci di generare una sorta illusione fondativa del sistema capitalistico. Il libro si chiude con un'analisi critica delle alternative per un socialismo sostenibile.
Partendo dalla ricostruzione critica del modello di sviluppo affermatosi negli ultimi vent'anni, il libro approfondisce le origini culturali e sociali della crisi in atto. Il tema viene affrontato a partire da una domanda di solito rimossa: come mai, dopo un lungo periodo di crescita, i paesi occidentali si ritrovano indebitati, invecchiati, disuguali e depressi? Al di là degli aspetti finanziari ed economici, la crisi segna la fine del tecno-nichilismo. Per quanto faticosa, difficile e rischiosa, la crisi tuttavia è anche un'opportunità. Il problema non si risolve semplicemente attraverso interventi tecnici, ma tornando a chiedersi che cosa sia la crescita. Ciò è possibile a condizione però di mettere in discussione l'immaginario della libertà che si è affermato nei paesi occidentali, imprigionato in una concezione radicalmente individualista. Iniziando da qui si può cominciare a declinare diversamente il rapporto tra economia e società, superando un'economia basata sul consumo per entrare in un'economia basata sul valore.
Per quale ragione i poveri, in tutto simili per capacità e aspirazioni a chiunque altro, vanno incontro a destini completamente differenti? Perché restano poveri? Le loro scelte di vita sono spesso determinate da fattori che sfuggono alla logica dell'economia di mercato. Tante politiche contro la povertà sono infatti fallite proprio per un'inadeguata comprensione del problema o per la convinzione di poter applicare ricette astratte e valide per tutti, senza verificarle sul campo. Dobbiamo invece capire perché i poveri preferiscono pagare cure sanitarie inutili invece di fare vaccinazioni gratuite; come mai i bambini poveri frequentano la scuola spesso senza imparare; perché i poveri non desiderano un'assicurazione o intraprendono molte attività senza farne prosperare alcuna. L'economia dei poveri è la prima grande analisi che combinando ricerca empirica e teorica ci svela la vera natura della povertà e insegna che talvolta può bastare una piccola spinta nella giusta direzione per conseguire grossi risultati: certi sussidi simbolici con effetti tutt'altro che simbolici, azioni che consentono di ottenere di più facendo di meno, occupazioni di qualità che favoriscono la crescita e così via. Soprattutto, anche quando le difficoltà sembrano insormontabili, bisogna insistere nel porsi le giuste domande, sperimentare e nutrire speranza per affrontare la sfida di costruire un mondo senza più povertà, magari un passo alla volta.
La crisi in cui versa il capitalismo democratico tiene tutti col fiato sospeso e provoca un diffuso senso di impotenza. Nel tentativo di affrontare problemi prima inimmaginabili si adottano misure che agiscono come operazioni di emergenza a cuore aperto sul mondo occidentale, eseguite senza una vera conoscenza del decorso della malattia. La situazione è così grave che ci sembra di capire sempre meno che cosa esattamente stia succedendo e in che modo si sia potuti giungere a questo punto. Wolfgang Streeck, nelle sue Adorno-Vorlesungen di Francoforte, va alla radice della presente crisi finanziaria, fiscale ed economica, che interpreta come una fase all'interno della lunga trasformazione neoliberista del capitalismo del dopoguerra, iniziata già negli anni settanta. Facendo riferimento alle teorie critiche formulate a quell'epoca, analizza in che modo sia evoluta la fondamentale tensione tra democrazia e capitalismo nel corso di quarant'anni e quali conflitti ne siano derivati tra stati, governi, elettori e interessi del capitale. Esamina infine la trasformazione del sistema degli stati europei, da stato fiscale fondato sulle imposte, a stato indebitato, a stato basato sul consolidamento, e si interroga su quali siano le possibilità di ripristinare oggi una stabilità economica e sociale. Dal momento che il futuro che attende l'Europa è la concreta implosione del patto sociale che era stato alla base della democrazia capitalistica.
Spesso gli economisti hanno visitato il campo della criminologia, allo scopo di comprendere la logica razionale che si nasconde dietro i reati. Quando gli economisti esaminano l'attività criminale danno per scontato che i rei vadano trattati come qualunque altro attore sociale che compia scelte razionali. In "I crimini dell'economia", Vincenzo Ruggiero restituisce la visita, passando in rassegna una varietà di scuole del pensiero economico classico secondo una prospettiva criminologica. Ciascuna di queste scuole, secondo lui, giustifica quando non incoraggia i delitti che sono il risultato dell'iniziativa economica. Ruggiero analizza, tra gli altri, John Locke e la sua nozione di proprietà privata, il mercantilismo, i fisiocrati e Malthus, nonché le argomentazioni di David Ricardo, Adam Smith, Alfred Marshall, John Maynard Keynes e del neoliberismo. In ciascuno di questi quadri teorici rintraccia la potenziale giustificazione di differenti forme di "crimini dell'economia". Il libro, che si rivolge a chiunque si interessi di teoria sociale, di criminologia, di economia, di filosofia e di politica, compie un vero e proprio riesame della storia del pensiero economico, considerandolo alla stregua di una disciplina che, mentre si sforza di guadagnarsi la reputazione di scienza, in realtà mira a rendere accettabile la sofferenza sociale che produce.
La contraddizione tra realtà e apparenza, tra capitale e lavoro, tra valore d'uso e valore di scambio, tra proprietà privata e Stato capitalistico, tra monopolio e concorrenza, tra valore sociale del lavoro e sua rappresentazione monetaria... Sono diciassette le grandi contraddizioni che Harvey individua: stanno al cuore del capitalismo, alcune sono interdipendenti, tutte si intrecciano fra loro e, quando si acuiscono, producono instabilità e crisi; oggi ne mettono a rischio la tenuta. La spinta ad accumulare capitale al di là delle possibilità di investimento, l'imperativo di usare i metodi più economici di produzione che porta ad avere consumatori senza mezzi per il consumo, l'ossessione di sfruttare la natura fino al rischio dell'estinzione: sono antinomie di questo tipo che sottostanno alla persistenza della disoccupazione di massa, alle spirali discendenti dello sviluppo in Europa e Giappone, agli instabili salti in avanti di paesi come Cina e India. Non tutte le contraddizioni del capitale sono ingestibili, alcune possono condurre a quelle innovazioni che ridanno forza al capitalismo e lo fanno apparire saldo e duraturo. Tuttavia l'apparenza può ingannare: se è vero che molte delle contraddizioni del capitale possono venire gestite, altre potrebbero essere fatali per la nostra società. Per evitare un simile esito questo libro si propone tanto come un'efficace guida al mondo che ci circonda quanto come un manifesto per il cambiamento.

