
La finanza, in modo spettacolare e pervasivo, domina ormai le nostre esistenze, come individui e come collettività. Sapere cos'è veramente, con i suoi meccanismi e retroscena, e cosa succede nelle stanze dei bottoni di New York, Londra e Hong Kong è anche un primo passo per imparare a difendersi. Ma la finanza è davvero il motore occulto del pianeta? E soprattutto, è realmente l'origine di tutti i mali? Se la benzina ti costa come l'oro, i tuoi risparmi di una vita sono andati in fumo, il lavoro è diventato un miraggio per chi non ce l'ha e anche per chi ce l'aveva... è proprio tutta colpa della finanza? In questo nostro viaggio partiremo dall'ABC dei concetti fondamentali, passando in rassegna gli intermediari, i mercati e i prodotti finanziari per parlare di politica monetaria, iperinflazione e guerre valutarie. Scopriremo chi sono e cosa fanno i Gordon Gekko delle banche d'affari e di altre entità più misteriose come gli hedgefunds e i fondi avvoltoio, fino a ripercorrere la storia della crisi attualmente in corso, disegnando i possibili scenari evolutivi di una sua risoluzione. La speranza è che alla fine del viaggio ognuno possa sentirsi un po' più attrezzato per comprendere, grazie a un bagaglio di conoscenza che oggi è anche un vero e proprio kit di sopravvivenza, il magico e oscuro universo della finanza.
Negli Stati Uniti l'economia postindustriale, basata sul sapere e sull'innovazione, sta cambiando profondamente il mercato del lavoro, sia per la tipologia dei beni prodotti sia per le modalità e, soprattutto, le località in cui vengono realizzati, creando enormi disparità geografiche in termini di istruzione scolastica, aspettativa di vita e stabilità famigliare. Per alcune regioni e città, infatti, la globalizzazione e la diffusione di nuove tecnologie vogliono dire aumenti nella domanda di lavoro, più produttività, più occupazione e redditi più alti. Per altre, chiusura di fabbriche, disoccupazione e salari sempre più bassi. E poiché questa radicale ridistribuzione di impieghi, popolazione e ricchezza è un processo destinato a diffondersi nei prossimi decenni in ogni angolo del Vecchio continente, Italia compresa, le dinamiche in atto oltreoceano offrono importanti lezioni anche per i paesi europei. Di questa "nuova geografia del lavoro" Enrico Moretti traccia una mappa dettagliata: visita città in ascesa, che vedono fiorire un virtuoso intreccio di buoni impieghi, talento e investimenti, e città in declino; passeggia per le vie di Pioneer Square, quartiere trendy di Seattle, e per quelle di Berlino, la capitale più attraente d'Europa, ma anche una metropoli sorprendentemente povera; e scopre che ogni posto di lavoro creato in centri di eccellenza dell'innovazione ne genera almeno cinque in altri settori produttivi, e tutti retribuiti meglio che altrove.
Il declino dell'Occidente sembra ormai per molti un "dato di fatto", tanto evidente quanto ineluttabile; in realtà, nessuno ha ancora spiegato in modo convincente perché quei paesi che hanno raggiunto un altissimo grado di sviluppo civile, economico, politico e culturale si stiano avvitando in una spirale recessiva, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti: rallentamento della crescita, deficit di bilancio, invecchiamento della popolazione, comportamenti antisociali. Ma che cos'è che non va nella civiltà occidentale? Ciò che non va, sostiene Niall Ferguson, sono proprio quelli che una volta erano i quattro pilastri delle società dell'Europa occidentale e dell'America del Nord - il governo rappresentativo, il libero mercato, il governo della legge e la società civile - e che a partire dal XVI secolo sono stati il vero volano dell'espansione e dell'egemonia mondiale dell'Occidente, intaccati oggi da meccanismi degenerativi che li stanno sgretolando. Le nostre democrazie hanno rotto il patto fra le generazioni, scaricando il peso maggiore della crisi su figli e nipoti. I nostri mercati sono regolati da norme sempre più complesse che complicano inutilmente la situazione invece di semplificarla. Dal governo della legge siamo passati, per eccesso di burocrazia, al "governo dei legulei". E la società civile, un tempo vivacissima grazie alla libera iniziativa dei cittadini, è degenerata in società incivile, in cui ognuno pensa che i problemi degli altri non lo riguardino e aspetta pigramente...
La crisi attanaglia il Paese e ancora oggi, a cinque anni dal fallimento della Lehman Brothers, fatichiamo a intravedere una via d'uscita. Mentre i governi e gli economisti dibattono su quali misure adottare, le aziende chiudono, la disoccupazione cresce, i consumi crollano. Siamo entrati in una fase recessiva e la colpa è stata, di volta in volta, attribuita al mercato dei mutui statunitensi - i celeberrimi subprime - alla deregulation finanziaria, all'enorme peso del debito pubblico. Se in molti si sono chiesti cosa ha causato la crisi, in pochi si sono domandati chi l'ha causata. "I banchieri" sostiene Rampini "sono i grandi banditi del nostro tempo". La crisi è diretta conseguenza dei loro comportamenti perversi, dei rischi altissimi che si sono assunti, della certezza dell'impunità. La collettività sta pagando per i loro errori, per una speculazione che ha portato allo sfascio l'economia reale, e che tuttavia resta impunita. In questo libro Federico Rampini racconta chi sono i banchieri di oggi, cosa hanno fatto e come sono riusciti a sfuggire a ogni castigo, a qualsivoglia condanna, per il loro agire dissennato.
Fino a ieri sembrava che il problema della crescita riguardasse i paesi poveri, o arretrati, o "in via di sviluppo". La grande crisi del 2007-2013, la più grave dopo quella del 1929, ci sta invece mostrando che quel problema riguarda innanzitutto le società "avanzate", molte delle quali ancora stentano a uscire da una recessione che ormai dura da quasi sette anni. Ma se si guardano attentamente i dati degli ultimi cinquant'anni, e si confrontano tra loro le storie dei paesi che attualmente fanno parte dell'Ocse (il club dei paesi "sviluppati"), si scopre che la crescita era un problema, anzi un vero e proprio enigma, già prima della crisi. Perché è da mezzo secolo che l'insieme delle economie avanzate cresce a un ritmo sempre più lento. Ma anche perché fra di esse ci sono sempre stati paesi-gazzella e paesi-lumaca, con divari enormi fra i rispettivi tassi di crescita: l'Italia, per esempio, era un paese-gazzella negli anni '50 e '60, ed è divenuto un paese-lumaca negli ultimi vent'anni. Qual è il segreto della crescita? Qual è il male che corrode i paesi ricchi? E qual è la chiave che permette ad alcuni di essi di crescere ancora, nonostante tutto? È a questi interrogativi che il libro di Ricolfi prova a rispondere, attraverso un racconto che, a tratti, finisce per assumere i contorni di un giallo. Un giallo i cui protagonisti sono le teorie economiche, ma anche i modelli elaborati dai demografi e dai biologi per individuare le leggi che regolano l'evoluzione delle popolazioni...
"Bisogna uscire dall'euro. Subito. Da quando è entrata in vigore, la moneta unica non ha fatto che disastri: ci ha resi tutti più poveri, ha accresciuto le differenze tra i Paesi e ha trascinato nel suo fallimento il sogno europeo dei nostri padri. Oggi l'Europa è soltanto un mostro burocratico e antidemocratico, sempre più lontano dai cittadini e dai loro bisogni, che ci opprime con la sua tirannia fiscale e con una quantità di normative astruse. È l'Europa dei diktat e delle troike, che impone agli altri severità e concede a sé ogni beneficio, l'Europa che taglia le pensioni ai cittadini e le aumenta ai suoi burocrati, che chiede sacrifici a tutti, ma poi fa vivere i suoi 766 parlamentari nel lusso, spendendo 2 milioni e mezzo di euro in rinfreschi e 4 milioni per rinnovare il centro fitness interno al Parlamento di Bruxelles. E l'Europa che non riesce a risolvere l'annoso problema della seconda sede di Strasburgo: un palazzo da 500 milioni che resta chiuso 317 giorni l'anno e che moltiplica i costi di funzionamento, costringendo ogni mese i deputati a gigantesche transumanze con un'enorme massa di documenti al seguito. È l'Europa che mantiene 139 sedi sparse in tutto il mondo e 5366 addetti, di cui 33 alle isole Figi, 37 alle Mauritius e 44 ai Caraibi, dove l'attività più impegnativa è una corsa di macchinine elettriche. Costo totale, 524 milioni di euro..."
In "La società a costo marginale zero", Jeremy Rifkin sostiene che si sta affermando sulla scena mondiale un nuovo sistema economico. L'emergere dell'Internet delle cose sta dando vita al "Commons collaborativo", il primo nuovo paradigma economico a prendere piede dall'avvento del capitalismo e del socialismo nel XIX secolo. Il Commons collaborativo sta trasformando il nostro modo di organizzare la vita economica, schiudendo la possibilità a una drastica riduzione delle disparità di reddito, democratizzando l'economia globale e dando vita a una società ecologicamente più sostenibile. Motore di questa rivoluzione del nostro modo di produrre e consumare è l'"Internet delle cose", un'infrastruttura intelligente formata dal virtuoso intreccio di Internet delle comunicazioni, Internet dell'energia e Internet della logistica, che avrà l'effetto di spingere la produttività fino al punto in cui il costo marginale di numerosi beni e servizi sarà quasi azzerato, rendendo gli uni e gli altri praticamente gratuiti, abbondanti e non più soggetti alle forze del mercato. Il diffondersi del costo marginale zero sta generando un'economia ibrida, in parte orientata al mercato capitalistico e in parte al Commons collaborativo, con ricadute sociali notevolissime. Rifkin racconta come i prosumers, consumatori diventati produttori in proprio, generano e condividono su scala laterale e paritaria informazioni, intrattenimento, energia verde e prodotti realizzati con la stampa 3D a costi marginali...
Quando nel 1947, dopo due secoli di dominio britannico, l'India divenne indipendente, adottò subito un regime di democrazia parlamentare, che garantiva il pluralismo politico, la libertà di parola e di stampa, e la tutela dei diritti di ogni cittadino. Scomparse le terribili carestie dell'era coloniale, alla stagnazione economica subentrò un'impetuosa fase di crescita, accelerata negli ultimi decenni a ritmi tali da fare dell'India una delle prime potenze commerciali del mondo. Eppure, questi successi non hanno determinato una reale inclusione sociale delle fasce più svantaggiate della popolazione e non hanno migliorato le condizioni della stragrande maggioranza delle persone. Jean Drèze e Amartya Sen individuano la causa dei principali problemi dell'India nella mancanza di attenzione ai bisogni essenziali della gente, specialmente dei poveri e delle donne. Per affrontare queste enormi questioni, dicono i due autori, non serve che l'India abbandoni il suo impegno democratico, ma è necessario riconoscere l'importanza della relazione a doppio senso che esiste tra crescita e promozione delle potenzialità umane, tra sviluppo e progresso sociale, e sconfiggere l'illusione che il paese possa diventare una superpotenza economica con la scandalosa percentuale di bambini malnutriti che ancora la abitano e senza la piena assunzione di responsabilità del settore pubblico nel suo insieme.
Lettere riservate a capi di governo, telefonate segrete alle più alte cariche di Stati sovrani, pressioni esercitate in mille modi da poteri forti che si muovono al di fuori e al di sopra delle elementari regole democratiche. La storia del ruolo svolto in questo inizio secolo dalla Germania in Europa, e in particolare nell'Unione europea, è ancora tutta da raccontare, soprattutto in relazione alle vicende politiche dell'Italia, il paese che per decenni è stato suo partner amichevole ma anche temibile concorrente economico sui mercati mondiali. Di questa storia, Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano tracciano qui il quadro generale e non esitano a parlare di "Quarto Reich", una formula che, lungi dall'essere una banalizzazione giornalistica, è la sintesi estrema, e forse inquietante, della situazione venutasi a creare nell'area euro. In un decennio, infatti, grazie alla moneta unica e alla gabbia istituzionale dell'Unione, la Germania è riuscita a costruire sul Vecchio Continente una condizione di predominio economico e di egemonia politica. L'impossibilità di dissentire sulle leggi del rigore dettate dagli euroburocrati e ispirate da Berlino ha privato gli altri paesi membri di ogni reale sovranità economica e ha concentrato tutto il potere decisionale nelle mani delle élite e delle strutture comunitarie. Ma se per i cittadini tedeschi l'"era del Quarto Reich" significa benessere, lavoro e crescita, per le altre nazioni, soprattutto del Sud Europa, vuol dire povertà, disoccupazione e recessione.
"Una volta chiesi a Steve Jobs quale riteneva fosse la sua creazione più importante. Ero convinto mi rispondesse l'iPad o il Macintosh, invece disse la Apple. Fondare un'industria che durasse nel tempo, spiegò, era più difficile e più importante che fare un bel prodotto." A tre anni dalla sua scomparsa, Steve Jobs continua a essere studiato in tutte le business school come un modello unico di creatività, capace di coniugare in modo innovativo tecnologia e bellezza, strategia economica e fantasia. Imprenditore geniale, ma anche uomo dal carisma spietato, di lui spesso si sono messi in luce gli aspetti più ruvidi della personalità, senza considerare che questi erano parte integrante del modo in cui ha portato la sua azienda a raggiungere traguardi straordinari. Con la Apple, Jobs è riuscito a creare prodotti vincenti e a sviluppare nuove occasioni di business, rivoluzionando in pochi anni differenti settori, dall'informatica alla telefonia, dall'editoria alla musica. E questo grazie alla propria inventiva e alla determinazione con cui ha guidato la sua squadra. Partendo dai colloqui che hanno ispirato la biografia best-seller del creatore della Apple, Walter Isaacson torna a parlarci di lui, in un testo che riassume le regole e i segreti dell'eccezionale successo del geniale imprenditore che ha rivoluzionato in pochi anni il mondo dell'economia e del business.
Negli Stati Uniti l'economia postindustriale, basata sul sapere e sull'innovazione, sta cambiando profondamente il mercato del lavoro, sia per la tipologia dei beni prodotti sia per le modalità e, soprattutto, le località in cui vengono realizzati, creando enormi disparità geografiche in termini di istruzione scolastica, aspettativa di vita e stabilità famigliare. Per alcune regioni e città, infatti, la globalizzazione e la diffusione di nuove tecnologie vogliono dire aumenti nella domanda di lavoro, più produttività, più occupazione e redditi più alti. Per altre, chiusura di fabbriche, disoccupazione e salari sempre più bassi. E poiché questa radicale ridistribuzione di impieghi, popolazione e ricchezza è un processo destinato a diffondersi nei prossimi decenni in ogni angolo del Vecchio continente, Italia compresa, le dinamiche in atto oltreoceano offrono importanti lezioni anche per i paesi europei. Di questa "nuova geografia del lavoro" Enrico Moretti traccia una mappa dettagliata: visita città in ascesa, che vedono fiorire un virtuoso intreccio di buoni impieghi, talento e investimenti, e città in declino; passeggia per le vie di Pioneer Square, quartiere trendy di Seattle, e per quelle di Berlino, la capitale più attraente d'Europa, ma anche una metropoli sorprendentemente povera; e scopre che ogni posto di lavoro creato in centri di eccellenza dell'innovazione ne genera almeno cinque in altri settori produttivi, e tutti retribuiti meglio che altrove.
Herman Melville in Moby Dick immagina che nel Pequod, la baleniera comandata dal capitano Achab, viga un sistema che non discrimina, perché ciò che conta è il merito individuale, e che assegni a ciascun lavoratore-capitalista una "pertinenza", un salario, basato sulle competenze individuali e sui profitti, cosicché a tutti convenga che il capitale frutti il più possibile. È un sistema simile che in queste pagine Renato Brunetta propone anche per il nostro Paese per superare la crisi, "una grande occasione per ristrutturare, per soffermarsi a capire il mondo e le sue trasformazioni, e reinterpretare idee e teorie": una riforma radicale che preveda il passaggio da una società a retribuzione fissa verso sistemi di partecipazione dei lavoratori ai rischi d'impresa. Solo così, realizzando un "socialismo liberale" dove il salario non sarà più una variabile fissa e incomprimibile, si potrà compiere la transizione da un mondo di salariati in perenne bilico sul nulla della disoccupazione a un pianeta della piena occupazione. "Facciamo respirare la nostra società, i nostri giovani. Sviluppiamo. Investiamo. Facciamo manutenzione del nostro territorio, delle nostre case, del nostro patrimonio urbano. Restauriamo e ristrutturiamo. Modernizziamo, costruiamo le reti del nostro futuro. Togliamo la gente dalle scrivanie della pigrizia statale. Aggiusteremo la rotta in mare aperto. Questa è l'utopia positiva".