
Negli ultimi tre decenni l'Occidente ha visto crescere i divari tra chi sta in basso e chi sta in alto per reddito, patrimonio e accesso alle opportunità come scuola, sanità e lavoro. La classe media si sta progressivamente sgretolando, schiacciata tra redditi anemici e costi sempre più elevati. E l'ascensore sociale è guasto: per chi viene da una famiglia povera occorrono quattro generazioni e mezza, circa centotrentacinque anni, per arrivare al reddito medio. Poi è arrivata la pandemia, che ha generato la peggiore crisi sanitaria da cent'anni e una brutale crisi economica e sociale che si è accanita contro i più vulnerabili: i lavoratori con basse qualifiche, i precari, i migranti, le donne, i giovani. Stridenti le contraddizioni per il sistema formativo: la tecnologia digitale ha permesso la didattica a distanza, ma per i bambini di famiglie a basso reddito le possibilità di studiare con le nuove modalità sono state esigue. Le conseguenze rischiano di essere di lungo termine. Come ricostruire un tale tessuto sociale sfibrato? La solidità delle società occidentali si misurerà proprio dalla nostra capacità di immaginare un mondo migliore, migliore anche di quello da cui siamo usciti, affrontando non solo i fattori contingenti ma anche quelli strutturali. Prefazione di Ignazio Visco.
Viviamo in una situazione paradossale. La scienza dei nostri giorni nasce - sotto vari profili - come bene pubblico, ma finisce con l'essere privatizzata. Questo meccanismo di privatizzazione della conoscenza produce diseguaglianza sociale e contribuisce ad una distribuzione disomogenea dei redditi e dei patrimoni che sta minando le fondamenta degli stati e la convivenza sociale. Salute umana, cambiamento climatico, governo dei dati: sono queste le sfide cruciali per la prossima generazione. Non è possibile affrontarle senza smettere di trasformare la scienza in un bene privato. Occorre invece creare infrastrutture pubbliche ad alta densità di conoscenza, sintesi ideale del modello dell'infrastruttura di ricerca e di un nuovo tipo di impresa pubblica.
Mangiamo poche specie vegetali e pochissime varietà, tutte uguali le une alle altre. Esteticamente perfette. È un fatto naturale? Assolutamente no. È un fatto neutro e senza conseguenze? Assolutamente no. Nel corso dell'ultimo secolo si è perso il 75% delle piante e dei frutti commestibili a favore di varietà esteticamente perfette. Le mele che acquistiamo al supermercato sono, infatti, il risultato di una selezione genetica che le ha rese identiche le une alle altre. Il kiwi giallo o l'uva senza semi che hanno invaso i mercati, sono gestiti da potenti club che oggi decidono chi e come può coltivare frutta sotto brevetto. Pochi e potenti gruppi industriali hanno estromesso dal mercato altre varietà, riducendo drammaticamente l'agrobiodiversità e imponendo un modello produttivo che ha radicalmente trasformato l'agricoltura, rendendo i coltivatori dei semplici licenziatari. Una inchiesta sul campo che, per la prima volta, mette in luce le nuove forme di controllo del cibo e i rischi per la biodiversità.
Prevedere il futuro è impossibile. Chi poteva lontanamente prefigurare centocinquant'anni fa la diffusione delle automobili? Cent'anni fa l'avvento del personal computer? Cinquant'anni fa la capillare dominazione di internet? Il lungo termine, come amano dire gli economisti, è sempre capricciosamente diverso da come ogni generazione se lo immagina. Ma è proprio un economista a tentare con questo libro l'impresa, non quella di fare esercizi di futurologia, ma quella di cercare di articolare il futuro in alcuni campi del sapere interrogandone i più autorevoli esperti: dalla scienza all'istruzione, ai computer sempre più intelligenti, all'economia, ai media, all'urbanistica, al clima.
Il tasso di occupazione è considerato un indicatore fondamentale dello sviluppo di un paese: peccato che sia sempre più elevato anche in Europa il numero di lavoratori poveri. La costruzione delle identità personali e collettive è ancora legata al proprio ruolo professionale. Peccato che i ruoli professionali siano sempre più precari e frammentati. Insomma, il lavoro non basta più: sono necessarie urgenti misure che restituiscano stabilità economica e, con questa, fiducia nel futuro. L'introduzione del salario minimo, la promozione di contratti stabili e la revisione della tassazione sul lavoro rispetto a quella sui patrimoni sono i primi interventi urgenti che aiuterebbero il benessere collettivo.
Al cuore della crisi economica e finanziaria degli ultimi anni c'è un problema evidente: nel moderno capitalismo l'estrazione del valore, ovvero la raccolta dei profitti - dai dividendi degli azionisti ai bonus dei banchieri - è ricompensata assai meglio della creazione effettiva di valore. Oggi scambiamo chi raccoglie i profitti con chi effettivamente crea valore, chi guadagna con chi produce. Quel concetto di valore così centrale nella storia del pensiero economico - basti pensare alle riflessioni di Ricardo, Marx, Schumpeter e Keynes - oggi è misconosciuto o distorto tanto nella teoria quanto nella prassi. Se vogliamo riformare il capitalismo dobbiamo porci una serie di domande radicali: da dove viene la ricchezza? Chi crea il valore? Chi lo estrae? Chi lo sottrae? Solo rispondendo a queste domande possiamo sostituire l'attuale sistema capitalistico di tipo parassitario con un capitalismo più sostenibile, più interdipendente: un sistema che funzioni per tutti.
In tutto il mondo, negli ultimi trent'anni, imprese private e governi si sono affidati sempre più spesso a società di consulenza per ricevere consigli sulla propria gestione o sugli orizzonti strategici da perseguire. L'esito è stato disastroso: l'affidamento delle nostre economie a società come McKinsey & Company, Boston Consulting Group, Bain & Company, PwC, Deloitte, Kpmg ed Ey non ha soltanto bloccato l'innovazione, ma ha reso sempre più opaca e meno trasparente la responsabilità politica e aziendale. L'industria della consulenza ha messo in atto un vero e proprio inganno nei confronti di governi svuotati e avversi al rischio e di aziende che si preoccupano unicamente di massimizzare il valore per gli azionisti. Un inganno reso possibile dall'enorme potere che queste mega società esercitano attraverso contratti e reti di relazione ampie - consulenti, lobbisti e outsourcer - e dal presentarsi come i veri detentori di competenze e capacità oggettive. Questo libro rompe il silenzio sulle società di consulenza mostrando come indeboliscono le imprese, infantilizzano i governi e distorcono l'economia. A riprova degli esiti disastrosi del loro operato, vengono portati casi internazionalmente significativi, tra cui - ed è solo un esempio - i tragici fallimenti dei governi nel rispondere in modo adeguato alla pandemia di Covid-19. Il risultato è un'analisi originale e sorprendente che ci porta a conoscere il cuore pulsante dell'economia contemporanea.
Nuove e profonde contrapposizioni lacerano il tessuto sociale delle società occidentali: grandi città contro province povere, élite altamente specializzate contro masse di lavoratori poco qualificati, paesi ricchi contro paesi poveri. Queste lacerazioni generano nuove ansie, nuova rabbia e nuove passioni politiche, come testimonia l'ondata di consensi ricevuti dai populisti di tutto il mondo, da Trump al partito della Brexit, sino all'estrema destra italiana. In questo libro appassionato e polemico, Paul Collier, uno dei maggiori esperti mondiali su povertà e migrazioni, prova a delineare i percorsi attraverso i quali superare queste nuove fratture economiche, sociali e culturali. Solo se il capitalismo riesce a darsi un fondamento etico tale da rendersi equo e compassionevole, e non solo efficiente ed economicamente fiorente, potrà garantire una vita degna. Un capitalismo in cui la dignità e la reciprocità prevalgano sull'aggressività, sulla paura e sull'umiliazione, caratteri tipici della nostra 'società dei rottweiler'.
Dal 1973 al 1992 l'inflazione ha condizionato pesantemente la vita economica del nostro paese. Oggi è ricomparsa con forza sulla scena, con il rischio di riaccendere tensioni finanziarie e di riaprire conflitti sociali che pensavamo di aver relegato per sempre al nostro passato. In questo libro Ignazio Visco, Governatore della Banca d'Italia, propone una rilettura del dibattito economico e politico intorno all'inflazione, anche sulla base di saggi scritti in anni passati e di documenti inediti. Soprattutto, si domanda quali lezioni possiamo ricavare dalle esperienze passate e quanto queste siano ancora utili per affrontare le sfide del presente. Come si può rispondere ai gravi shock degli ultimi anni, senza che le reazioni agli aumenti dei costi di produzione e alle perdite di potere di acquisto rendano il rientro dell'inflazione particolarmente lungo e difficile? Con quali interventi può il Consiglio direttivo della BCE, che opera con riferimento all'intera area dell'euro, assicurare il ritorno alla stabilità dei prezzi? Gli aumenti dei tassi di interesse ufficiali saranno appropriati? E come si uniranno, nelle decisioni di politica monetaria, coraggio e lungimiranza?
C'è stato un tempo, non così lontano, meno di cento anni fa, in cui l'idea di lavorare 'solo' cinque giorni alla settimana invece di sei sembrava una provocazione irrealizzabile, tanto da essere fortemente osteggiata. Abbiamo invece scoperto che due giorni liberi per tutti non hanno fatto precipitare la produttività né interrotto il progresso o messo in crisi il capitalismo. Oggi ci troviamo di fronte a una nuova sfida che potrebbe essere una risposta efficace rispetto agli enormi cambiamenti avvenuti nell'organizzazione del lavoro e che potrebbe consentire anche un miglior equilibrio tra tempi dedicati alla propria professione e tempi dedicati al privato, con benefici anche dal punto di vista dell'equilibrio di genere e della crescita armonica dell'intera società. Una settimana lavorativa di quattro giorni stimolerebbe la domanda, farebbe crescere l'innovazione e la produttività, ridurrebbe la disoccupazione, ridurrebbe le disuguaglianze, ci renderebbe più felici. Se vi piacerebbe poter dire: «Finalmente è giovedì!», questo libro è per voi.
È vero, il regionalismo italiano funziona male. La soluzione sta nella proposta di un'autonomia regionale differenziata? Ma questa non determinerebbe una secessione di fatto delle regioni più ricche? Gianfranco Viesti, uno dei principali esperti di coesione territoriale, ci guida nel dipanare una materia tanto intricata quanto decisiva.
La cultura è segno di identità nazionale, ma anche un fattore fondamentale per la crescita economica e sociale del Paese e dei territori. È questa la convinzione alla base di Impresa Cultura Italia-Confcommercio e la valorizzazione, la maggiore diffusione e accessibilità della cultura, dei beni e delle attività culturali sono tra i suoi principali obiettivi. Cosa definisce i confini di un'impresa culturale e ne caratterizza il mercato di riferimento? Come si realizza l'idea di 'servizio culturale'? Come impatta il cambiamento dei consumi sull'offerta artistica e creativa nell'epoca post-Covid? Come risponde il mercato della formazione ad antiche e nuove esigenze di pubblico e imprenditori, per valorizzare non solo i talenti artistici ma anche gli investimenti imprenditoriali? Attraverso le voci di oltre trenta diversi interpreti, nazionali e internazionali, del mercato e della formazione in campo creativo e culturale, questo libro prova a dare alcune risposte e pone le basi per nuove domande sulla necessità di questo mondo di essere riconosciuto nella sua complessità.

