
«Quando gli elefanti litigano, povera l’erba…». In altre parole, quando lo Stato e il mercato litigano, poveri voi...
«Nella modernità liquida raramente una cosa mantiene la sua forma abbastanza a lungo da ispirare fiducia e da solidificarsi in affidabilità. Camminare è meglio che rimanere seduti, correre è meglio di camminare e fare surf è ancor meglio di correre». La tempesta perfetta provocata dall’attuale tsunami finanziario si è abbattuta sulla società liquida di consumatori che aspettava soltanto una nuova onda su cui ‘surfare’. Ad andare in pezzi è l’utopia dominante di questi anni, quella che vedeva il dominio di un mercato capace di autoregolarsi, in cui esisteva soltanto un contatto armonioso tra chi vende merci e chi le acquista. Una fede che assegnava al credito al consumo un ruolo ‘magico’, finanziando tutti senza alcuna precauzione, declassando lo Stato semplicemente a garante della fluidità di questo scambio. Lo stesso è avvenuto per la cultura il cui slogan è diventato «massimo impatto e obsolescenza immediata»: le idee si sono trasformate in merci da accatastare sugli scaffali di un supermercato globale dove devono attrarre l’attenzione dei consumatori immediatamente ed essere sostituite in pochissimo tempo. Nella fase ‘solida’ della modernità un sistema culturale doveva offrire norme rigide e narrazioni coerenti alle quali conformarsi, nei nostri tempi liquidi, all’opposto, suggestioni ed emozioni che seducono e non implicano obblighi e responsabilità. Una massa di informazioni e di sapere colorata e affascinante, pronta a soddisfare bisogni sempre più parcellizzati ed individuali, in cui non esiste una gerarchia centrata sull’importanza e la qualità. Zygmunt Bauman, con la consueta chiarezza e grazie all’uso di metafore potenti, mostra come la crisi attuale non riguardi soltanto l’economia, ma la capacità stessa della nostra società di trasmettere conoscenza e valori attraverso l’educazione. Una sfida incomparabile con quelle del passato e destinata a segnare il nostro futuro: «l’arte del vivere in un mondo più che saturo di informazioni deve essere ancora acquisita. E ancor di più lo deve la ben più difficile arte di educare gli esseri umani a questa vita».
"Non ci sono più le famiglie di una volta"; "Stiamo diventando sempre più vecchi: ci aspetta un futuro di povertà"; "Gli italiani non vogliono più avere bambini"; "L'unico investimento sicuro è il mattone"; "Nel nostro paese ci sono troppi immigrati": sono alcuni dei luoghi comuni che ascoltiamo ogni giorno. Luoghi comuni basati su paure e incertezze per le possibili conseguenze di alc cambiamenti della nostra società, fra cui la sempre maggiore longevità e l'aumento delle migrazioni globali. Nel clima di vera e propria rivoluzione demografica che sta toccando tutti i momenti cardine della vita degli italiani, la prima sfida che bisogna affrontare è alle mentalità individuali. Gianpiero Dalla Zuanna e Guglielmo Weber smontano pregiudizi e descrizioni sommarie per comprendere cosa sta veramente accadendo nel nostro paese e restituire un'immagine dell'Italia fondata su numeri e dati reali perché "il senso comune si nutre di miti, il buon senso di fatti".
C'è un giallo da risolvere: spiegare la 'strana' mancata morte del neoliberismo. "Al cuore dell'enigma c'è il fatto che il neoliberismo realmente esistente è meno favorevole, di quanto dica di essere, alla libertà dei mercati. Esso, al contrario, promuove il predominio delle imprese giganti nell'ambito della vita pubblica. La contrapposizione tra Stato e mercato, che in molte società sembra essere il tema di fondo del conflitto politico, occulta resistenza di questa terza forza, più potente delle altre due e capace di modificarne il funzionamento. Agli inizi del ventunesimo secolo la politica, proseguendo una tendenza iniziata già nel Novecento e accentuata dalla crisi, non è affatto imperniata sullo scontro tra questi tre soggetti, ma su una serie di confortevoli accomodamenti tra di loro".
Nelle società dell'ultimo miliardo la democrazia ha fatto aumentare la violenza politica invece di ridurla. Per quanto riguarda l'Africa, l'unica regione i cui dati complessivi sono disponibili, dal 1945 a oggi, 82 sono stati i colpi di Stato riusciti, 109 i tentativi falliti e 145 i complotti sventati sul nascere. Un altro dato: nei 58 paesi a basso reddito che Collier prende in esame, 9 miliardi di dollari vengono spesi in armi, il 40% dei quali è finanziato dagli aiuti per la cooperazione della comunità internazionale. Eppure molti di questi paesi non sono più coinvolti in guerre civili o di confine e negli ultimi decenni hanno avuto libere elezioni. Allora perché? Perché sono paesi i cui governi sono solo apparentemente democratici e non garantiscono né i diritti basilari né le libertà delle persone. "La ragione pura e semplice per cui nei paesi dell'ultimo miliardo gli effetti della responsabilità e della legittimità della democrazia non fanno diminuire il rischio di violenza politica è che in quelle società la democrazia non è né responsabile né legittima." Questa la cattiva notizia. La buona è che ci troviamo di fronte a una situazione drammatica soltanto perché non siamo stati in grado di gestirla con competenza.
"Quando un innovatore ha l'idea di un nuovo prodotto, ne produce delle copie da mettere in vendita: quelle copie dell'idea sono di sua proprietà esattamente come i suoi calzini e decide lui quante venderne e a che prezzo. La vendita riguarda sempre e solamente le copie: le copie di un'idea si possono vendere, non l'idea stessa. In assenza di monopolio intellettuale, una volta che io abbia venduto volontariamente una copia della mia idea ad altri - per esempio una copia di questo libro - costoro diventano i proprietari di quella copia mentre io serbo la mia idea insieme a tutte le altre copie che ho stampato ma non ancora venduto. Effettuata questa vendita, gli acquirenti possono fare ciò che pare loro più appropriato con le copie della mia idea, nello stesso modo in cui possono fare ciò che pare loro con il tritaghiaccio che avevano comprato ieri da qualcun altro. Senza proprietà intellettuale, in particolare, gli acquirenti di questo libro potrebbero dedicare del tempo e delle risorse per farne delle nuove copie al fine di rivenderle: se ne cambiassero il titolo oppure il nome degli autori o se si lanciassero in qualche inganno fraudolento, si tratterebbe di plagio, non di violazione della proprietà intellettuale; ma se cambiassero la copertina, o perfino se modificassero il testo, inserendo un chiaro riferimento agli autori originali - non verrebbe violato alcun diritto di proprietà." È la tesi controcorrente e provocatoria di Michele Boldrin e David K. Levine.
Gli stati sono sostituiti, nella disciplina dell'economia, da istituzioni sovranazionali; l'ordinamento nazionale è parte di quello comunitario, al quale deve adeguarsi; il diritto comunitario finisce per stabilire le teste di capitolo del diritto pubblico dell'economia: sono solo alcuni degli importanti mutamenti con cui si è chiuso il secolo XX. In questo complesso sistema, quali sono i rapporti tra Stato ed economia in Italia? Come si sono sviluppati dall'Unità a oggi? Quale parte hanno l'Unione europea e la globalizzazione nella modificazione di tali relazioni? Accanto a un bilancio storico dell'intervento economico nel suo assetto tradizionale, i capitoli di questo volume forniscono una attenta analisi dei rapporti attuali Stato-economia e seguono le trasformazioni e le prospettive aperte dalle politiche dell'Europa unita. Questa quinta edizione, diretta e coordinata da Sabino Cassese, è il frutto di una completa revisione del precedente manuale.
Ogni ricco ha il reddito di cento poveri. Non è l'Inghilterra di Dickens, è l'Italia di oggi. Redditi e ricchezza si sono concentrati nelle mani di una persona su dieci. Le altre nove - quasi tutti noi - stanno peggio di dieci anni fa, sono i 'perdenti', divisi in mille modi - tra uomini e donne, tra vecchi e giovani, tra Nord e Sud - ma uniti dal declino. Com'è potuto succedere? Togliere ai poveri per dare ai ricchi, rendere il lavoro più debole e il capitale più forte è da trent'anni l'orizzonte del liberismo. Da qui ha origine la crisi attuale, in Europa e in Italia. Ma un'alternativa c'è, ci meritiamo un altro futuro.
"Poche sono le politiche pubbliche che hanno bisogno di analisi accessibili e spassionate quanto l'immigrazione. In questo libro voglio scuotere le posizioni che si sono ormai polarizzate: da un lato l'ostilità nei confronti dei migranti, intrisa di accenti xenofobi e razzisti, ampiamente diffusa tra i comuni cittadini, dall'altro lo sprezzante ritornello delle élites liberali, condiviso dagli studiosi delle scienze sociali, secondo cui la politica delle porte aperte è un imperativo etico che in più garantisce grandi benefici."
C'è una vastissima quantità di esperti e commentatori che trattano l'ordine economico corrente, basato sulla ricerca dell'interesse individuale e sull'esistenza di mercati privi di impedimenti, come l'unico ordine realizzabile. In questo libro si afferma che tutti i sistemi economici poggiano su norme e convinzioni sociali. Tantissimi economisti di professione danno a tal punto per scontate le norme del capitalismo che con il tempo queste ultime sono diventate invisibili e hanno creato l'illusione che non ci sia nessuna norma. In verità, senza di esse il capitalismo crollerebbe. Tutto ciò lascia intendere che una società più egualitaria e più giusta di quella in cui viviamo attualmente sia possibile. Ci sono prove a sufficienza, oltre che ragioni a priori, per credere che gli esseri umani siano capaci di rinunciare a sfruttare ogni opportunità per il proprio guadagno personale. Scopo di questo libro è stendere la roadmap intellettuale per sviluppare una grammatica del dissenso.
Lezioni dalla crisi è una guida d'autore alla crisi economico-finanziaria. E un racconto che con linguaggio semplice e divulgativo aiuta a capire le ragioni delle difficoltà che tutti ci troviamo ad affrontare: dalle loro origini lontane agli impatti che più direttamente interessano tutti gli italiani. Giuliano Amato, che nel '92 ha affrontato una precedente crisi da Presidente del Consiglio salvando - secondo molti - l'Italia, dà il suo punto di vista, ma soprattutto - con il vicedirettore del "Sole 24 Ore" Fabrizio Forquet - spiega, racconta, rende chiaro. Lo spread, i Btp, il fondo Esm perdono la loro sacralità astratta e scendono tra noi. Il lettore viene portato a capire e a volte a sorridere. La crisi viene spiegata come quella di un matrimonio che sta saltando, la finanza speculativa viene raccontata nei suoi meccanismi in fondo elementari. "Pinocchio", dice Amato, "passò da babbeo quando, credendo al Gatto e la Volpe, seminò zecchini d'oro sperando di trovarne di più. Oggi con la finanza del nostro tempo sarebbe al vertice di una grande banca d'affari americana".
Il lavoro nel mondo avanzato vale sempre meno e non riesce più a garantire il tenore di vita che credevamo di aver conquistato per sempre. Fra le cause della sua perdita di valore ci sono la tecnologia, che consente di sostituire con le macchine il lavoro umano in un numero crescente di attività, e la globalizzazione, che spinge per il trasferimento di industrie e società verso paesi dove il costo del lavoro è più basso. Gli effetti sono perversi: da una parte c'è un crescente trasferimento di ricchezza dai paesi occidentali consumatori ai paesi emergenti produttori; dall'altra nei paesi industrializzati la ricchezza prodotta si sposta dal lavoro al capitale nelle mani di gruppi ristretti mentre la grande maggioranza vede il suo reddito crescere marginalmente, fermarsi o diminuire, con un grande aumento delle disuguaglianze. A questo si somma il prezzo altissimo pagato dalle ultime generazioni condannate al precariato e indebolite da una progressiva riduzione delle garanzie offerte dallo stato sociale. Poiché il lavoro non è più il modo per costruirsi un futuro migliore, gli effetti sono profondi anche sui valori e sui meccanismi sociali. Prevale l'individualismo, la protezione dei propri interessi visti in contrapposizione con quelli collettivi, e peggiora la qualità stessa della democrazia, che fa sempre più fatica a trovare la somma di interessi individuali nella sintesi del bene comune.
"... a un figlio - beh, veramente a tre: Lidia, Fabio e Adrian, nell'ordine. Ricordi, Adrian, quando eri a scuola e ti chiedevano cosa faceva tuo padre? Tu farfugliavi: economista, giornalista... economista giornalista... giornalista... economista... giornalista economico... Ma, alla fine, capivano quello che faccio? No, rispondevi. Ma almeno tu lo capisci? Veramente neanch'io, confessavi. Questa mi sembra già una ragione sufficiente per scrivervi un libro..." (Fabrizio Galimberti)