
Questo libro presenta il grande tema della flessibilità nel mondo del lavoro rivolgendo l'attenzione alle categorie sociali più coinvolte dal fenomeno, i giovani e i protagonisti dei nuovi lavori emersi nell'ultimo decennio soprattutto. L'accesso al mondo del lavoro, purtroppo per molti giovani italiani, non avviene in base al merito, ma ad altri fattori che potremmo definire di tipo familiare. Molto spesso è la famiglia di provenienza a determinare lo sbocco professionale dei ragazzi e quindi anche la mobilità sociale. Una recente ricerca rivela che i figli di imprenditori, professionisti, dirigenti, impiegati di livello elevato, pubblici e privati, hanno una probabilità di permanere nella stessa categoria, 17 volte superiore ai ragazzi di altra condizione. In altri paesi equiparabili all'Italia, come la Germania, le probabilità sono 7 volte superiori e negli Stati Uniti 6 volte circa. Il mondo del lavoro oggi è caratterizzato da una molteplicità di novità e innovazioni. Molti sono i cambiamenti intervenuti che hanno mutato il volto del mercato del lavoro rispetto al passato, quando l'omogeneità e una chiara identificazione dell'apparato produttivo e della forza lavoro costituivano l'elemento distintivo del sistema di produzione dominante.
Una approfondita critica al sistema capitalista internazionale
Per comprendere il capitalismo, o meglio i capitalismi nelle varie forme assunte nell'attuale fase di mondializzazione, dobbiamo rispondere ad alcune domande fondamentali: come si organizza il lavoro? Come funzionano i mercati? Chi determina l'ammontare dei profitti e l'ammontare dei salari? Chi determina le tecnologie? Perché alcuni lavoratori guadagnano più di altri? Che cosa è una crisi e quando assume un carattere strutturale invece che congiunturale? Le risposte che si possono dare a questi interrogativi dipendono in larga misura dalla prospettiva con cui guardiamo la realtà economica, cioè dal tipo di teoria che si decide di adottare per interpretarla. Questo lavoro ha un oggetto delimitato nel tempo e nello spazio. Non è un'esposizione della cosiddetta "economia pura", ma si offre come guida alla comprensione della fase attuale di mondializzazione della produzione e riproduzione sociale in forma capitalistica e della sua crisi strutturale e sistemica, con riferimenti alla teoria del modo capilatistico di produzione come processo complessivo. In questo senso si tratta di economia applicata e non della dizione accademica che individua le varie economie applicate: all'ambiente, all'ingegneria, alla sociologia, ecc. Per giungere a tale risultato, ci vuole quella "cassetta degli attrezzi" che ha permesso a Marx di appropriarsi degli strumenti dell'economia politica per poi sottoporli a critica serrata, realizzando quindi, sempre in chiave scientifica, una teoria complessa per il loro superamento e, con esso, per il superamento del modo di produzione capitalistico.
Una radicale messa in questione del sistema economico mondiale
Il capitalismo era così inevitabile come spesso si afferma e si suppone? Il modo di produzione capitalistico e la sua struttura sociale furono migliori o peggiori rispetto ad altri modi sperimentati dalle società umane? Jaffe cerca la risposta sul piano storico e su quello politico. Ripercorre a grandi tappe la storia delle maggiori aree del mondo e ne mostra le variate linee di sviluppo, interrotte tutte dall’impatto violento con il mondo dei soldati, degli amministratori, degli imprenditori, che dall’Europa e poi anche dagli Stati Uniti d’America si impadronirono dei loro commerci e della loro economia, determinandone le trasformazioni politiche e sociali. Questo dominio produsse innumerevoli vittime, distrusse città e opere d’arte, destrutturò economie e reti di commercio, con un bilancio che resta fortemente negativo per la maggior parte del mondo, che lo subì. Dall’inizio e fino ad oggi, prima il colonialismo, poi l’imperialismo alimentano in modo decisivo il capitalismo occidentale. Questo processo disegna la grande divisione tra i paesi che producono il plusvalore del mondo e i paesi che lo incassano. Marx capì l’importanza essenziale del colonialismo per la nascita del capitalismo, ma, contrariamente a Lenin, gli sfuggì il ruolo determinante che esso continuava ad avere, nella forma dell’imperialismo. Malgrado le aspettative del marxismo eurocentrico, nei paesi che vivono del plusvalore internazionale e lo redistribuiscono al loro interno non si è mai formata una classe in grado di realizzare una rivoluzione socialista, tanto meno di guidarne la diffusione mondiale. Le uniche rivoluzioni socialiste cui abbiamo assistito nel secolo scorso sono avvenute in alcuni dei paesi produttori di plusvalore, i cui contadini e operai lottarono per liberarsi dalla dipendenza dal capitalismo. Se il parametro di giudizio è l’umanità che compie il suo destino di libertà e uguaglianza, possiamo ancora dire che il capitalismo fu necessario?
Questo libro introduce un concetto fondamentale per le future sorti dell'umanità. Estranei alla dimensione privata e al valore commerciale, ma anche all'alternativo privato e statale, i beni comuni sono riemersi nella notte dei tempi diventando la bandiera dei movimenti progressisti mondiali che cercano una via d'uscita dal capitalismo. Il recupero dei diritti delle comunità sui beni comuni, la loro riappropriazione delle risorse naturali rappresenta un nuovo paradigma di società organizzata a livello locale e a partecipazione democratica, ecologicamente sostenibile, integrativo e in parte anche sostitutivo del mercato, da rilanciare anche nei paesi del Nord.
All’inizio del secondo decennio del XXI secolo la terra si presenta abitata da circa 7.000 milioni di persone, che si possono considerare divise in circa 2.000 milioni nei paesi industrializzati (Nord America, Europa, Russia, Giappone, Australia), in circa 3.000 milioni nei paesi in via di industrializzazione (Cina, india, Brasile, Sudest asiatico, eccetera) e in circa 2.000 milioni nei paesi poveri e poverissimi, per lo più in Asia, Africa, America latina.
Si usa caratterizzare i diversi paesi e il loro sviluppo economico con l’indicatore PIL, prodotto interno lordo, un numero che indica la quantità di denaro che scorre attraverso ciascun paese in un anno. Le singole persone tuttavia non mangiano, non si muovono, non abitano, non comunicano con i soldi, ma con delle cose materiali, tratte dalla natura e trasformate in prodotti commerciali, utili: grano e benzina, cemento e acqua, eccetera. Anche i beni apparentemente immateriali, come il parlare, la stessa felicità e dignità umana non sarebbero accessibili se non ci fossero fili elettrici, telefoni, abitazioni decenti, letti di ospedale, banchi di scuola, tutti «beni» fatti di metalli, legno, plastica, eccetera.
«Dentro» ciascun oggetto, ciascun prodotto fabbricato, ciascuna merce, ci sono materie fisiche, ma anche storie di personaggi, di inventori, di lavoro, di fatica umana.
Questo libro vuole raccontare alcune di queste storie di sostanze chimiche e di persone. È intitolato «dizionario» perché gli argomenti sono predisposti in ordine alfabetico, ma naturalmente si tratta di pochi argomenti rispetto all’universo quasi infinito di merci e oggetti che ci circondano.
I filosofi del Settecento scrissero un dizionario delle cose tecniche, intitolato Enciclopedia ragionata delle arti e mestieri. I chimici dell’Ottocento scrissero vari dizionari ed enciclopedie merceologiche, con un numero sempre più grande di «voci» a mano a mano che arrivavano altre innovazioni tecniche. Oggi sarebbe praticamente impossibile scrivere un dizionario universale delle merci e delle cose materiali.
Il lettore dovrà accontentarsi di queste poche schede che riguardano una minima frazione dei circa 60 miliardi di tonnellate di materiali che circolano intorno a lui, fra alimenti, fonti di energia, macchinari e manufatti industriali. Acqua esclusa, perché quella entra ed esce dalle case, dai campi e dalle fabbriche di tutto il mondo in ragione di circa 4.000 miliardi di tonnellate all’anno.
Se il lettore sarà incuriosito e indotto a guardarsi intorno con un po’ di curiosità e meraviglia per il mondo delle cose che gli permettono di vivere e lavorare, l’autore si sentirà soddisfatto.
Perché siamo sottomessi agli imperativi dell'economia? La visione del mondo che ci propone questa disciplina è davvero realistica? È possibile concepire diversamente la produzione, il consumo e lo scambio? Partendo dalla storia e dall'antropologia, questo saggio rimette in discussione i presupposti dell'economia dominante, affermatisi nel corso dell'Ottocento e ormai divenuti obsoleti. L'egemonia del mercato, la lotta contro la scarsità e l'ossessione della crescita conducono all'abbondanza oppure alla penuria generalizzata? Con uno sguardo lucido e originale sulle diverse crisi - economica, finanziaria, energetica e alimentare - che ci minacciano, Gilbert Rist propone un altro modo di pensare la società e di affrontare i problemi ecologici, invitando alla costruzione di un nuovo paradigma economico.
Nel 1994 l'economista inglese Hosea Jaffe componeva questo breve libro unendo tre testi e realizzando un'opera totalmente politically incorrect. La Germania stava prendendo per mano l'Europa, non solo per farle pagare la sua unificazione, ma per costringere i Paesi europei mediterranei a un'impossibile rincorsa al PIL e ad altri parametri dello sviluppo, distraendoli da politiche sociali, cioè da quella conquista che fu lo "Stato sociale". Politiche di ostacolo al progetto delle multinazionali tedesche - e non solo tedesche - e della Bundesbank, il tutto con l'aggiunta del keynesismo di guerra, il ricorso, cioè, a guerre locali devastanti ed ecologicamente catastrofiche, spesso giustificate con pretesti umanitari. La Comunità Europea, trasformata in Unione Europea dell'Euro, seguendo la Germania, ha aumentato il divario poveri/ricchi all'interno e ha reso neocolonia il suo Est. Ha condotto alla crisi profonda i suoi membri mediterranei e non solo, ha reso abituale il ricorso a interventi militari, ha esautorato il pensiero e l'azione politica. L'economista inglese di origine sudafricana, allora nei suoi 74 anni, aveva previsto con drammatica lucidità la corsa nel fosso dei Paesi europei, come i ciechi del dipinto di Bosch. Ripubblicare questo libro, a diciotto anni di distanza, ha il significato di dirsi che "capire è possibile": si vedeva da allora la corsa allegorica nel fosso dei Paesi europei e i costi deflagranti per le periferie dell'Europa e per altri Paesi colonizzati dall'Europa stessa.
Ci troviamo nel bel mezzo di una crisi sistemica senza un programma di socializzazione di massa dell'attività produttiva, e in un contesto di accanita competizione internazionale fra poli imperialisti, con uno scontro sempre più duro e frontale fra area del dollaro e area dell'euro-marco. La Germania controlla la sua crescita incentrandola sull'export e necessita del deficit dei paesi europei dell'area mediterranea, i cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), inclusa anche la Francia, in quanto l'acquisto da parte del sistema bancario e finanziario tedesco dei titoli del debito pubblico di questi paesi rappresenta una forma di investimento del proprio eccedente accumulato con le esportazioni. In concreto, il surplus della bilancia commerciale tedesca è reso redditizio dall'investimento nel debito dei paesi europei con bilancia commerciale in deficit. Ed è proprio il sistema bancario tedesco che gestisce tale eccedente, compreso quello di altri paesi del Nord Europa. Alla fine, la politica applicata difenderà ovviamente gli interessi dei più forti, in questo caso dei paesi esportatori dell'Europa centrale, rispetto ai deboli paesi europei della periferia mediterranea. In pratica, salvare l'Unione Europea e quindi il modello di export tedesco significa semplicemente distruggere le possibilità autonome e autodeterminate di sviluppo dei paesi europei dell'area mediterranea, lasciando un sempre maggior numero di persone senza protezione, nella miseria...
Diverse, alternative, etiche, solidali, sostenibili, locali. Sono alcuni dei termini che definiscono le esperienze socio-economiche di cui questo volume parla. Attraverso un approccio riflessivo, che vede ricercatori e attori impegnati in un comune sforzo interpretativo, il libro indaga il rapporto con il territorio, con i saperi, con le forme del lavoro e le implicazioni ideali e politiche di gruppi di produttori e consumatori critici che con la loro iniziativa rappresentano una reazione di autodifesa della società ma anche una persistenza di forme non capitalistiche di attività economica e produttiva. Le analisi ricollocano il conflitto su un piano simbolico e antropologico facendo emergere le sfide lanciate al paradigma dell'Homo oeconomicus. Alla tendenza a "valorizzare" la vita delle persone a fini produttivi viene opposta una diversa valorizzazione delle persone e la creazione di spazi di soggettività, di crescita, di autonomia. I protagonisti di queste storie re-interpretano l'intreccio tra bisogni e desideri, tra limiti e risorse, tra necessità e lussi, tenendo ferma la ricerca di un orizzonte di felicità o di responsabilità che parte dal piccolo ma non rinuncia a pensare in grande creativamente.

