Con il concilio di Costanza (1414-1418), che pone fine allo scisma d'Occidente, il Concilio afferma la propria identità con la Chiesa, presieduta da Cristo, e dunque la propria superiorità sul papa nei casi di fede, pace e riforma. Con il concilio di Pavia-Siena (1424-1424), la dirompenza di questi principi posti come lex fundamentalis della Chiesa e del postulato dell'infallibilità del Concilio in quanto ispirato dallo Spirito Santo iniziano a emergere, ma sarà solo a Basilea che si riveleranno pienamente, con la dichiarazione da parte del Concilio della propria autonomia come rappresentazione della Chiesa. L'assemblea sostituisce il presidente papale con uno proprio dandosi un'articolazione e una procedura complesse, destinate alla stabilità istituzionale. Allo stesso modo la liturgia si lega sempre più al motivo pneumatologico. La fede nella perfezione del modello elaborato sarà però anche una gabbia. La puntigliosità delle pretese nel processo a Eugenio IV nel 1432-1434, la rottura del 1436-1437, la dogmatizzazione dei decreti di Costanza nel 1439 e il nuovo scisma ne saranno le conseguenze estreme, che riveleranno come tali principi si riducano a strumento di legittimazione del concilio su un piano istituzionale, che ne impedirà lo scioglimento per quasi due decenni. Ma gli infiniti dibattiti rivelarono anche la forza di quei principi: molti elementi sopravviveranno come la liturgia, codificata proprio dai fautori della monarchia papale.