I racconti e le immagini della violenza, soprattutto sessuale, ci sommergono. I romanzi indugiano volentieri su eroine "sedotte" contro la propria volontà; un film americano su otto contiene una scena di stupro; a partire dagli anni Ottanta le storie di violenza e aggressione hanno lentamente conquistato un posto centrale nei reportage giornalistici. Eppure non conosciamo il numero reale di donne (o uomini) vittime di violenza sessuale. La verità è che lo stupro sfugge alla notazione statistica: numerose aggressioni non vengono nemmeno riportate alle autorità e meno del 5 per cento di quelle denunciate finisce con una condanna. I numeri spaventosi non devono intimidire: se vogliamo analizzare il flagello della violenza sessuale dobbiamo puntare uno sguardo gelido sui colpevoli e smontarne i meccanismi emotivi. È quanto fa Joanna Bourke in queste pagine. Attingendo agli studi di criminologi, giuristi, psicologi e sociologi, servendosi delle narrazioni di violenza rilasciate da vittime e aggressori inglesi e americani dalla metà dell'Ottocento a oggi e di come quei racconti sono cambiati nel tempo, combattendo con la definizione di stupro e stupratore, di consenso e coercizione, l'autrice scava nelle "motivazioni" che portano un individuo a scegliere la violenza: "Al centro di questo libro c'è lo stupratore e non la vittima. Se la categoria dello stupratore viene demistificata, la violenza sessuale non sembrerà più inevitabile. Stupratori non si nasce, si diventa.
La profezia del Gattopardo è la storia di un'utopia civile. La storia d'amore di un aristocratico siciliano per la donna con la quale si batte per il suo lavoro, nella sua terra. Nella memoria del protagonista, scorre il tempo che, come aveva previsto il Gattopardo, è il tempo di quelle iene e di quegli sciacalli che, lungo i centocinquanta anni dell'Unità d'Italia, hanno costruito il disastro umano, civile ed economico che affligge la Sicilia ed il Mezzogiorno.
La storia d'Italia, tra l'Unificazione del 1861 e l'avvento del regime fascista nel 1922, è la storia di uno Stato alla ricerca di una nazione e di una coscienza civile che possa legittimarla. A dispetto del luogo comune secondo il quale l'Italia era arretrata rispetto ad altri paesi industrializzati, si può sostenere che quell'Italia non era né premoderna né antimoderna. Questo libro sottolinea infatti il carattere peculiare della modernità italiana; una specificità che - forse a causa dell'incompiuta unità politica, sociale ed economica, insieme ai livelli di analfabetismo elevati e a una tradizione liberale debole - articolò una modernità "in crisi" estremamente sofisticata, e dunque una critica ante litteram della modernizzazione e del modernismo. Suzanne Stewart-Steinberg affronta questa modernità così cruciale attraverso un'approfondita lettura critica dei testi di alcuni tra i più importanti testimoni dell'Italia postunitaria: romanzieri, filosofi, giuristi, pedagoghi, criminologi, funzionari statali. In questo percorso, l'autrice si fa guidare dalla metafora di Pinocchio che, com'è noto, è un burattino, privo però di quei fili che gli consentirebbero di restare legato al nuovo Stato. Pinocchio diventa dunque emblematico delle complessità della modernità italiana perché - come l'Italia - è stato sia creato che influenzato dall'alto, pur mantenendo la sua autonomia.
Agitazioni e riforme dal luglio 1846 al gennaio 1848 - La rivoluzione e i primi due mesi della guerra d'indipendenza - La crisi del federalismo e del neoguelfismo. La reazione a Napoli. Il fallimento della guerra regia - La crisi del moderatismo e la riscossa democratica - Il 1849
Salutata ogni volta all'apparire dei singoli volumi che la compongono da un caldo e crescente successo di critica e di pubblico, la "Storia dell'Italia moderna" di Giorgio Candeloro ha ormai un grande e incontestato rilievo nella storiografia italiana e non solo italiana del dopoguerra. L'ininterrotta, meritoria fatica con cui l'Autore ha dato vita a un'opera di carattere generale, non rigidamente specialistica, ma costantemente a un alto livello specialistico, ha acquisito in questi anni "una funzione insostituibile, di permanente riferimento per la conoscenza del modo col quale si è venuto formando il nostro paese" (Ernesto Ragionieri).
Quella di Candeloro - secondo un giudizio che Paolo Spriano formulò nel 1968 e che i fatti hanno confermato - è "un'opera che resterà".
Giorgio Candeloro nato a Bologna nel 1909 e morto nel 1988, ha preso parte alla Resistenza. Docente universitario, dopo ricerche di storia del pensiero politico, si dedica a una grande ricostruzione della storia politica e sociale dell’Italia moderna e contemporanea che proseguirà per un trentennio: il primo degli undici volumi della Storia dell’Italia moderna è uscito, infatti, nel 1956 e l’ultimo nel 1986.
Suddiviso in tre sezioni, 1860-1918 (a cura di Manolo De Giorgi), 1919-1945 (a cura di Andrea Nulli) e 1946-1980 (a cura di Giampiero Bosoni), il volume scandaglia, settore per settore, tutti gli ambiti della produzione industriale in cui lo stadio del progetto ha via via assunto le caratteristiche che oggi sono comunemente associate al termine "design". Dagli ombrelli alle biciclette, dal dibattito sulle arti decorative alla produzione di arredamento della casa popolare, dalle locomotive alle macchine per il caffè, dalla Topolino alle macchine Olivetti, l'avventura del disegno industriale italiano e dei suoi protagonisti famosi in tutto il mondo trova una sistemazione enciclopedica in questo libro.