La spedizione di un sultano alla conquista dell’Italia. Trame oscure che, intrecciandosi, conducono a una guerra terribile che rovescerà tutta la sua violenza su una popolazione ingannata da coloro cui era fedele e, per questo, massacrata. È Otranto, 1480.
Vito Bianchi fa luce sul massacro di ottocento prigionieri inermi canonizzati di recente come martiri della fede. In realtà, come puntualizza l’autore in queste pagine, emerge che l’ecatombe, per ammissione pressoché unanime, fu la conseguenza del rifiuto della cittadinanza di arrendersi, non di abiurare e convertirsi all’Islam. Paolo Mieli, “Corriere della Sera”
Con un libro bello, documentato, vivacissimo, Vito Bianchi mostra come la questione di Otranto e dei suoi martiri, ancora molto dibattuta, debba essere inquadrata nelle guerre che infuriavano nella penisola tra il papa e il re di Napoli da una parte, Firenze e Venezia dall’altra; un episodio che obbligasse i cristiani ad abbandonare le loro contese per unirsi contro gli infedeli sarebbe stato molto utile alla parte per la quale la guerra stava andando peggio: ch’era appunto la veneziano-fiorentina. Franco Cardini, “Avvenire”
Nel 1480 l'impero ottomano era in prepotente espansione verso l'Europa e il Mediterraneo. Sulla sua traiettoria, l'Italia lacerata da congiure e lotte intestine fra le più splendide signorie rinascimentali. In questa storia c'è il sogno di un sultano affascinato dai fasti dell'antichità, che intende riunificare l'impero romano. Ci sono gli interessi della Repubblica di Venezia. Lorenzo il Magnifico, appena scampato alla congiura dei Pazzi. Un ex gran visir caduto in disgrazia. Le mire di dominio sulla Penisola del re di Napoli. Un pontefice che, mentre pensa alla decorazione della Cappella Sistina, briga per favorire i propri nipoti. Condottieri al servizio del miglior offerente, il coraggio dei Cavalieri di Rodi. Un grandioso mosaico che profetizza l'avvento del Male. Alla fine della guerra di Otranto non ci saranno vincitori, se non la peste. Si cercherà di recuperare gloria almeno dai resti delle vittime, facendone dei 'martiri della cristianità', contro ogni evidenza e testimonianza. Su tutto, l'indifferenza del potere nei confronti degli umili, degli ultimi, degli inermi, costretti a pagare il prezzo delle altrui ambizioni.
Nel febbraio 2015 si è tenuto a Mantova un convegno internazionale per ricordare e rendere omaggio a Umberto Artioli, un evento che in primis ha voluto tener presente quel suo intento umanistico di restituire alla sua città un ruolo di centro di elaborazione culturale e rappresentativa in senso lato attuato con l'ideazione e promozione della Fondazione Mantova Capitale Europea dello Spettacolo, oggi a lui intitolata. Prendendo spunto dal lavoro di ricerca realizzato in più di sedici anni di attività scientifica si è deciso di approfondire lo studio di tutte quelle figure, spesso minori o sconosciute, che hanno concorso alla concezione e alla realizzazione delle attività spettacolari patrocinate dai Gonzaga dal 1480 al 1630. Infatti, una delle più affascinanti peculiarità dello spettacolo rinascimentale è stata quella di riunire gli esperti più abili di arti diverse e, in un certo senso, di obbligarli a lavorare insieme per la realizzazione di un evento unico e irripetibile. Allo stesso modo abbiamo idealmente voluto riprodurre quel clima tra i relatori che sono stati chiamati a offrire il loro contributo, coinvolgendo esperti di vari ambiti di ricerca, dalle discipline dello spettacolo, alla musica, l'arte, l'architettura, la letteratura, la storia. Ne è nato un percorso particolarmente ricco e variegato di cui questi Atti offrono uno spaccato fedele.