Henry Kissinger non ha resistito e ha voluto regalarci una linea guida, un nuovo modo per capire ed osservare quello che accade a livello internazionale e lo fa con Ordine mondiale, un compendio storico politico del grande diplomatico che mette insieme storia, geografia, politica e passione. A 91 anni lo stratega di relazioni mondiali ha un punto di vista più lucido che mai e sorprende come riesca a spiegare nelle pagine di questo incredibile saggio i problemi del mondo moderno. Il suo punto di vista è occidentale, questo è certo, ma rilegge gli avvenimenti moderni, guardando il passato, quello che è accaduto e che si riflette sull’oggi. Le guerre di religione, l’avanzata della Cina, il declino americano e le guerre di religione si incastrano in un unico casellario di pedine in cui l’equilibrio mondiale è, appunto, tutto da definire. Kissinger allora aspira ad un nuovo equilibrio delle potenze e ad una sorta di governance globale a cui si possa far riferimento. Così sembra invece di viaggiare ad occhi bendati e le nazioni sbandano, prive della conoscenza del proprio passato, essenziale invece per Kissinger per guardare con la lente d’ingrandimento il presente. Tutto si ripresenta e i fenomeni storici ritornano: il Medio Oriente sembra vivere la guerra dei Trent’anni che visse l’Europa mentre la Russia di oggi sembra l’Europa di secoli fa, alla ricerca di espansione e di nuovi territori e culture da conquistare. Gli stati però sembrano molto dipendenti uno dall’altro, forse troppo, e questo crea solo minore capacità decisionale e maggior caos. L’appello alla comunità internazionale che spesso sentiamo nominare per Kissinger è negativo perché svela quanto in realtà essa sia assolutamente indefinita. Colpevole sembra essere la globalizzazione selvaggia, senza limiti, senza regole che hanno appunto reso un Paese dipendente dall’altro. La politica estera è allo sbando e allora bisogna cercare di raggiungere un nuovo equilibrio. Ordine mondiale lo traccia e convince il lettore con stratagemmi e dinamiche internazionali.
Vista dagli Stati Uniti, l'Italia fa notizia perché è quel piccolo paese dove approdano ondate di disperati, costretti ad attraversare il Mediterraneo per fuggire a devastazioni molteplici: l'avanzata dello Stato Islamico, le guerre civili, la miseria. La Germania è un colosso economico dai piedi d'argilla, prepotente e timida al tempo stesso, incapace di dare all'Europa un progetto nuovo, forte e convincente. La Nato si riarma per far fronte a Vladimir Putin, ma gli europei hanno altro a cui pensare: i figli senza lavoro o sottopagati, i tagli alle pensioni, i servizi pubblici in declino, l'insicurezza sociale. Non sta molto meglio la "mia" America. Dopo sei anni di crescita, la maggioranza continua a pensare che "il paese è sulla strada sbagliata". Anche qui molti giovani, pur avendo sbocchi professionali migliori dei loro coetanei in Europa, non possono aspirare al tenore di vita dei genitori. Pesa anche la perdita di una missione. La nazione leader non crede più possibile una pax americana nel mondo. Insomma, siamo i primi testimoni di un evento epocale, la fine del dominio dell'uomo bianco sul pianeta. Il pendolo della storia torna dove l'avevamo lasciato cinque secoli fa, quando il baricentro del mondo era Cindia, l'area più ricca e avanzata, oltre che più popolosa. Ma il pendolo della storia è lento. Siamo ancora in uno di quei periodi instabili e pericolosi in cui l'ordine antico sta franando e del nuovo non c'è traccia.
All'inizio di agosto del 1914 scoppia la prima guerra mondiale. L'Italia rimane estranea alle ostilità fino al 24 maggio 1915, ma le sue responsabilità in relazione al conflitto sono molto gravi e risalgono a qualche tempo prima. Nel 1911 l'Europa è infatti in un sostanziale equilibrio, lo sviluppo economico è tumultuoso e le grandi potenze hanno risolto quasi tutti i loro contrasti coloniali: l'unico elemento di instabilità viene dall'impero ottomano, il cui collasso porterebbe a conseguenze imprevedibili. In particolare è preoccupante la situazione nei Balcani, dove i nazionalismi serbo, bulgaro, greco e rumeno aspirano a un riassetto generale della regione a spese dei territori appartenenti a Costantinopoli. Dopo oltre un quarantennio di pace fra le potenze del continente, è l'Italia che riapre la stagione dei conflitti, invadendo le province ottomane di Tripolitania e Cirenaica. Giolitti, indifferente ai problemi continentali, è alla ricerca di una vittoria militare di prestigio che taciti le opposizioni di destra e rifiuta ogni offerta di cessione di fatto dei territori avanzata da Costantinopoli, conservandone la sovranità nominale, sull'esempio dell'Egitto e dell'Algeria, da anni protettorati inglese e francese. Nasce così l'impresa di Libia, inutile e proditorio attacco all'impero ottomano.
Lo storico anglosassone Martin Gilbert offre una sintesi dei sei anni che corsero tra l'aggressione tedesca della Polonia e la resa del Giappone e, combinando un'ampia visione d'insieme con una minuziosa cura dei particolari, ne descrive giorno per giorno le operazioni militari, lo sconvolgimento nella vita quotidiana, i retroscena politici e diplomatici, il mondo sommerso dello spionaggio, l'orrore dei campi di concentramento.
La tattica e la strategia dei vincitori e dei vinti, la potenza industriale al servizio degli eserciti in lotta, il valore combattivo delle truppe: un monumentale saggio storico che ricostruisce in ogni suo dettaglio l'ultimo conflitto mondiale scritto da un illustre studioso di strategia militare. L'edizione comprende 44 cartine e un esauriente indice analitico.