La Storia dell'Archeologia della Mesoamerica si fonde con la storia stessa del Messico. Dopo lo scontro coloniale che ha distrutto le antiche civiltà, dagli Aztechi ai Maya, i nuovi arrivati, mescolandosi agli indigeni, hanno lentamente cercato di ricostituire il mondo pre-colombiano.
Il grande antropologo ed archeologo Eduardo Matos Moctezuma da anni lavorava a questo progetto che va dai primi codici fatti rifare dai missionari agli indigeni nel '500, all'archeologia scientifica ed ai musei e siti archeologici dei giorni nostri. Il Messico durante 500 anni ha cercato, tramite l'Archeologia, di ritrovare la sua identità meticcia.
L'opera ha un corredo illustrativo che va da documenti antichi ed inediti sino al presente ed esce nel bicentenario dell'indipendenza e nel centenario della Rivoluzione Messicana.
Contestualmente al rigoroso restauro della chiesa di San Francesco Saverio a Mondovì, il volume, con i contributi di eminenti studiosi, mostra il successo di quest'ultima impresa con stupende tavole a colori e descrive la prima opera di Andrea Pozzo, poi divenuto famoso con le sue opere romane.
Michelangelo Merisi da Caravaggio cent’anni fa non era per niente amato, oggi invece è diventato un mito popolare, un mito noir, uno degli eroi necessari all’Olimpo dei maledetti, come il maudit- Modì-Modigliani o come i poeti della Beat Generation americana. In questo libro si compie un affascinante viaggio dentro le immagini per scoprire le storie e i segreti nascosti nelle sue opere. I volumi della collana “Simboli e Segreti”, per un certo verso, hanno il sapore dei libri per l’infanzia, dei calendari dell’Avvento: chi guarda tornerà nella magia d’un tempo nel quale i dipinti si guardavano con lentezza, e se per caso o fortuna avrà l’occasione d’incontrare l’originale, in un museo, un palazzo o una chiesa, avrà il sentimento d’incontrare una vecchia conoscenza, un amico.
Philippe Daverio
Caravaggio emoziona, commuove, avvince: davanti ai suoi quadri non si può restare indifferenti, si prova quasi istintivamente il brivido di una presenza, il senso della realtà, un coinvolgimento profondo. Nessun maestro del passato riesce a comunicare altrettanto direttamente con il pubblico di oggi, come dimostra il grande successo riscosso dalle iniziative legate alle celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte. Partendo dai personaggi, dagli oggetti, dalle messe in scena dell’artista lombardo, l’analisi dei particolari dei dipinti apre delle “finestre” sulla comprensione delle immagini, spiegando i simboli e i significati più segreti, nascosti e stratificati da cinque secoli sulla tela. Scopriamo quindi curiosità e storie inedite, ad esempio che nel celebre Amore Vincitore, il pittore ha utilizzato delle ali d’aquila conservate nel suo studio come modello e che, una volta entrato il dipinto nelle raccolte d’arte di un cardinale, la vistosa nudità del ragazzo veniva velata da una tenda verde, scostata solo davanti ad amici fidati. Questo volume analizza nel dettaglio cinquantuno capolavori di Caravaggio in ordine cronologico, dal Bacchino malato al San Giovanni Battista, con una lettura guidata dell’immagine attraverso finestre che inquadrano e raccontano i dettagli. In pagine a tema vengono inoltre messi in luce elementi ricorrenti, quali i fiori e i frutti, il linguaggio delle mani, le spade e i pugnali o gli autoritratti, legati alle vicende artistiche e biografiche del pittore. Come il primo volume della collana “Simboli e Segreti”, questo libro monografico su Caravaggio ci accompagna in un affascinante viaggio dentro le immagini attraverso una lettura a più livelli di significato, per scoprire le storie e i segreti nascosti nelle opere del “maestro della luce”.
L’esistenza a Barcellona di un monumento come la Sagrada Familia nel cuore del XX secolo resta un’eccezione e insieme una sfida per la cultura architettonica contemporanea. Questo libro - attraverso un repertorio inedito di immagini e gli interventi di studiosi e degli stessi protagonisti del cantiere - testimonia come nella Sagrada Familia si materializzi un’originale saldatura fra la componente tecnica e quella del significato, fra la dimensione creativa individuale ed il lavoro collettivo, fra il contesto civile di una città e lo spazio sacro di una chiesa. Senza nulla togliere al genio di Gaudì, anzi a conferma della sua inventiva, il volume testimonia perciò l’esistenza di un cantiere vivo animato da architetti, ingegneri, esperti di tecnologie digitali, artigiani, storici dell’architettura, teologi e iconografi, tutti coinvolti nel progresso del progetto di Gaudì.
Numerose opere sono state consacrate, parzialmente o totalmente, alla scultura romanica; tuttavia è difficoltoso fornire un quadro cronologico coerente di un’arte la cui evoluzione, in un periodo relativamente breve, non ha nulla di lineare. L’approccio scelto fino ad ora è stato essenzialmente regionale e ha posto l’accento sulla reale diversità che caratterizza le principali «province» dell’arte romanica. Questo libro tenta un altro metodo: mettere in rilievo, attraverso un’analisi maggiormente tipologica, ciò che costituisce l’unità della scultura romanica, ossia le fonti di ispirazione comune, il ricorso agli stessi modelli (anche se l’interpretazione non è univoca), l’adattamento ai medesimi schemi iconografici; soluzioni parallele adottate per rispondere alle stesse necessità.
Esistono vicende, nella storia umana, che hanno una dirompenza più inappariscente dei grandi sconvolgimenti, ma un rilievo e una durata ben maggiori. Per comprenderne le vere dimensioni sono d’ostacolo gli specialismi non dialoganti e gli arroccamenti sugli spalti identitari. Ce lo insegna in modo esemplare l’invenzione della prospettiva, argomento tra i più studiati di una storia dell’arte che nel Rinascimento fiorentino di Ghiberti, Brunelleschi e Alberti celebra insieme gli atti costitutivi di una rivoluzionaria tecnica culturale e i propri solitari fasti disciplinari. Con mossa felicissima, Hans Belting spariglia le carte e mette in prospettiva la prospettiva stessa. Grazie alla sua indagine si chiariscono fino in fondo le alleanze tra pratiche pittoriche, dottrine artistiche, conoscenze scientifiche, e soprattutto si svela la fecondità di un paradosso: all’apice della sua fioritura, l’Occidente definì il canone percettivo, attraverso il quale ci appropriamo del mondo sotto forma di immagine, attingendo a una teoria della visione concepita quattro secoli prima da un matematico arabo nativo di Bassora, Alhazen, in un contesto religioso islamico che bandiva le immagini perché giudicate contraffazioni blasfeme della creazione di Dio. Lo scarto temporale e i travisamenti dei traduttori propiziarono inopinatamente, sulla questione nevralgica delle consuetudini visive, il cortocircuito tra due civiltà che avrebbero poi acuito la reciproca lontananza. Civiltà dello sguardo, quella occidentale, fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore. Civiltà che privilegia la luce, quella araba, fedele al grafismo non iconico dell’ornamento. Belting riesce a intrecciare le loro differenze, così da renderle vivide per contrasto, come nell’emblema della finestra, che nella nostra tradizione è soglia da cui lasciare spaziare lo sguardo all’esterno, mentre nella cultura islamica è grata rivolta all’interno, dove il chiarore del giorno filtra in geometriche dissolvenze decorative. Che cosa implichi vedere, quanto sia necessario che i dissimili si scambino gli sguardi e vengano guardati nelle loro talora irriducibili peculiarità, poteva mostrarcelo solo un ingegnoso frontaliere degli studi, l’ideatore di un’antropologia delle immagini.
l'autore
Hans Belting, è professore emerito di Storia dell’arte e teoria dei media presso la Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, dove ha fondato il corso interdisciplinare «Immagine-corpo-medium: una prospettiva antropologica». Tra le sue opere tradotte in italiano: Il Medio Oriente e l’Occidente nell’arte del xiii secolo (1982), L’arte e il suo pubblico. Funzione e forme delle antiche immagini della Passione (1986), La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte (1990), Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo (2001) e I tedeschi e la loro arte. Un’eredità difficile (2005). Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato La vera immagine di Cristo (2007).
Il volume si pone come un ideale percorso riccamente illustrato, guidato da due eminenti storici dell’architettura e dell’arte, che accompagna il lettore da Houston a Chandigarh, da Parigi a Hiroshima, fino allo spazio interstellare immaginato da un grande architetto come Paolo Soleri. In questi luoghi memorabili, solo apparentemente lontani, ritroviamo diverse tipologie di monumenti (cappelle, musei, parchi) che, consacrati dai loro autori alla Pace, vengono idealmente accostati da questa comune dedicazione. Si susseguono così opere e progetti di architetti come E. Tange, Philip Johnson, J.L. Sert, Le Corbusier, T. Ando, M. Botta e grandi realizzazioni di artisti come Picasso, Chagall, Rothko; capolavori che si ergono come monito e speranza per l’umanità.
Una poderosa raccolta delle opere dei musei, delle chiese e dei palazzi veneziani, insieme ai capolavori presenti nei musei esteri. Dalle origini alla decadenza, l'arte della Serenissima è raccontata da Filippo Pedrocco, uno dei massimi esperti di pittura veneta. Da Paolo Veneziano (1300-1350 ca), forse il più importante pittore del suo tempo, capace di un equilibrio unico tra i temi bizantini della sua formazione e l'influenza di Giotto, a Giovanni e Jacopo Bellini, dallo sfumato di Giorgione (1477-1510) al colore di Tiziano (1480/85-1576) in contrasto con la scuola fiorentina del disegno, per finire con Tiepolo (1696-1770) e i vedutisti, Venezia, ponte commerciale tra due emisferi, domina il Mediterraneo per almeno cinquecento anni, dal Trecento al Settecento, non solo economicamente ma anche culturalmente. La Serenissima ("pace e ordine sono meglior per il commercio" era motto diffuso) fu infatti capace di far sbocciare nuovi linguaggi artistici ed esportarne il valore in tutta Europa. Un ciclo di grandezza che si conclude in un lento declino, iniziato con l'esaurirsi della spinta commerciale che aveva fatto grande la città ed accelerato dall'intrusione di Napoleone. In quattro secoli di ricchezza, Venezia vede sorgere palazzi bellissimi e chiese monumentali, vede realizzati mosaici, affreschi e un'incredibile quantità di opere pittoriche di cui rimangono tracce nella città e nel mondo intero.
I due anni, dal 1859 al 1861, in cui l’Italia, divisa per secoli, è diventata una nazione, sono stati memorabili anche per la storia dell’arte, in particolare per la pittura, chiamata a testimoniare questa straordinaria vicenda.
Artisti come Giovanni Fattori, il pittore soldato Gerolamo Induno, Federico Faruffini, Eleuterio Pagliano, Michele Cammarano s’impegnarono a narrare la dinamica e lo spirito delle celebri battaglie della Seconda guerra di indipendenza ma anche a rendere la passione che animò Garibaldi e le sue leggendarie Camicie rosse, trovando toni e forza espressiva originali e innovativi, in opere, prive di ogni retorica celebrativa, dove i veri protagonisti sono gli umili soldati, spesso travolti dalla storia. È ancora la vita del popolo a risaltare nei dipinti, in cui i macchiaioli Fattori, Silvestro Lega, Odoardo Borrani, ma anche i romantici lombardi Francesco Hayez, Domenico e Gerolamo Induno, o il siciliano Giuseppe Sciuti, hanno saputo rappresentare i riflessi di quegli eventi storici all’interno delle mura domestiche componendo l’altro volto del Risorgimento, quello intimo e privato, in capolavori unici per intensità emotiva o drammatico pathos.
I giardini cinesi sono sovente considerati delle astrazioni intellettuali, troppo esclusivi per essere compresi da chi normalmente si occupa di giardini. Troppo cerebrali per scalfire la sensibilità occidentale. Tuttavia essi costituiscono un insieme di brillanti soluzioni per quasi tutti i principali problemi riguardanti i giardini: vi sono regole formali, ma che a volte possono essere disattese; vi sono varietà di stili, ma essi possono essere adattati e diversamente combinabili a seconda delle necessità. Anche se molti di questi giardini infatti sembrano cristallizzati in un passato eccessivamente lontano, essi sono in realtà in continua evoluzione e rinnovamento. Per non continuare a guardare ad essi come a dei "pezzi da museo" occorre quindi cambiare atteggiamento e liberarsi da alcuni preconcetti riguardo a ciò che un giardino dovrebbe essere. A cogliere la loro modernità può aiutare la consapevolezza che proprio il giardino cinese ha profondamente influenzato le avanguardie nel campo della progettazione di giardini: Charles Jenks e Maggie Keswick Jenks, così come I.M. Pei, risentono della sua influenza e cercano nelle loro opere di declinarne le caratteristiche in modo da trovare un equilibrio tra la filosofia sottesa al giardino cinese e l'estetica occidentale. Partendo dunque da questa convinzione, il volume presenta una immersione totale in questa affascinante arte.