Un passato fastoso, un presente difficile, e una inesauribile riserva di sogni: è l'eredità che riceve alla nascita Pupi Avati, figlio di due mondi, la ricca borghesia urbana bolognese e l'arcaica tradizione contadina di Sasso Marconi. La galleria degli antenati è unica: la bisnonna Olimpia, asolaia emigrata in Brasile in cerca di fortuna con i tre figli piccoli, il nonno Carlo che trovò moglie grazie a venticinque bignè, gli zii materni che ogni anno portavano ai Savoia le ciliegie di Sasso Marconi, il nonno Giuseppe che chiese alla Madonnina del Paradiso una grazia "fatale", i genitori protagonisti di una incredibile storia d'amore... Con questi presupposti, come stupirsi se la tua vita diventa un'unica grande avventura, dalla via Emilia a Cinecittà? Nella Bologna del dopoguerra si svolge l'educazione sentimentale di Pupi, un ragazzo timido ma un po' mascalzone, un perdigiorno con una bruciante passione per il jazz, un rapporto complesso con le donne, un amore irreversibile per il cinema. Poi l'addio alla carriera da musicista, la parentesi come rappresentante di surgelati, i difficili esordi cinematografici, la Roma degli artisti, l'insolito lavoro con Pasolini, i pedinamenti per conoscere il maestro Fellini, i successi di pubblico e critica. "La grande invenzione" racconta tutto questo e molto altro ancora.
Una vita "non serena, ma fortunata e felice". Così Eugenio Scalfari riassume il bilancio della propria esistenza, in un racconto che l'abbraccia per intero. Dalla casa dell'infanzia a Civitavecchia, con il balcone che guardava il mare, alle aule del liceo Cassini di Sanremo, dove, complice il compagno di banco Italo Calvino, "il viaggio ebbe il suo consapevole inizio". E poi gli anni dell'università e il primo lavoro di giornalista per "Roma Fascista", svolto con un piglio critico che gli valse l'espulsione dal GUF. C'è l'incontro con Pannunzio e Benedetti, l'attività politica, la lunga avventura de "la Repubblica", i viaggi "fuori e dentro di sé". Ci sono gli affetti, gli amori. Spesso, nei suoi libri, Scalfari ha incluso frammenti della sua biografia, usandoli come spunto su cui innestare le sue lucide meditazioni. Ma in questo scritto il ricordo assume per la prima volta un valore autonomo: lo scopo non è più riflettere, ma raccontare. Anche la storia del Paese resta sullo sfondo. "Racconto autobiografico" è semplicemente quello che dice: il ritratto in movimento di un uomo, la cronaca della sua esistenza eccezionale.
Non è affatto strano se due sacerdoti cattolici che vivono in un paese a dominanza protestante fanno amicizia, specie se a legarli sono anche interessi artistico-intellettuali e se uno di loro - che si picca di essere un musicista di vaglia - suona ben volentieri le sue composizioni per intrattenere l'amico nelle lunghe e freddissime serate invernali. Ed è altrettanto comprensibile che i due accolgano a braccia aperte nel loro minuscolo cenacolo culturale un correligionario straniero, uno schivo studioso francese che, a quanto pare, desidera soltanto essere lasciato in pace, a scrivere. Quando poi, dopo dieci anni di frequentazione, lo straniero parte per un paese lontano, farlo ritrarre per ricordarne l'aspetto è il gesto più spontaneo e affettuoso che ci si possa attendere da un rattristato amico. Semplice. Chiaro e distinto, anzi. Perché, se l'innocua vicenda si svolge in Olanda alla metà del Seicento, lo straniero può facilmente chiamarsi René Descartes e il pittore a disposizione rischia di essere Frans Hals... Con la consueta amabilità, Steven Nadler ci guida questa volta in un insolito viaggio filosofico-culturale attraverso un periodo cruciale per la storia del pensiero, quanto straordinario per la fioritura artistica. Quadri celebri e celebri trattati - le Meditazioni metafisiche, le Passioni dell'anima, i Principi della filosofia - vedono la luce e si mescolano sullo sfondo del Secolo d'oro olandese, tra polemiche teologiche, gare musicali e la vicenda di un piccolo, controverso, ritratto...
Il più ortodosso degli scrittori e il più eterodosso degli artisti, ovvero il cattolico Gilbert Keith Chesterton e il visionario William Blake: un incontro apparentemente impossibile e che invece prende corpo in questo piccolo capolavoro dimenticato. Apparsa originariamente nel 1910 e finora mai tradotta in italiano, la rapida biografia che Chesterton dedica all'autore dei "Canti dell'Innocenza e dell'Esperienza" è molto più che una semplice ricognizione nella vita di un personaggio eccentrico, inclassificabile e geniale. Pittore mancato e occasionale frequentatore dello spiritismo in gioventù, Chesterton riconosce in Blake gli elementi di un'intesa profonda, fondata anzitutto sulla virtù - universale, eppure tipicamente inglese - dell'immaginazione, da intendersi non come costruzione fantastica ma come capacità di cogliere con un colpo d'occhio la reale sostanza delle cose. Il risultato è un pamphlet paradossale e pungente, nel quale le considerazioni di natura artistica si mescolano a fulminanti notazioni di politica e di costume (una fra tutte: l'Inghilterra del passato grandioso come nazione di bottegai e dunque di poeti, contrapposta al presente nel quale prosperano solo i "proprietari di negozi"). Paradossale e ispirato, Chesterton scorge nell'isolamento di Blake rispetto al suo secolo, il Settecento, un'anticipazione della propria irriducibilità alle categorie novecentesche...
La vita di uno dei protagonisti della storia più recente: le vicende che hanno trasformato un ribelle nel più grande leader del suo Paese. Età di lettura: da 7 anni.
"È facile. Se è lo stomaco che ti fa male o magari il fegato non hai dubbi: alzi il telefono e sai quale medico chiamare. Ma se è il cervello che fa clik?" Comincia così il viaggio di Alessandra Arachi, andata e ritorno nella follia del disturbo bipolare. Una patologia della mente che colpisce un italiano su dieci, ma che solo oggi inizia a essere riconosciuta e curata. Picchi di euforia si alternano a baratri di depressione, il cervello va su e giù come un'altalena: è qualcosa che condiziona ogni aspetto della vita, perché è intimamente legato all'eros, alla creatività artistica, alla genialità politica. E quell'indefinibile "stato misto" alla base della depressione post-partum, responsabile occulto di molte tragedie che hanno portato giovani madri a uccidere i propri figli neonati. Alessandra è stata vittima di una diagnosi affrettata: schizofrenia paranoidea. Una sera di luna piena, in un prato appena fuori Roma, una cura sbagliata stava per costarle la vita. Ma come è arrivata in quel prato? In un libro dal ritmo serrato l'autrice racconta i mesi di fuga dalla realtà, pedinata "dal servizio segreto più pericoloso del mondo", in viaggio di notte lungo strade e autostrade d'Italia, a volte contromano. Racconta l'alterazione della coscienza e il "miracolo" che l'ha salvata restituendole il controllo della psiche. "Lunatica" è un'avventura della mente, scritta con l'ironia e la lucidità di chi ha avuto la fortuna di venirne fuori e di poterla raccontare.
Pier Paolo Pasolini, uno dei rari esempi di persona coerente proprio nella sua incoerenza, un essere umano che cambia nelle idee, nei pensieri, nei giudizi, nelle opinioni, ma rimane coerente nel profondo dell'anima. Pasolini con i comunisti contro i comunisti, contro il papa con il papa, con i rivoluzionari del Sessantotto e contro di loro. Pasolini che denunciava il fascismo dietro la democrazia, il perbenismo dietro il comunismo, la rigidità morale dietro l'apparente libertà. Pasolini il colpevole che non si è mai pentito. Pasolini il poeta che danzava contro il triste cammino di un mondo verso la normalità come accettazione della menzogna.
Un ritratto imprevisto di Picasso innovatore e rivoluzionario. Attraverso l'analisi meticolosa ma non accademica della sua avventura esistenziale e artistica, le opinioni controverse dei suoi contemporanei, le foto più belle della sua vita, e le sue parole: incisive, folgoranti, ironiche, distruttive e impietose. Capaci di rivelare la forza della sua presenza nell'arte del Novecento quanto la sua meravigliosa e irripetibile opera pittorica.
Un leader morale, non un leader politico, superiore in dignità non in potere. Un uomo semplice, schietto, vivo, disinteressato, fuori dai compromessi e dai giochi politici: un uomo che, mentre non accetta la "doppiezza" tipica dei politici e l'intrinseca ipocrisia dei discorsi ufficiali, incarna nello stesso tempo le virtù antiche della dignità e del prestigio degli uomini di Stato d'un tempo, quelle virtù che, secondo una splendida definizione del suo più stretto collaboratore, "danno corpo a una non retorica 'moralità del dovere'".
I testi raccolti in questo volume offrono una sintesi dei valori, delle intuizioni e delle considerazioni più significative della vasta produzione scritta di Alfredo Carlo Moro. Essi segnano l'itinerario di maturazione della sua cultura, spaziando dal tema dei minori a quello della famiglia, dalla giustizia alla laicità, in un intreccio fecondo e consapevole della sua biografia con la storia del Novecento. Ne emerge la testimonianza viva ed attuale dell'impegno di un protagonista della giurisprudenza, della società e della Chiesa italiana, che ha vissuto nella storia accogliendo la modernità come occasione di crescita e restando sempre coerente ai principi della Costituzione e all'insegnamento del Concilio.
Esistono uomini talmente smisurati, complessi e contraddittori che sembra impossibile raccontarli. Per esempio, come si racconta la vita di uno come Sandro Pertini, che ha attraversato da protagonista tutte le stagioni del Novecento italiano? Da dove si parte: dal giovane soldato in azione tra le trincee della Prima guerra che, pur contrario al conflitto, combatte furiosamente e conduce i suoi soldati in imprese al limite della follia? Dal militante socialista, picchiato e bandito dal fascismo, che al fianco di Turati fugge dall'Italia su un motoscafo nel mare in tempesta? Oppure dal partigiano che, dopo quattordici anni fra carcere e confino, diventa intransigente giustiziere di camicie nere? O magari dall'ultima fase, dall'immagine benevola del vecchietto con la pipa? Rispondere a queste domande è la sfida del Giancarlo De Cataldo protagonista di questo libro. Sfida doppia, perché da un lato è chiamato a sceneggiare un film sul "Presidente di tutti gli italiani", dall'altro cerca di spiegare a suo figlio tredicenne la grandezza di quell'uomo, e il contrasto, doloroso, tra passato e presente. Ma per lui il combattente Pertini è qualcosa di più: è un'affinità elettiva, è l'integrità che illumina la lunga notte del regime e della prima repubblica, è l'orgoglio delle idee, è la furia della battaglia. E l'eroe incorruttibile, libero, severo, ma anche guascone e maldestro, che tutti noi vorremmo avere accanto.
Scrive l'autore che "...De Gasperi va fatto scendere dal piedistallo di marmo sul quale è stato posto e va calato tra noi, o quella giustizia che il tempo gli ha reso resterà nei libri di storia ma non sarà nella vita di oggi del Paese per aiutarci a capire come riprendere la via dello sviluppo". Di qui l'invito alla rilettura del grande statista da parte di quanti vogliano tornare a impegnarsi in una politica di ispirazione cristiana e al tempo stesso laica nell'assunzione delle proprie responsabilità, come fu per De Gasperi. Sangiorgi intreccia in un racconto serrato e ricco di retroscena inediti le tre chiavi di lettura della vita dello statista, l'amore per la famiglia, la fede religiosa e la passione politica. Il lavoro di ricerca è divenuto anche l'occasione per lo straordinario e singolare ricomporsi di un'antica e dolorosa frattura, tra De Gasperi e Giuseppe Donati, il primo direttore del Popolo.