"Autobiografia liberamente tratta... dalla mia vita". Così un fuoriclasse dello spettacolo italiano definisce la sua confessione a briglia sciolta, scoppiettante di umorismo e travolgente autoironia, che assomiglia più a uno show che a un racconto di vita. Un variopinto caleidoscopio di esilaranti siparietti. Ne viene fuori non certo un memoriale di ricordi, piuttosto un lucido, colto e graffiante ritratto del nostro paese, della sua situazione sociale, di una politica che non è più lotta fra Destra e Sinistra, ma contrapposizione tra "chi sta (T)Sipras e chi sta sotto, ... con il problema poi che non Syriza più!". In cinquant'anni di palcoscenico ci sono avventure e memorabili incontri artistici, ma c'è anche la gustosa rievocazione degli esordi da imitatore nelle feste di piazza in onore del santo patrono. Uno per tutti: "Sant'Urologo! Che con un'espressione tra il beato e il rincoglionito, teneva tra le dita un segno distintivo della sua 'specializzazione', una specie di pallina, insomma un calcolo". Successi televisivi, incontri, grandi collaborazioni e spettacoli teatrali con incassi record non hanno sedato la sua profonda inquietudine, che in questo libro viene rivelata al lettore senza pudori. Montesano svela la lotta quotidiana fra il desiderio di far ridere e un'indole burbera, soggetta agli alti e bassi della malinconia. Una confessione senza reticenze che fa ridere e commuovere, piena di quell'acuta verve che gli ha fatto meritare il soprannome di "vurcano de Roma".
Una fatwa al giorno d'oggi non si nega a nessuno. I genitori che si credono tuttologhi della scuola solo perché sono stati in grado di procreare? A morte! L'infausto rito degli auguri alcolici di fine anno? A morte! Morte alle multisale che puzzano di popcorn fritto nel grasso di yak, ai giornalisti che chiedono "Cosa prova" ai parenti degli ostaggi, alla tripla A di Standard & Poor's, e alle borse griffate ultracostose e ultrabrutte. Sarà più ridicola una fatwa sulla dittatura della pallina di gelato alla vaniglia o quella su un disegnatore satirico che smaschera le ipocrisie armato di matita? Charb, lo storico direttore di Charlie Hebdo, in risposta alle numerose minacce che per molto tempo lo hanno raggiunto, si autoproclama ayatollah e imbraccia la gioiosa arma della satira per lanciare esilaranti condanne a morte a destra e a manca. Fatwa per tutti. Ridicolizzare è l'antidoto a chi si dà troppa importanza. Charb concede a ciascuno, dall'uomo di potere a quello della strada, dalle mode ai vizi, dalle abitudini ai cliché mentali, cinque corrosivi minuti di popolarità. Prefazione di Erri De Luca.
"Sono tempi difficili, signori miei. Tempi di merda, si potrebbe sentenziare con l'efficace sintesi della satira. Tempi in cui non solo i corvi volteggiano oltre Tevere, ma pure gli sciacalli si moltiplicano in ogni dove. Del resto, l'aveva profetizzato financo Maurizio Gasparri, fu ministro delle Comunicazioni (perché non ci siamo proprio fatti mancare niente): 'Vauro e Santoro non sono che due volgari sciacalli'. Certo, confronto a quel che si vede in giro oggigiorno - in economia, in politica e perfino nei sacri palazzi - quelle due povere bestiole fan quasi tenerezza, non c'è che dire". Più velenosi e corrosivi che mai, ma anche inaspettatamente poetici, gli scritti e i disegni satirici di Vauro riverberano il suo sguardo impenitente sulla maleodorante apocalisse che avanza. Per chi ha tirato tardi pur di non rinunciare all'esorcismo del suo pennarello a Servizio Pubblico, un nuovo concentrato di pensieri, parole e disegni che invita risolutamente a disturbare il manovratore. Perché altrimenti ci porta dove diavolo gli pare! Prefazione di Marco Travaglio.
Una risata vi seppellirà. Il vecchio slogan anarchico potrebbe essere un perfetto epitaffio per l'URSS e, più in generale, per il comunismo inteso come sistema di governo. È la tesi di questa rilettura della storia del comunismo raccontata attraverso le barzellette comuniste. Ben Lewis ha dedicato anni a raccogliere storielle divertenti e irriverenti (e vignette, caricature, satira) in ogni angolo dell'Europa orientale, da Mosca alle capitali dei suoi ex paesi satelliti, convincendosi alla fine che il cosiddetto "anekdot" non solo sia servito a alleviare le pene di chi viveva sotto il regime ma descrivendo quei sistema come qualcosa di patetico e incapace di funzionare abbia contribuito al suo collasso.
In principio fu la topa: autentica categoria kantiana del pensar satirico del più scandaloso, imprevedibile, libertario giornale italiano, foglio dissacrante diventato negli anni autentico fenomeno di culto. Dito nell'occhio dei potenti di ogni scuderia e di ogni cilindrata, antidoto all'impero del pappa e ciccia, Il Vernacoliere ha saputo raccontare mirabilmente mostri, miti e troiai vari del Belpaese, con la sua informazione ferocemente paradossale che - per dirla con le parole del grande Oreste del Buono -"sfugge alla banalità, vera volgarità del nostro parlare quotidiano". La sua satira, e le sue irresistibili copertine, poggiano saldamente su alcuni grandi tormentoni, solidissimi pilastri, temi guida di un dissacrante e illuminante racconto dei vizi e delle virtù della società. La topa e il pipi, certamente, ma anche i pisani, metafora dell'"altro" (perché ognuno, in fondo, c'ha il suo pisano), i politici e la politica, la salute e il lavoro, le guerre e i militari, i preti, il carrozzone mediatico, la realtà quotidiana, con le sue imposizioni e sofisticazioni. È il grido liberatorio di chi, per coniugare riforme e rivoluzione nel migliore dei mondi possibili, proclama: "Trombare meno, trombare tutti".
Dal crollo del Muro e le lacrime della Bolognina al primo post-comunista al Quirinale, "Il libretto rosso (ovvero: la Cazzata Potiomkin)" ripercorre trent'anni di storia della sinistra da Seconda Repubblica. Una sinistra, come scrive Giulietto Chiesa nel suo saggio introduttivo, 'infessita a tal punto da non essere più capace di capire cosa sta succedendo, in che mondo si trova, quali sono i rapporti di forza'. È una storia in tempo reale. Perché, come ha sentenziato Mao Tse Tung, 'la critica va fatta a tempo; è vizio vano quello di criticare dopo'.
È inevitabile: ci cadono praticamente tutti. Perché i figli sono come la droga pesante: roba stupefacente, che ti sconvolge. Come la droga, pensi di governare la cosa, ma sarà la cosa a governare te. Come la droga, danno assuefazione e giungi spesso ad aumentarne le dosi. Come la droga, costano vagoni di quattrini e c'è chi si vende l'argenteria e gli anelli di nonna. Come la droga, finisci a parlare solo di quello con gente che parla solo di quello. Inutile raccontarsela: questa è la realtà. Dall'annunciazione alla ginnastica preparto, dalla mutazione della femmina a quella del maschio, dagli oggetti feticcio fino alle vacanze (ma de che?) e oltre, questo libro si propone di dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità.