Quale eredità ci ha lasciato Kant? A partire dai suoi primi scritti sino alle sue opere fondamentali, si delineano qui - e vengono discussi - i concetti chiave della sua 'filosofia pratica', e i loro effetti sino a oggi: pena, (doveri verso la) natura, dignità. Categorie che, se in Kant hanno una fondazione morale, si declinano anche in senso giuridico. È il caso emblematico della pena - oggetto del primo capitolo - con riferimento alla quale Kant, al di là degli scopi che con essa si possono perseguire, è alla ricerca di un principio di giustificazione. Centrale anche il rapporto fra l'uomo e la natura, indagato nel secondo capitolo. Di fronte alle sfide dello sviluppo e dell'ambiente, alle urgenze dell'ecosistema, paiono trasformarsi gli stessi termini in gioco: le teorie etiche che coinvolgevano il soggetto-uomo si estendono ora ad altri soggetti, agli animali e al pianeta. E che ne è della dignità umana? Il terzo capitolo evidenzia che l'attuale dibattito intorno a questo principio è certamente diverso da quello verificatosi nell'immediato dopoguerra. E tuttavia, ora come allora, se non basta il semplice ritorno a Kant per risolvere i problemi, il richiamo al 'nocciolo duro' della dignità, che consiste nel considerare l'uomo come 'fine in sé', può continuare a offrire un punto cardinale per orientarsi.
"Io ho desiderato di scrivere la storia della sua anima", rivela Gallarati Scotti presentando al lettore la sua opera. La biografia di Antonio Fogazzaro vuole essere infatti l'ambiziosa interpretazione della personalità intellettuale e spirituale del grande scrittore, una ricostruzione intensa e partecipata proposta da chi l'aveva conosciuto e ammirato come artista e come amico. Attraverso una ricca rete di informazioni, di documenti e di testimonianze, Gallarati Scotti tesse la trama complessa di una vita scrutata in profondità. Di Fogazzaro si narra la biografia a partire dalla primissima infanzia, intercettando i grandi eventi e i dibattiti storici che lo videro protagonista, la complessità della politica italiana nei primi decenni postunitari, il delicato rapporto tra scienza e religione, i fermenti della corrente modernista. Ma accanto all'uomo pubblico, Gallarati Scotti descrive l'uomo privato e ne indaga le inquiete problematiche attraverso una lettura puntuale delle opere letterarie, dove l'autore rivela la sua interiorità. L'analisi soprattutto dei romanzi di Fogazzaro è dunque il filo conduttore attraverso cui si dipana la narrazione della sua vita intima, perché "col romanzo egli inizia una forma d'arte così penetrata di tutte le sue esperienze, che in esso lo potremo ritrovare sempre, quale fu veramente nello sviluppo dei suoi sentimenti di amore, di dolore, di fede e di dubbio".
Questo libro, presentato per la prima volta al lettore italiano, è un classico per gli specialisti di Pascal e del XVII secolo. Nelle dense pagine di quest'opera, Jeans Mesnard offre una lettura dei Pensieri destinata a rimanere di riferimento, come strumento capace di perlustrare la ricchezza e la complessità - lungamente sottovalutate - dei famosi frammenti pascaliani.
Neopaganesimo è la consapevolezza del limite degli uomini, o anche un nuovo spazio per gli dei critico verso monoteismi forieri di violenza. Riflettere sul paganesimo può voler dire però anche imparare la tolleranza e un modello di convivenza fra le religioni basato sulla "pluralità", senza rinunciare alla salvezza come bisogno di trascendenza. Si tratterebbe di lasciare ad ognuno la sua salvezza: ma di fronte a questa libertà che ne è della verità cristiana? Per offrire delle risposte non si ci può ancorare alla sua unicità, ma riconoscere quel fenomeno e coglierne limiti e il significato.
In questo volume lo si fa a partire da una sua analisi descrittiva, cercando di individuare il luogo e la nascita di "Dio" o del religioso nell'esperienza umana e di comprendere la tendenza a privilegiare la molteplicità, rispetto al divino e alla salvezza.
"Rabbi Uri diceva: Le miriadi di lettere della Torà corrispondono alle miriadi di anime di Israele; se nel rotolo della Torà manca una lettera, esso non è valido; se manca un'anima nella lega di Israele, la Shekhinà non posa su di essa. Come le lettere, anche le anime devono collegarsi e diventare una lega. Ma perché è proibito che una lettera nella Torà tocchi la sua vicina? Ogni anima d'Israele deve avere ore in cui è sola con il suo Creatore.
La filosofia di Emanuele Severino è destinata a interpellare filosofi, teologi e scienziati non perché ha per oggetto ciò che sta a fondamento della stessa cultura occidentale. Ripercorrendo le opere fondamentali - da La struttura originaria a Oltrepassare - Nicoletta Cusano compie una sintesi e insieme un'indagine teoretica su quell'oggetto obliato dalla tradizione e sul linguaggio che ne parla: l'oggetto è "la necessità dell'essere nel suo opporsi al non essere", il linguaggio "testimonia" questa verità. l'oblio è il nichilismo, la "grande follia dell'Occidente", consistente nel credere che le cose oscillino tra essere e nulla; da questa fede dipendono molte altre credenze infondate.
Severino dimostra la non evidenza del divenire sulla base del destino dell'essere, del suo stare necessariamente in opposizione al non essere: è impossibile stabilire il momento in cui una cosa smetta di essere o incominci ad essere, pena il cadere della contraddizione di far coincidere l'uno con l'altro. Il Nichilismo è la precompressione che abbiamo del mondo, perciò lo stesso Severino nell'assumere il linguaggio che testimonia la verità prende le distanze dal pensiero occidentale e al contento indugia in quel linguaggio che intende oltrepassare. La sua posizione teoretica non è inficiata, ma su questo residuo nichilistico- visibile nelle prime opere - si innesta un'altra riflessione: è possibile emendare del tutto l'errore?
Per Severino noi siamo errore, e proprio in quanto errore siamo testimoni dell'eterno che è in noi.
Forse nessuno dei filosofi del'900 è stato oggetto di attenzione da parte dei teologi come Martin Heidegger (1889-1976). Non sempre però vi è stata la preoccupazione di comprendere la ragione più profonda dell'interesse teologico: ci si è limitati a cogliere affinità di prospettive oppure a usare alcune tematiche in lui presenti. Ricercare tale ragione sembra l'impresa più produttiva per il pensare teologico, e a questo si dedica il volume. In questione non è anzitutto questo o quel contenuto, bensì lo statuto epistemologico della teologia con il quale Heidegger si misura fin dai primi anni della sua formazione e che poi riformulerà radicalmente oltre lo stesso cristianesimo, mettendo in evidenza l'incapacità del pensare teologico cristiano a mantenere unite due istanze imprescindibili, benché divergenti: l'indeducibilità e alterità del fondamento, da una parte, e il ruolo irrinunciabile del soggetto umano, dall'altra.
Si tratta di una provocazione alla quale i teologi non possono sottrarsi, pena non riuscire a mostrare che la loro "scienza" è un'impresa culturalmente seria.
Giacomo Canobbio
Studi su giudaismo e cristianesimo dal Secondo Tempio alla Tarda antichità.
Che senso ha leggere oggi pagine scritte più di otto secoli fa? Quale significato può avere per noi sapere come e perché Guglielmo di Saint-Thierry e Bernardo di Chiaravalle accusarono Abelardo di aver elaborato e divulgato una Theologia nova e come e perché Abelardo abbia tentato di difendersi da questa accusa?
La vicenda si colloca in anni di trasformazioni molteplici e profonde, che potremmo definire di crisi, "di crescita". Era in questione il rapporto tra auctoritas e ratio, la possibilità di accostarsi alla sacra pagina con strumenti ermeneutici sempre nuovi, di valutare criticamente i contributi offerti dai Padri. Diverse e contrastanti furono le risposte della tradizione monastica da un lato e della nuova cultura delle scuole dall'altro.
Si trattava di fissare i limiti che regolassero le relazioni tra intellettuali e fede, di trovare e proporre i modi in cui il messaggio cristiano poteva e doveva calarsi entro strutture temporali, politiche e soprattutto culturali, conservando tuttavia la propria genuinità.
Sono problemi ardui, che ora, come allora, interrogano e coinvolgono nel profondo, mettendo alla prova il nostro vivere concreto, di uomini, nella storia. Problemi, mutatis mutandis, ancora attuali, che chi crede non può eludere. E giova non poco poterne leggere in pagine scritte parecchi secoli fa, perché da sempre la fede non ha vita autonoma, ma si incarna nel tessuto della vita collettiva, "nella storia".