Da tempo la ricerca storico-religiosa e antropologica ci ha insegnato che la mitologia non è prerogativa del mondo greco, e soprattutto che il "mito" - quale forma del pensiero espressa mediante la figura e il racconto - è, almeno in certi casi emblematici, l'unica maniera possibile per rappresentare quanto vi è di enigmatico nel rapporto dell'uomo con ciò che sta al fondo dell'esperienza, con Dio. Vi sono però culture religiose, come quelle di tipo monoteistico a cominciare dal giudaismo, che sono refrattarie al pensare mediante il mito perché ciò è giudicato incompatibile non solo con la loro visione di Dio, ma anche e soprattutto con il ruolo in essa svolto dalla morale. Il mito tuttavia si può scorgere nella preistoria del testo biblico, e talvolta riconoscere come materiale inerte riciclato in un lavoro redazionale che comunque ha provveduto a neutralizzare o a snaturare il significato originario in vista di finalità diverse. Un esempio interessante di questo lavoro demitizzante della Bibbia è fornito proprio dal racconto del giardino di 'Eden - con i suoi protagonisti, Dio, Adamo ed Eva, e i suoi eventi, il peccato e la cacciata - alla cui indagine è dedicato questo libro.
Con il termine "anima" la teologia cristiana, riprendendo alcune acquisizioni della cultura biblica e della filosofia greca, ha voluto salvaguardare l'identità singolare dell'essere umano e la sua destinazione a superare la morte. Negli ultimi decenni, alcuni orientamenti delle neuroscienze hanno invece ritenuto che anche la dimensione "spirituale" degli esseri umani sarebbe espressione di processi neuronali. Il libro si confronta con questi orientamenti per verificare se quanto la tradizione ci ha lasciato in eredità sia da abbandonare o non piuttosto da interpretare come utile strumento per riaffermare l'originalità dell'essere umano tra i viventi. L'obiettivo che l'autore si prefigge è anzitutto metodologico: di fronte al fenomeno umano qual è la spiegazione che meglio corrisponde all'aspirazione al trascendimento che anche la cultura e la tecnica testimoniano? Il confronto si sviluppa a partire dai grandi pensatori del passato - in particolare Tommaso d'Aquino - e dalla ricerca esegetica attuale.
È qui presentato in traduzione italiana, con testo greco a fronte, Introduzione e Bibliografia, il primo trattato cristiano di antropologia, scritto intorno al 400 d. C. da Nemesio, vescovo di Emesa (odierna Homs, in Siria). Nemesio intende rivolgersi soprattutto a non cristiani - ebrei e pagani di scuola neoplatonica - illustrando quale sia la natura dell'uomo, creatura posta da Dio ai confini dell'essere, tra divinità e irrazionalità. Ricco di discussioni critiche del platonismo, dell'aristotelismo, delle filosofie ellenistiche e del neoplatonismo, spazia dalla composizione di anima e corpo alla posizione dell'uomo all'interno della natura, dalla provvidenza al libero arbitrio, dalla razionalità alla passionalità. Questo trattato ebbe grande diffusione nel medioevo e in età moderna, grazie anche all'erronea attribuzione a Gregorio di Nissa, che ne favorì una diffusione tale da influenzare profondamente il pensiero antropologico cristiano.
«A partire dal lavoro del 1861 di J.J. Bachofen sul matriarcato, non si contano i tentativi di ricostruire sulle sue orme il volto di una Grande Madre preistorica o protostorica, archetipo e, nel contempo, fonte delle innumerevoli Grandi Madri che popolano le religioni dell'antichità, divinità primordiale capace di contrastare, quasi icona di un monoteismo primordiale al femminile, lo strapotere patriarcale del monoteismo maschile, la posta in gioco non era di poco conto: la Vergine Maria ? una figura materna che aveva finito per recitare una parte fondamentale nella tradizione cristiana ? assurgendo a quel ruolo che una volta era stato delle antiche Grandi Madri, non era forse la loro vera e definitiva erede? Questo affascinante percorso della storia intellettuale europea conosce, grazie al lavoro di Philippe Borgeaud, una nuova e significativa tappa, quella di un'analisi storico-religiosa, per un verso, sottratta alle alee di comparatismo pericolosamente privo di confini, per un altro, tesa a ricostruire, attraverso una attenta contestualizzazione e una adeguata messa in luce di interscambi e interferenze, le "avventure della differenza" conosciute dalle pratiche e dalle idee che accompagnano le vicende millenarie della Grande Madre nel mondo greco-romano, da quando essa compare nel corso del V sec. a.e.v. sull'Agorà di Atene fino al momento in cui si impone, dopo il concilio di Calcedonia del 451, la devozione della Vergine Maria come theotokos». (Dalla prefazione di Giovanni Filoramo).