Fin dall'antichità risuona il dilemma:perché Dio ci fa o ci lascia soffrire? Se il non credente attribuisce le ragioni della sua sofferenza all'essenza della condizione umana, alla responsabilità delle persone, all'incompiutezza del mondo; per colui che crede l'interrogativo diviene un quesito di difficile risoluzione. Il libro, partendo dalla tradizione cristiana, elabora una riflessione critica che esclude le più comuni risposte: Dio non ci punisce dalle colpe, non educa tramite la sofferenza, non rende partecipi della salvezza del mondo. Di fronte al male sono possibili atteggiamenti diversi: dalla negazione dell'esistenza di Dio, alla rivolta nei suoi confronti; la protesta e la resa; fino a quello più sapiente, l'accettazione del limite e l'affidamento al Mistero, che è la vera cifra della realtà di Dio.
Giacomo Canobbio è docente di Teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale. Tra le sue pubblicazioni per Morcelliana: Dio può soffrire? (2006); Chiesa, religioni, salvezza. Il Vaticano II e la sua ricezione (2007); Il destino dell'anima. Elementi per una teologia (2009); Laici o Cristiani? Elementi storico-sistematici per una descrizione del cristiano laico (2017); Fine dell'eccezione umana? La sfida delle scienze all'antropologia (2018); Quale riforma per la Chiesa? (2019).
Guerra in nome di Dio: un fenomeno antico e moderno, le cui radici affondano nella tradizione ebraico cristiana. Fina dall’antichità le diverse religioni si appellarono al divino per legittimare la violenza, giustificando l’omicidio in una realtà che trascendeva l’umano: una “sacralizzazione” che ha coinvolto tutto il Vicino Oriente antico, il giudaismo del secondo Tempio e la Tarda Antichità. Il volume mette in luce una costellazione di accezioni con cui i concetti di “guerra” e “pace” ricorrono nella Bibbia e in testi ad essa vicini.
Finito di correggere pochi giorni prima della sua scomparsa, questo scritto si pone come il culmine della ricerca speculativa di Arata. La cosa stessa del suo pensiero - Dio in quanto persona - è qui indagata a partire dal mistero che Dio è per chi lo interroghi senza remore. Arata è stato tra i pochi ad aver portato alle estreme conseguenze questo compito. Di qui la Reditio: un ritornare che è rimettere in questione l'intera sua riflessione. Se Dio, per essere se stesso, è mistero, che cosa si può dire dell'autore che riflette su di Lui? Se Dio è l'Arché, il principio di tutte le cose, come giustificare lo scandalo del male? Se nelle altre opere Arata concludeva all'aut-aut - Dio o la filosofia - qui pare giungere a una domanda ancor più radicale: Dio, pur imprescindibile, è davvero pensabile? E l'uomo può fare a meno di pensarlo? Infine si sporge alle soglie del pensiero stesso: l'esperienza religiosa e la morte. Arata amava definire il metafisico un "professionista dell'intero", e in queste pagine ne dà prova in massimo grado.