Ciò che continuiamo a chiamare sviluppo, l'insieme dei processi economici e sociali che nell'ultimo mezzo secolo ha moltiplicato i redditi individuali degli occidentali, elevato il loro benessere materiale, innalzato il loro orizzonte culturale, esteso gli spazi di libertà e rafforzato la loro partecipazione democratica, si è concluso: anzi si è rovesciato nel suo contrario. Oggi il meccanismo spontaneo della crescita non garantisce però benessere materiale ai cittadini. Piero Bevilacqua passa in rassegna le spie rosse che lampeggiano impazzite nella nostra paradossale "civiltà del benessere". La sua non è la "consueta lamentazione dell'ambientalismo" ma un'indagine su scala mondiale e a vasto spettro di ambiti sociali, alla ricerca di una spiegazione all'inspiegabile: perché nelle società più ricche, come gli Usa e il Giappone, la crescita del reddito monetario degli individui si accompagna a un sensibile aumento della loro privata infelicità, a un perdita sempre più evidente di relazioni sociali, a un impoverimento affettivo dei rapporti umani, al precipitare degli individui in una dimensione di competizione affannosa? Perché il mondo del lavoro richiede ai cittadini una flessibilità che non ha nulla di umano e impedisce una normale pianificazione di vita? Perché nel Terzo Mondo, a fronte dei pochi nuovi ricchissimi, dilaga la miseria e una vera e propria schiavitù di ritorno? Come si spiega la paralisi della politica di fronte a questo panorama dissestato?
Le classi dirigenti italiane, le borghesie, in breve quanti oggi guidano il paese dovrebbero dare il buon esempio alla nazione e mettere mano al cambiamento, migliorando innanzitutto il sistema politico-istituzionale e la democrazia del paese. Ma proprio davanti al compito, chi dovrebbe assumersene l'onere si attarda, incoraggiato dall'ignavia di massa. Tuttavia c'è un'Italia che preme per l'innovazione: un ampio settore dell'élite economica a cui si aggiungono settori di borghesia intellettuale, leader del mondo dell'opinione, ma anche una vasta area di cittadini attivi, competenti e acculturati, che si interessano alla vita pubblica. Le élite politico-istituzionali sono oggi pressate da queste due forze, che chiedono la riforma del sistema. Carlo Carboni si interroga sul vuoto pneumatico che separa sempre più la classe politica dai cittadini, un vuoto alimentato non solo dalla "mediatizzazione" e dalla professionalizzazione della politica, ma anche dall'assenza di ideali nella società postideologica.
L'ideologia del multiculturalismo ha una teoria assai riduttiva del riconoscimento delle diversità/differenze culturali, che a sua volta rimanda a modi riduttivi di intendere le stesse differenze culturali. Per esempio, il multiculturalismo riconosce il diritto a parlare la propria lingua, perché ritiene che parlare una lingua significhi appartenere a un altro mondo, e che i mondi linguistici siano "intraducibili", il che può essere vero per molti aspetti, ma in ogni caso produce due effetti negativi. Primo, rinuncia a fare uno sforzo per far accedere tutte le persone, quale che sia la loro lingua, a quei servizi essenziali che richiedono solo un minimo di conoscenze linguistiche per essere fruiti; secondo, sottovaluta il fatto che quando si tratta di risolvere dei problemi nella vita pratica esiste una ragione prelinguistica che può mettere in sintonia le persone, come quando si tratta di darsi una mano per soccorrere una persona in difficoltà. Il saggio vuole mettere in luce i limiti delle attuali semantiche del riconoscimento attraverso cui vengono definite e trattate le differenze culturali, per esplorare un'ipotesi: per creare una reale comunicazione interculturale occorre incoraggiare un modo di guardare alle differenze che sia capace di riconoscere nell'altro la comune umanità. Questo è il compito della ragione relazionale.
"Politica", nella versione che ne diede Aristotele, non è un termine singolare, ma plurale. Si riferisce a quanto avviene nella polis, ovvero in quello specifico sistema che definiamo "politico". Politica sono tutte (o quasi) le attività che riguardano la polis e che si svolgono nel suo ambito. La politica è, dunque, un insieme di attività complesse di vario tipo, che sono svolte dai cittadini e che ruotano attorno all'esercizio del potere nella città. In quanto esercitate nella e per la città, le attività politiche richiedono capacità più o meno grandi e conseguono risultati più o meno meritori, oppure riprovevoli, sanzionabili e perfettibili, per tutti coloro che vivono in quella città ovvero, oggi diremmo, in quel determinato sistema politico. Qualsiasi sistema politico è composto da tre elementi essenziali: la comunità politica, il regime, le autorità. Definendo con accuratezza e precisione e analizzando in profondità questi tre elementi è possibile ottenere una visione complessiva di che cos'è la politica, di come deve essere studiata e di quali sono gli esiti conoscitivi finora conseguiti.
L'autocoscienza è la base su cui ogni altra facoltà della mente acquisisce un valore personale e soggettivo. La comprensione della coscienza è una delle sfide più appassionanti. Forse nel prossimo futuro riusciremo finalmente a comprendere in che modo il dono fenomenico della coscienza emerga dalla massa molle del cervello umano. Nel frattempo, le conoscenze di cui già oggi disponiamo spingono a rivedere profondamente l'immagine intuitiva della natura umana. Non siamo così liberi come pensavamo: in queste pagine ci scopriremo creature guidate da mille automatismi dispersi in ogni angolo del cervello, e che condividono alcuni aspetti dell'autocoscienza con altre specie animali. Pietro Perconti ricostruisce la natura e la funzione dell'autocoscienza raccogliendo le evidenze che provengono dalla neuroscienza e l'etologia, la psicologia dello sviluppo e la filosofia del linguaggio, sullo sfondo comune della scienza cognitiva, la forma più moderna che la scienza della mente ha oggi assunto.
Alla base di questo libro ci sono alcune idee di fondo. La prima è che la sociologia è una disciplina storica. Lo è in un duplice senso: ha un'origine storica, che ovviamente segna i suoi metodi e i suoi contenuti; il suo oggetto di studio sono fatti storici - le azioni degli uomini in società - che devono essere interpretati. In questa prospettiva, si può dire che la sociologia è ciò che hanno fatto - e tuttora fanno - i sociologi: per questo motivo, il testo utilizza un percorso basato sulla presentazione di singoli autori o scuole di pensiero e non un approccio destoricizzato per concetti. Il manuale mette in luce lo stretto legame storico e concettuale che esiste tra sociologia e mondo moderno in tre distinte fasi: l'avvento della modernità (sino alla fine della prima guerra mondiale); la modernità compiuta (sino al 1989); la modernità globalizzata (i nostri giorni). Al centro della trattazione è la consapevolezza che la sociologia è una scienza sociale e deve essere compresa senza essere separata nettamente dalle altre discipline - come il diritto, la storia, l'antropologia, la scienza politica, la psicologia, l'economia - con cui condivide, nella sostanza, un unitario progetto scientifico.
C'è stato un tempo nel quale l'aspirazione alla felicità non rimase semplicemente un'idea, ma venne considerata un diritto e inserita addirittura in molte costituzioni moderne. Gi americani la elencarono tra i diritti naturali e inalienabili dell'uomo, e così i rivoluzionari francesi dopo il 1789. Ancora oggi la ritroviamo solennemente citata nell'articolo 13 della Costituzione giapponese. Come mai la felicità è diventata un diritto costituzionalmente garantito? Da Tommaso Moro a Giacomo Casanova, dal Robinson Crusoe al buon selvaggio di Rousseau, dall'hobbesiana concezione della vita come corsa per l'accaparramento delle condizioni materiali che possono rendere l'uomo felice al rapporto tra ricchezza e felicità nelle democrazie più avanzate della contemporaneità, passando per l'eterno confronto tra fede e ragione, anima e corpo, che ha animato il lungo dibattito sulla moralità dell'essere felici, Antonio Trampus ripercorre le tappe della riflessione occidentale sul diritto alla felicità.
Fino ad anni recenti, alcune prospettive teoriche ampiamente diffuse vedevano come prossima e inevitabile la scomparsa delle religioni, in particolare delle piccole religioni dei popoli nativi, travolte e inglobate dalla modernità. Come molte altre profezie in voga nelle scienze sociali, anche questa non si è realizzata. Anzi, nonostante i complessi e travolgenti fenomeni di globalizzazione e trasformazione socioeconomica, le esigenze di differenziazione, autonomia e contrapposizione si sono moltiplicate nel mondo contemporaneo, utilizzando spesso la pratica e la professione religiosa come forma espressiva privilegiata. Osservare questi fenomeni religiosi, definirne la natura, la durata nel tempo, la capacità di adattamento e trasformazione e, al tempo stesso, la tendenza endogena alla conservazione del passato, permette un approccio più aperto alla pluralità dei fenomeni religiosi che caratterizza il mondo contemporaneo. Enrico Comba approfondisce in queste pagine un aspetto minoritario e di solito trascurato dagli studi sulle religioni, spesso focalizzati esclusivamente sulle grandi religioni monoteistiche.
È il problema che passa nella testa di ogni visitatore di musei e gallerie, che appassiona gli amanti dell'arte e tormenta i filosofi: che cos'è mai un'opera d'arte, se oggi persino una scatola di detersivo può esserlo? Nel rispondere a questa domanda, Arthur Danto compie uno straordinario tour de force attraverso l'espressionismo astratto e la Pop Art, l'arte concettuale e il minimalismo, i racconti di Borges e i quadri di Brueghel, le poesie di Auden e i grandi nomi della filosofia analitica e continentale, costruendo quella che è diventata una pietra miliare della filosofia dell'arte e un punto di riferimento imprescindibile per la critica d'arte contemporanea.
Nel 1944 a Dhaka, nel Bengala che ancora faceva parte dell'India, un bambino di 11 anni vide arrivare nel giardino di casa un uomo gravemente ferito che implorava un sorso d'acqua. Colpevole solo d'essere musulmano, era stato linciato per strada da alcuni indù. Amartya Sen, il bambino della mia storia, non ha mai dimenticato quell'episodio. Da allora il futuro premio Nobel per l'economia ha imparato a diffidare di quelle categorie collettive - religione, razza, nazione, lingua - che hanno la pretesa di definire in maniera irrevocabile che cosa sia un individuo e di vedere in questa "minimizzazione dell'essere umano" - come lui la chiama - un seme di brutalità e di violenza. "E l'uomo dov'era?" dice un verso del Canto Generale di Neruda. È la domanda che sembra porsi Amartya Sen in ciascuna delle pagine di questo libro. (Mario Vargas Llosa)
L'archeozoologia studia le popolazioni animali che hanno avuto parte nelle attività economiche, rituali e sociali delle comunità umane, dalla preistoria al passato recente. Dall'esame di reperti di derivazione animale, come pelle, ossa o corna, l'archeozoologia ricava informazioni sulle metodologie di caccia, la domesticazione degli animali, l'allevamento, l'agricoltura, i trasporti, la lavorazione dei prodotti di origine animale, i riti funerari, sacrificali e le attività di culto, l'utilizzo degli animali in guerra, per compagnia o difesa, il loro legame con il prestigio sociale.
Anche la filosofia si interroga sull'amore, collocando questo tema al centro di una concezione del mondo, della natura, della vita. I tre "Dialoghi d'amore" di Leone Ebreo, pseudonimo di Jehudah Abrabanel, scritti presumibilmente all'inizio del Cinquecento e usciti postumi nel 1535, rappresentano uno dei testi fondamentali della filosofia d'amore del Rinascimento italiano. L'autore, discendente da una illustre famiglia portoghese giunta in Italia per le persecuzioni antisemite in Spagna e Portogallo, è un'affascinante e per molti versi misteriosa figura di letterato e medico, oltre che filosofo. In quest'opera, che con le sue numerose edizioni e traduzioni ha avuto una grande diffusione e influenza nel corso Cinquecento europeo, egli compie una sintesi tra la tradizione platonica, l'aristotelismo arabo, la cultura ebraica, l'esegesi biblica.