Il terrore mediatico è parte integrante della strategia dell'lsis: i video dell'orrore diffusi attraverso la Rete ne sono l'espressione più eclatante. Ma come possiamo reagire di fronte a questa offensiva? Dobbiamo difendere la libertà di informazione e di espressione ad ogni costo o dobbiamo porci dei limiti proprio per tutelare questa nostra libertà? A partire dal racconto dei giorni dell'attentato a "Charlie Hebdo", il direttore di RaiNews24 intreccia la riflessione sul ruolo dei social network e della satira alla descrizione di come operano giornali e televisione. Utilizzando la sua esperienza sul campo da Parigi a New York, dalla Siria all'Iraq all'Afghanistan - Monica Maggioni ci porta in presa diretta e in prima persona dentro i conflitti drammatici del nostro tempo per provare a capire come siamo arrivati a questo punto. Una riflessione sulle conseguenze del 'jihadismo globale'. E sulla sofisticata strategia comunicativa di cui siamo tutti bersaglio.
Cosa è stata questa "cosa" sfuggente, multiforme ed entusiasmante avvenuta in Europa tra il 1989 e oggi - una cosa lunga dunque un quarto di secolo? Proprio dalla consapevolezza che nessun dato potrà mai avvicinarsi al significato profondo del rave, del trovarsi lì, a ballare davanti a un muro di casse fino al mattino (e sovente fino a quello ancora successivo) in quelle industrie abbandonate, in quei capannoni, in quei boschi, in quelle ex basi militari, fiere del tessile, ballatoi, vetrerie, depositi ferroviari, rifugi montani, bunker, uffici smessi, pratoni, centrali elettriche, campi, cave, rovine di cascinali, finanche strade di metropoli quando venne il momento della rivendicazione, è nato questo libro - perché, sia pure con una forte impronta documentale, in casi come questo il romanzo è il più potente strumento di analisi e rappresentazione della realtà.
Conoscere le culture che ci circondano e sono parte delle nostre vite e dei nostri stessi corpi. Culture che si intrecciano nel mondo globalizzato e iperconnesso di oggi. Questo consente l'antropologia: difenderci dai razzismi e dai tribalismi che attraversano le società contemporanee e, soprattutto, cogliere le proposte innovative che ci offrono altri punti di vista per camminare, creativamente, verso il futuro.
Viviamo in mare aperto, sotto l'onda continua, senza un punto fermo e uno strumento che misuri il peso e la distanza delle cose. Nulla sembra stare più al suo posto, molto sembra non avere più un suo posto. Non vediamo la direzione di marcia, così solchiamo un territorio sconosciuto, in ordine sparso. I principi che hanno sostanziato l'ethos repubblicano, quel sistema di regole che ha orientato i rapporti di autorità e le modalità della loro legittimazione, i valori condivisi e la loro gerarchia, fino ad arrivare al nostro comportamento e ai nostri stili di vita, devono essere ripensati alla radice perché non sembrano più adatti all'esperienza e alla comprensione di un mondo che ha subito la più travolgente dilatazione spaziale e al contempo l'inedita connessione globale.
Un fatto è certo. Il panopticon esiste, ed è il web: un panopticon singolare, cieco, e con al posto di controllo non un essere umano ma una memoria infinita, e con un sapere che è essenzialmente burocratico. Tutto questo urta frontalmente con quanto ci era stato detto all'apparire del web, e cioè che i nuovi media avrebbero portato emancipazione, e tendenzialmente una riduzione del lavoro. Per quello che abbiamo visto sin qui, il web non è emancipazione ma mobilitazione. Non si limita a fornire ai suoi utenti nuove possibilità informative ed espressive; diviene lo strumento di trasmissione di responsabilità e ordini finalizzati al compimento di azioni. Trasformando ogni contatto in una richiesta che esige una risposta individuale, il web è un grande apparato su cui non tramonta mai il sole, in cui si lavora senza neppure sapere di stare lavorando. La risposta fondamentale che vuole il web è quella suggerita dallo smartphone quando si digita la s: "Sto arrivando!".
Il lavoro è terminato. La città adesso è pronta: bella, forte e popolata. Tutta scritta. Chiara. Ariosa. Libera. Giusta. E ben difesa. Christine si sente meno sola, fra tutte queste storie. "Bastava cercarle, le storie delle donne. Delle Amazzoni e di Cassandra, di Didone e di Saffo, di Penelope, della Vergine Maria e di molte altre", dice, posando la penna. "Bastava raccontarle". Età di lettura: da 6 anni.
Un percorso che attraversa più di un secolo di storia dell'arte, dall'Astrattismo all'Espressionismo astratto, dal Dadaismo alla Pop Art, dal Cubismo alle tendenze più significative degli ultimi decenni. Giuseppe Di Giacomo individua i temi e i problemi teorici fondamentali della produzione artistica moderno-contemporanea: il rapporto tra arte e realtà, il ruolo del mercato e quella connessione di etica ed estetica, di memoria e testimonianza che caratterizza alcuni fenomeni artistici dagli anni Ottanta in poi.
Nascosta come è tra i fasti delle rovine antiche e lo splendore dei palazzi rinascimentali e delle piazze e chiese barocche, la Roma medievale pare volersi sottrarre allo sguardo dell'osservatore. Eppure nei secoli che vanno da Gregorio Magno al cosiddetto esilio di Avignone dei papi, Roma conosce vicende di enorme importanza sia in campo politico-istituzionale sia a livello economico e urbanistico. Questo libro, che vede tra i suoi autori i migliori medievisti italiani e stranieri, illustra l'alternarsi di momenti di crisi e momenti di espansione: lo sviluppo delle grandi famiglie romane che si impossesseranno del papato e lo sforzo di contenerle ad opera, per esempio, di Cola di Rienzo, la crescita demografica e urbanistica, la celebrazione del primo giubileo della storia della cristianità nel 1300 e la decadenza culminata nel trasferimento della sede pontificia ad Avignone, fino al ritorno del papato sulla sponda del Tevere e alla rinascita della città.
Mio padre tornava a casa dall'ufficio e ripeteva ossessivamente una frase: "Sta diventando una cosa impossibile". Ma che cosa o chi stava diventando una cosa impossibile? Qualcosa di più grande del lavoro e di più piccolo della vita? O era così debordante da essere più grande della vita? C'erano giorni in cui molte piccole cose che componevano la vita erano più potenti e importanti della vita stessa, che pareva un'entità misera, lontana. Allora fuori esisteva questa cosa che rendeva la vita impossibile a mio padre, a milioni di esseri umani e animali e vegetali, e la cosa diventava impossibile perfino per se stessa, si sarebbe suicidata senza rendersene conto, questa cosa che nemmeno si poteva definire continuava a lievitare, soffocava l'esistenza di tutto.
In un esperimento descritto da Henri Laborit ci sono tre gabbie e tre topi. Alle povere bestie vengono somministrate scosse elettriche. Il primo topo ha la possibilità di uscire dalla gabbia. Il secondo non può, ma gli è stato affiancato un suo simile su cui sfogare rabbia e frustrazione. Al terzo entrambe le alternative sono precluse. Sottoposti a controlli, i primi due non accusano sintomi. Al terzo vengono invece diagnosticate perdita di pelo, ipertensione arteriosa e ulcera gastrica: l'impossibilità di agire fa ammalare. L'esperimento ci turba perché ci rappresenta. Quali sintomi si manifestano in una società in cui l'azione politica è sentita come impossibile non perché proibita ma perché ineffettuale, senza esito, svuotata di ogni concretezza? Dicono i filosofi che l'umano è davvero tale solo se ha la facoltà di agire politicamente in mezzo agli altri, altrimenti è puro metabolismo, biologia, animalità. Si può discutere se questo sia vero. Non si può discutere su quanto sia diventato difficile verificarlo. Certo è che l'impossibilità di agire ci rende meno umani.
Negli ultimi cinquant'anni la vita psichica delle masse occidentali ha subito una metamorfosi molto profonda; tutti noi ne siamo stati trasformati e travolti. Oggi le categorie con cui di solito si giudica il presente, con cui si prende una posizione etico-politica sui problemi del nostro tempo, danno l'impressione di non cogliere la realtà, o perché si riferiscono a un futuro che, non rimandando più a un progetto politico, costituisce solo la proiezione di un desiderio, o perché si riferiscono a un passato che non tornerà. Quali sono i tratti più vistosi della metamorfosi? Che cosa è accaduto?
"Rodrik propone soluzioni concrete per moderare l'impatto negativo della globalizzazione sulla possibilità per ogni Stato-nazione di definire autonomamente la propria via allo sviluppo e al benessere: è forse il più originale tra i nuovi pensatori della globalizzazione, il suo è un libro che segnerà la nostra era." (Mario Cedrini "L'Indice") "La rilettura della Grande Crisi fatta da Dani Rodrik aiuta a capire il reticolo di interessi alla base del Washington Consensus, che del modello oggi al capolinea ha costituito il paradigma ideologico prima ancora che politico." (Massimo Mucchetti "Corriere della Sera")