Giudicare: un compito necessario e impossibile. Necessario perché una società non può lasciare senza conseguenze comportamenti incompatibili con la sua ordinata sopravvivenza. Impossibile perché non possiamo mai avere la certezza di riuscire a conseguire la verità. Da questa contraddizione nasce l'esigenza di stabilire un itinerario conoscitivo, il 'processo', ritenuto il metodo meno imperfetto per pronunciare una decisione giusta, che siamo disposti ad accettare pro veritate. Una preziosa e aggiornata riflessione sul processo penale che ne analizza l'irrinunciabile funzione sociale, le scelte epistemologiche qualificanti, gli snodi fondamentali, le distorsioni della sua rappresentazione mediatica.
Un quadro chiaro ed esauriente delle principali correnti della linguistica moderna e dei problemi fondamentali che ne hanno segnato lo sviluppo in un libro diventato un classico. Senza seguire un'esposizione rigidamente cronologica, ma ordinando la materia in modo da far meglio risaltare le tendenze di fondo, l'autore mette in luce i momenti di svolta della storia linguistica, insistendo soprattutto sulle intuizioni teoriche e sui principi metodologici che hanno promosso o guidato l'indagine sul linguaggio tra l'Ottocento e la prima metà del Novecento. Accuratamente dosato nell'esposizione tecnica e nell'analisi concettuale, il libro fornisce un indispensabile mezzo di orientamento non solo ai linguisti ma a chiunque si interessi di problemi del linguaggio.
Le tante dimensioni della storia e la memoria ingannatrice, la crisi del luminoso mondo medievale e l'ingresso in una modernità senza limiti, gli intrecci tra Oriente e Occidente, il legame con Firenze e tante altre città del mondo, i maestri e i compagni di strada, la politica tra nuove e vecchie identità, la tensione tra fede e ricerca della verità: muovendosi ai confini della storia, Franco Cardini rimette in questione molte convinzioni diffuse sul passato e sul presente.
Nel nostro tempo sono tornate in primo piano alcune domande ineludibili che la teoria economica, fin dalle sue origini, ha posto a fondamento della sua analisi: è 'naturale' che gli uomini si dividano in ricchi e poveri? Esiste un criterio razionale che possa giustificare questa divisione? Quali sono le conseguenze di una distribuzione ineguale delle risorse sulla società e sul suo benessere? Qual è il livello massimo di disuguaglianza che possiamo permetterci? Branko Milanovic, uno degli economisti più originali e innovativi del nostro tempo, immagina di porre queste domande a sei dei più influenti economisti della storia: François Quesnay, Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx, Vilfredo Pareto e Simon Kuznets. Analizzando le loro opere e il loro tempo, Milanovic traccia l'evoluzione del pensiero sulla disuguaglianza, mostrando quanto le teorie siano variate a seconda delle epoche e delle società. In effetti, sostiene Milanovic, non possiamo parlare di 'disuguaglianza' come di un concetto astratto dal contesto: qualsiasi analisi è inestricabilmente legata a un tempo e a un luogo particolari. Così se durante la Guerra Fredda, all'apogeo del welfare state, gli studi sulla disuguaglianza erano passati in secondo piano, oggi, con il trionfo del capitalismo neoliberale, assistiamo a una loro rinascita.
Un poliziesco storico-politico ambientato nell'America degli anni Venti, nella Parigi di "Giustizia e Libertà" e nell'Italia del fascismo trionfante. Al mercato di Arthur Avenue, North Bronx, New York, ha un banco per la vendita di banane un cittadino USA originario della Sardegna, Michele Schirru, alto, spavaldo, capelli castano-chiari, lisci, ravviati all'indietro, la faccia lunga e irregolare, gli occhi celesti, la bocca che inclina al sorriso. Suoi nemici, i connazionali convertiti al fascismo. Nel 1930 - persuaso che il fascismo è Mussolini e che uccidendo il dittatore si abbatte la tirannia - Schirru parte per l'Italia. Ma una spia fascista a New York ne informa l'Ovra. Il suo capo, Arturo Bocchini, risponde al progetto di tirannicidio scatenando una gigantesca caccia all'uomo con vari colpi di scena e ampia mobilitazione di agenti segreti, spie, burocrazia consolare, poliziotti stranieri filo-fascisti, prostitute, apparati statali e ingenti quantità di denaro. La sorte dell'anarchico italo-americano è segnata. Arrestato quando forse aveva già rinunciato all'impresa, è condannato a morte dal Tribunale Speciale e la sua fine, il 29 maggio 1931, è una mostruosità umana e giuridica che fa comprendere quale fu l'essenza del fascismo.
«Capire la Divina Commedia è difficile. Della lingua in cui la scrisse, diventata la nostra soprattutto grazie a lui, Dante sperimentò tutte le possibilità espressive, comprese quelle che sembrano andare al di là dell'umano, sia verso il basso sia verso l'alto, e non è facile seguirlo in questo vertiginoso saliscendi. Poi ci sono i contenuti. Teologia e interpretazione dei testi sacri, filosofia, logica, morale, politica, diritto, letteratura e storia antica, scienza dei numeri e delle misure, musica, ottica, medicina, arte della guerra e della navigazione: non c'è aspetto della cultura antica e medievale di cui Dante non abbia appropriatamente detto qualcosa, nel suo enciclopedico poema. Infine, ci sono i personaggi che popolano l'oltremondo che il Poeta ha costruito. Tralasciando quelli appartenenti al mito o alla storia, e limitandoci a quelli che hanno popolato la cronaca dei tempi di Dante e di quelli di poco precedenti, l'unico motivo per cui continuiamo ad avere memoria dei nomi di Ciacco, Francesca da Rimini, Farinata degli Uberti o Ugolino della Gherardesca è dato dal fatto che i versi scritti da Dante li hanno resi figure immortali: se quei versi non fossero stati scritti, i loro nomi sonnecchierebbero in qualche documento d'archivio o in qualche cronaca medievale. Sì: capire la Commedia è veramente difficile. Per questo ho scelto i versi più significativi, curiosi o sorprendenti dei cento canti di cui si compone e li ho distribuiti in 114 presentazioni (per qualche canto ho avuto bisogno di qualche presentazione in più). Ho cercato di spiegare quei versi parola per parola, senza dare niente per scontato, collegando i fatti con gli antefatti. In questo modo, leggendoli canto dopo canto, farete lo stesso viaggio che ha fatto Dante: questo, almeno, è quello che spero.»
'Irredentismo' è una delle parole chiave delle moderne religioni della patria. Numerosi sono stati i movimenti di liberazione nel mondo che sono stati definiti in questo modo. Il termine però è nato in Italia, in riferimento alle terre dominate dagli Asburgo, fra cui quelle adriatiche, che sono state al centro di uno dei più duraturi e cruenti terreni di scontro. Lungo la frontiera orientale infatti gli irredentismi si sono succeduti nel corso di un secolo convulso: prima quello italiano fino alla Grande guerra, poi quello sloveno e quello croato durante il fascismo, poi ancora quello italiano dopo la Seconda guerra mondiale, per cercar di salvare Trieste e l'Istria. Gli irredentismi adriatici erano fieramente antagonisti, ma hanno condiviso spesso linguaggi e comportamenti. Questo libro ne segue per la prima volta l'intero, accidentato percorso, dove si intrecciano - nel richiamo a miti fondativi risorgimentali - sacrifici e soprusi, aneliti di libertà e politiche di potenza, storia e mito, in una regione collocata al centro di quella faglia di crisi che attraverso l'Europa orientale scende dal Baltico fino all'Adriatico, all'Egeo e al Mar Nero: una faglia i cui sussulti ancora ci allarmano.
«L'immaginazione collettiva ha relegato a lungo Giacomo Matteotti nel pantheon dei martiri antifascisti, esemplificati per appartenenza alle famiglie politiche, in modo da rendere visibile la dimensione unitaria della Resistenza, e con essa dell'identità repubblicana. Questa tradizionale rappresentazione ha lasciato in ombra quella del dirigente politico di grande spessore intellettuale, oltre che civile e morale.» (Dall'Introduzione). Contributi di Giampiero Buonomo, Stefano Caretti, Maurizio Degl'Innocenti, John Foot, Guido Melis, Michela Minesso, Gianfranco Pasquino, Paolo Passaniti, Antonio Pedone, Donato Romano, Pier Giorgio Zunino.
Negli stessi secoli in cui entra in crisi l'unità linguistica e politica del mondo romano, incominciano a risuonare quelle lingue che ancora oggi l'Europa parla e la cultura europea rimedita l'episodio biblico della confusio linguarum, cercando di recuperare la lingua di Adamo o di ricostruirla come lingua perfetta. A questo sogno si sono consacrate alcune delle personalità più insigni della cultura europea e malgrado le loro utopie non si siano realizzate, ciascuna di esse ha prodotto degli effetti collaterali: se oggi conosciamo il mondo naturale attraverso classificazioni rigorose, se inventiamo linguaggi per le macchine, se siamo in grado di compiere calcoli logici, se tentiamo esperimenti di traduzione meccanica, è perché siamo in qualche misura debitori di quei molteplici tentativi di ritrovare la lingua di Adamo.
Un giovane di Assisi era figlio di un ricco mercante e banchiere (nonché, forse, usuraio). Il padre, che lo conduceva con sé nei suoi viaggi d'affari in Francia, volle rinominarlo 'Francesco' in omaggio alla dolce terra della poesia cortese, che il ragazzo amava. Francesco non era né nobile né particolarmente bello e il suo fisico era fragile, cagionevole. Ma era ricco, brillante, affascinante, spiritoso, sapeva cantare, suonare e danzare: era il 'principe della gioventù' della sua città. Sognava la gloria, le imprese cavalleresche in paesi lontani, l'amore. Poi venne la lotta civile nella sua città, alla quale prese parte, e infine la guerra contro Perugia: combatté, forse uccise, restò alcuni mesi prigioniero. Quando tornò a casa, gli amici avrebbero voluto vederlo riprendere la vita spensierata di prima. Ma non era più lui. Il contatto con la guerra e con il dolore lo aveva cambiato. Una volta incontrò un lebbroso: la lebbra gli aveva sempre fatto paura e orrore. Ma quel giorno scese da cavallo e abbracciò quel miserabile. Da allora, sarebbe diventato cavaliere del Cristo.
Nella cultura giuridica della chiesa, e dunque nel codice di diritto canonico, lo stupro e l'abuso sessuale sono considerati trasgressioni del sesto comandamento e mai atto contro un'altra persona. Ma questo comandamento è l'unico del decalogo ad aver cambiato denominazione nel corso della storia: il «non commettere adulterio» delle origini bibliche è divenuto nel XVI secolo «non commettere atti impuri». Anche se si tratta sempre di norme relative al comportamento sessuale, la differenza è importante. L'adulterio è un atto che rompe gli equilibri comunitari e familiari, sconvolgendo le relazioni sociali, mentre gli atti impuri riguardano solo il peccatore, che diventa impuro. L'attenzione quindi si sposta dalle relazioni, danneggiate dalla trasgressione, all'impurità del solo colpevole: ecco perché la chiesa fa molta fatica a occuparsi delle vittime. Del resto, a causa di una concezione sbagliata della sessualità, di tipo solo maschile, nella cultura cattolica si crede che le vittime provino comunque piacere e quindi diventino così complici nella trasgressione. Per affrontare le radici degli abusi bisogna, dunque, ritornare a riflettere sul sesto comandamento.
IL LIBRO
Perché Galileo puntò il cannocchiale verso il cielo e perché mai dovremmo essere sicuri che la natura segua uniformemente il suo corso? Cosa distingue la scienza dalla metafisica? Come cambia e cresce la conoscenza scientifica? Dalla natura dell’osservazione all’induttivismo e al convenzionalismo, dal progresso scientifico alla libertà intellettuale, da Popper a Quine: sono solo alcune delle questioni imprescindibili che hanno segnato la filosofia del Novecento e sono divenute rilevanti per le nostre scelte di vita. In queste pagine, un’introduzione esaustiva per comprendere temi e protagonisti della filosofia della scienza nel XX secolo.
INDICE
Prefazione - Ringraziamenti - Parte prima L'induttivismo e i suoi critici - 1. Breve profilo storico: l'induttivismo, Russell e la scuola di Cambridge, il Circolo di Vienna e Popper - 2. La critica di Popper all'induttivismo e la teoria delle congetture e confutazioni (o falsificazionismo) - 3. La critica di Duhem all'induttivismo - Parte seconda Il convenzionalismo e la tesi Duhem-Quine - 4. Il convenzionalismo di Poincaré del 1902 - 5. La tesi di Duhem e la tesi di Quine - Parte terza La natura dell'osservazione - 6. Enunciati protocollari - 7. L'osservazione e carica di teoria? - Parte quarta La demarcazione fra scienza e metafisica - 8. La metafisica e priva di significato? Wittgenstein, il Circolo di Vienna e la critica di Popper - 9. La relazione fra scienza e metafisica: la posizione di Popper, Duhem e Quine - 10. Il falsificazionismo alla luce della tesi Duhem-Quine - Parte quinta Rivoluzioni e programmi di ricerca - 11. Le rivoluzioni nella scienza - 12. Tenacia e proliferazione: la «logica» del cambiamento scientifico - 13. Incommensurabilità e traduzione - 14. Fallibilismo e tolleranza - Note - Bibliografia - Indice dei nomi