«Le date hanno la loro importanza. Nel 1946, all'indomani del secondo conflitto mondiale, uscì il libro intitolato Surnaturel, forse il più celebre in assoluto, per valore storico, tra i molti pubblicati dal padre gesuita Henri de Lubac. Nello stesso anno era pronta per la pubblicazione la prima edizione del volume Die protestantische Theologie im 19. Jahrhun-dert, scritto dall'ormai famoso teologo riformato calvinista Karl Barth. [...] Siamo di fronte a due opere di interesse, al tempo stesso, storico e teologico sistematico. [...] Sul versante protestante, un teologo sistematico del calibro di Barth ha intrapreso un lavoro storico analogo a quello svolto in campo cattolico da de Lubac, per portare*alla luce il percorso culturale che nei secoli XVIII e XIX ha condotto la teologia protestante a smarrire il cuore pulsante del cristianesimo, il quale in pieno Ottocento si è trovato svuotato della propria sostanza. Infatti Barth ha progressivamente preso le distanze dalla sua formazione teologica liberale, per intraprendere una critica rigorosa che egli rivolse al pensiero pietistico-illuminista e romantico tedesco. Ha ravvisato infatti nell'uomo dell'illuminismo quella "volontà di dar forma" (Formwille) che ha investito del primato antropologico del soggetto qualsiasi oggetto del mondo, compresi i contenuti della rivelazione cristiana. Questa tendenza, ben radicata in ogni forma di "assolutismo" del Settecento europeo, ha dato, nel secolo successivo, il suo frutto maturo in Hegel e Schleiermacher». (dalla Prefazione di Franco Buzzi alla nuova edizione)
"La sezione prima degli 'Opera omnia' di Henri de Lubac si sostanzia di quattro scritti che, sotto il titolo 'L'uomo davanti a Dio', sono ricondotti dallo stesso autore a questo ordine: 1. 'Sulle vie di Dio'; 2. 'Il dramma dell'umanesimo ateo'; 3. 'Proudhon e il cristianesimo'; 4. 'Paradossi e nuovi paradossi'. L'intento non è stato quello di una proposizione cronologica, ma dell'articolazione dei nuclei tematici del lavoro e della riflessione teologici e storico-teologici dell'autore. [...] Dovessimo trovare, per quanto ci è dato osservare, un centro, non sistematico ma genetico, a questo plesso di opere, attorno a cui far gravitare l'impegno circoscritto da questa produzione letteraria, lo vedremmo in quel dialogo 'disarmato' tra due ventenni, un gesuita o meglio aspirante gesuita e un neo-insegnante non credente, nelle trincee della Grande Guerra. Ci pare che il fatto, insistentemente ricordato dal teologo, conferisca intensità al titolo stesso scelto per la sezione e alla sua problematicità. E ci pare che esso sia ciò che concretamente segna il fuoco o l'anima dell'impegno intellettuale di de Lubac, almeno per questa sezione. [...] Il carattere di quello che de Lubac chiama 'umanesimo ateo' non è assimilabile a quello dell'ateismo volgare e neppure a un 'ateismo puramente critico', 'incapace di sostituire ciò che vuole distruggere'; si tratta di un ateismo che 'vuole essere sempre più positivo, organico, costruttivo'; vuole un nuovo umanesimo, dopo aver agito, mediante una critica radicale perché l'umanità occidentale rinneghi 'le sue origini cristiane' e volti le spalle a Dio. Nella loro diversità questi umanesimi sono accomunati da un 'immanentismo di natura mistica' e da una 'lucida coscienza del divenire umano'. È 'molto più' di un a-teismo, la sua negazione è un anti-teismo, 'più precisamente un anticristianesimo'." (Dall'Introduzione di Costante Marabelli alla sezione prima dell'"Opera omnia")
Nel 1508 papa Giulio II, allora al culmine della sua gloria, fa decorare la Cappella Sistina da Michelangelo e i suoi appartamenti privati da Raffaello, realizzando in pochi anni due delle maggiori opere dell'intera storia dell'arte. Mentre Michelangelo si concentra sulla creazione dell'uomo, Raffaello evoca nella Stanza della Segnatura la grande tradizione mediterranea, da Omero fino al suo tempo. Apre il ciclo degli affreschi con la Disputa del Santissimo Sacramento, ci accompagna sul Parnaso, e ci introduce nella Scuola di Atene, dove si discute delle leggi e dei misteri dell'universo, per concludere il ciclo con l'immagine del papa legislatore. La grave crisi, sia politica sia personale, che Giulio II attraversa spiega il carattere più spirituale, intimo ed enigmatico della successiva Stanza di Eliodoro. Con un salto temporale di secoli, il pontefice si fa portare nel tempio di Gerusalemme per assistere al divino salvataggio del tesoro con la speranza di essere salvato egli stesso. Si fa poi condurre nella Bolsena medievale perché deve convincersi dei misteri della fede. Si identifica in Leone Magno che respinge Attila e, pochi mesi prima della sua morte, in san Pietro che l'angelo libera dal carcere terreno. Eletto nel marzo 1513, il nuovo papa, il giovane Leone X, incarica Raffaello di affrescare la Stanza dell'Incendio. Lì si fa rappresentare come pacificatore e novello Enea, quale fondatore di Roma, ma non solo: vince la battaglia contro gli infedeli, mette la corona imperiale sulla testa di Carlo Magno e si giustifica di tutte le accuse mosse contro di lui. Nel 1519 Raffaello prepara il ciclo di Costantino per il salone del papa ma muore prima di poter realizzare il progetto. Il presente volume ci accompagna in un avvincente percorso nelle Stanze che il restauro appena concluso ha riportato al loro originario splendore. Capolavoro dopo capolavoro, svela gli intenti di opere che rispecchiano la cultura del Rinascimento e dei suoi papi.
"'Il personalismo musulmano', che qui si pubblica nella prima versione italiana, uscito in edizione originale francese nel 1964, è un tentativo di leggere l'Islam in chiave umanistica attraverso la categoria del personalismo, che forse l'autore sentiva consonante alla sua formazione culturale e ideologica proprio per il suo possibile implicito radicamento nella problematica religiosa. Il breve scritto è importante perché si spinge a leggere il Corano in chiave filosofica, un tentativo assai poco praticato da parte dell'intellighenzia musulmana del Novecento." (Dalla Prefazione di Massimo Campanini)
Pochi autori hanno avuto sul pensiero contemporaneo, anche non religioso, l'influsso di Karl Barth. "La teologia protestante nel XIX secolo" risale agli ultimi anni del suo insegnamento a Münster (1932-33). Quest'opera è essenziale per la comprensione del pensiero di Barth che, all'incirca negli stessi anni, si accingeva a scrivere la "Dogmatica ecclesiale", ed è importante per la comprensione dell'idealismo tedesco e dell'illuminismo in genere. Dall'interesse per questo periodo storico e culturale fondamentale nel percorso del pensiero occidentale, è sorta per Barth la necessità di riscoprirne le origini. Da qui il carattere quasi paradossale di quest'opera che, nata per studiare il XIX secolo, in questo primo volume affronta i grandi pensatori del 700. Karl Barth si rivela qui storico, biografo e stilista brillante, in grado di far rivivere in una lotta tra giganti i suoi amici-nemici. Questo spirito di confronto diretto rende particolarmente attraente e piacevole la lettura di un'opera che ha fatto storia.
«Nel primo volume abbiamo cercato di cogliere le principali manifestazioni del monachesimo delle origini: ciò che potremmo chiamare la sua vita esteriore e visibile. Lo abbiamo visto nascere e diffondersi... Abbiamo visto sfilare davanti a noi figure egregie per santità, per opere, per autorevolezza. Abbiamo assistito all'insorgere di forme diverse di vita monastica... Ci siamo adoperati per sapere in che modo vivevano i monaci, quali erano le loro occupazioni quotidiane, quali i loro rapporti con la Chiesa e la società... In questo secondo volume cercheremo di analizzare ciò che potremmo definire la vita interiore del monachesimo delle origini: l'ideale che lo animava, il suo mondo spirituale. L'importanza di questa ricerca è evidente. I veri monaci non nutrivano alcuna ambizione terrena. La sola cosa che loro importava era cercare di trovare Dio facendo la Sua santa volontà... Accingiamoci dunque a trattare alcune questioni: quale è la vera natura della spiritualità del monachesimo delle origini; come esso si formò e chi furono i suoi principali teorici; su quali basi si regge; quali sono i suoi principi più saldi; come i monaci concepivano l'ascesa spirituale, dalla 'conversione' fino alle vette della carità e della contemplazione.» (dall'Introduzione dell'autore)
Georgescu-Roegen è normalmente considerato, sin dalle origini e forse in modo ancor più indiscusso di altre figure fondamentali come Ivan Mich o Cornelius Castoriadis, un precursore del pensiero della decrescita. Come mai uno studioso per molti versi difficile, autore di saggi sul rapporto tra economia e termodinamica, a lungo ignorato dai colleghi economisti e scarsamente conosciuto perfino dagli ecologisti, diviene rapidamente, pochi anni dopo la morte, un punto di riferimento imprescindibile per il nascente movimento della decrescita? Mauro Bonaiuti, tra i fondatori in Italia dell'Associazione per la decrescita, docente di Bioeconomia e Finanza etica all'Università di Torino, ci guida alla scoperta del pensiero di Georgescu-Roegen, concludendo il libro con una selezione di testi autografi.
Età di lettura: da 4 anni.
Età di lettura: da 6 anni.
«I venti saggi di questo volume sono introdotti, nella prima parte, da un testo teorico sui rapporti tra psicanalisi e letteratura, corredato da un riferimento ai principali rappresentanti, in Italia, dei metodi critici variamente ispirati alla psicologia del profondo. Questo testo affronta alle radici il problema di quei rapporti e fornisce le motivazioni del mio modo di interpretare i testi letterari. I saggi leopardiani della seconda parte puntualizzano alcuni importanti aspetti del pensiero del poeta (il sentimentale, il religioso) e analizzano testi specifici, arricchendo in tal modo con interpretazioni puntuali il mio libro del 1995, "Leopardi, la malinconia".» (Elio Gioanola)
Età di lettura: da 4 anni.
Michelangelo Mcrisi, detto il Caravaggio (1571- 1610), è una figura fondamentale nella storia dell'arte, un precursore della modernità. Al pittore lombardo, il cui realismo spinse Poussin ad affermare che era nato per «distruggere la pittura», si deve una svolta stilistica decisiva, persino rivoluzionaria, tra i secoli XVI e XVII. Apprezzato per la fedeltà al reale e per l'inedita intensità della luce, l'artista ha operato una profonda riflessione sui dispositivi interni al quadro e sulle sue strategie di interpellazione dello spettatore. Questo libro esplora da vicino la rivoluzione caravaggesca, attraverso i molteplici «specchi» con i quali questo straordinario pittore continua a metterei a confronto. Se lo specchio è l'oggetto di riflessione utilizzato materialmente nei primi autoritratti, nel corso della sua carriera Caravaggio lavora soprattutto sulle diverse forme di riflessività. L'immagine di sé diviene così un luogo di sperimentazione che fa dell'altro uno specchio rivelatore: il travestimento mitologico (da Bacco a Narciso, passando per Medusa), l'alterità culturale o il contrasto dci generi sono tutte espressioni di questa ricerca. Senza limitarsi a seguire il filo della sola biografia di Caravaggio o la vicenda storiografica delle sue opere, Careri rivolge uno sguardo ravvicinato ai singoli quadri come luoghi in cui si esercita un vero e proprio pensiero visivo, non solo attraverso ciò che essi rappresentano, ma per come essi presentano i loro soggetti. La gestualità dei personaggi, i loro sguardi, la luce e le forme propriamente sensibili della pittura fanno dci quadri di Caravaggio altrettanti inviti a farsi somiglianti al Cristo, chiamando il devoto a «conformarsi», per usare le parole di san Paolo. Nell'opera di Caravaggio lo spettatore diviene così il fulcro di un coinvolgimento affettivo, cognitivo e sensibile sino ad allora inedito nella storia della pittura: il quadro non è solo oggetto di visione, ma fabbrica dello spettatore, di forme del guardare, del sapere e del sentire.