In questo volume sono raccolti i discorsi sulla Scienza che i Papi hanno tenuto nel corso degli ultimi cento anni; si tratta degli interventi che alla Pontificia Accademia delle Scienze i Papi Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno rivolto a fisici, astrofisici, biologi, neurologi, medici, matematici e altri studiosi, lì convenuti in rappresentanza delle principali aree scientifiche e geografiche del mondo. In aggiunta, sono presenti i discorsi che, dal 1994, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno rivolto annualmente alla nuova Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Le Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali sono luoghi di dialogo internazionale di altissimo profilo che raccolgono scienziati, economisti, sociologi, giuristi senza alcuna discriminazione né religiosa né razziale. I discorsi dei Papi qui riuniti ci danno il quadro dell’attenzione che i Pontefici hanno riservato alle scienze e alle scienze sociali nel secolo scorso e all’inizio del nuovo millennio. I discorsi dei Papi hanno un interesse sia per il lettore comune, sia per gli specialisti e forniscono risposte ai nuovi bisogni e alle nuove sfide del mondo contemporaneo. Naturalmente, con il passare dei decenni, sono cambiate le forme linguistiche impiegate, mentre una diversa enfasi è stata posta sui vari problemi e sulle molteplici questioni. Tuttavia, ciò che resta immutato è l’interesse riservato al lavoro scientifico e alle dimensioni teologiche, filosofiche, etiche, politiche, culturali e, in definitiva, antropologiche che tale attività implica. Spesso i Papi hanno anche precorso i tempi, cogliendo l’importanza di nuovi ambiti del sapere, oppure percependone i possibili pericoli e individuandone i limiti, o anche proponendo iniziative utili al confronto e alla ricerca
Da qualche decennio l’arte romanica è alla moda. La si osserva archeologicamente, la si studia con moderni metodi filologici, la si visita persino nei viaggi organizzati. Piace la sua austerità imponente, la sua essenzialità percepita come segno di una forte religiosità, la sua facies nuda, spoglia, sobria. Ma la basilica di Ripoll o il Fondaco dei Turchi a Venezia sono veramente edifici romanici? Le cupole della cattedrale di Périgueux o la facciata di quella di Le Puy sono davvero medievali? Le statue lignee raffiguranti la Madonna e Cristo con il volto nero erano proprio così brutte e scarnificate? Ma l’arte romanica che oggi abbiamo davanti ai nostri occhi corrisponde davvero a quella medievale? In questo libro si mette in discussione il concetto stesso di romanico e di arte romanica, ne si indagano le origini, e soprattutto si contestualizza la sua genesi storiografica nel particolare contesto culturale della prima metà dell’Ottocento, quando in tutta Europa per la prima volta si scoprì, come d’improvviso, la produzione artistica anteriore all’avvento di quella maniera di costruire che Vasari definì come tedesca o portata dai Goti. In quei decenni segnati dalle campagne napoleoniche e dal Congresso di Vienna, tra Neoclassicismo e Romanticismo, i paesi dell’Europa decisero di riappropriarsi del proprio passato nazionale, catalogando, restaurando, studiando e anche ricostruendo l’arte costitutiva di ciascuna nazione: il romanico. Il libro analizza l’elaborazione storiografica e nazionalistica dell’idea di romanico, e ne decostruisce le invenzioni e gli errori, ponendo l’accento su alcune questioni controverse, come la popolarità degli artisti, il ruolo della donna nell’universo artistico misogino dell’epoca o la ricca policromia degli edifici. Ma nello stesso tempo svela la vera personalità del Medioevo romanico, dalla Francia all’Italia, dall’Inghilterra alla Catalogna, mettendo a confronto idee e modelli architettonici e figurativi, in un dialogo che dové essere in quei secoli molto più vivace e vitale di quel che oggi abitualmente pensiamo.
L'insegnamento dell'altra faccia del pianeta
«A lungo la storia dell’ambientalismo ha coinciso essenzialmente con la storia di come le élites bianche dei paesi ricchi hanno scoperto la bellezza e la fragilità della natura, e di come hanno cercato di proteggerla. Dietro questa versione dell’ambientalismo è possibile intravedere un’idea della natura e delle sue relazioni con la società: l’aspirazione a un ambiente sano e - perché no? - bello sarebbe, dunque, un lusso da ricchi e colti, fuori dall’orizzonte e dai bisogni dei poveri. Ma è un altro l’ambientalismo che qui interessa e che costituisce l’oggetto centrale dello studio di Alier: non l’ambientalismo dei ricchi, dei parchi nazionali o dello sfruttamento razionale delle risorse naturali, ma quello dei poveri, che mischia linguaggi e chiede giustizia sociale e ambientale più che una generica protezione della natura o un suo più efficiente utilizzo. Ovviamente questo approccio implica non solo una revisione delle culture ambientaliste, ma anche un ripensamento dell’idea stessa di natura; nel libro di Martínez Alier essa non è tanto un luogo di contemplazione o lo spazio della ricreazione, ma piuttosto la base materiale di sostentamento delle comunità che, difendendo quella natura, difendono se stesse e la loro sopravvivenza. Il rapporto tra riflessione teorica e narrazione è uno dei segreti di questo libro. Alier racconta storie di conflitti, dando al suo discorso sull’ecologismo popolare i volti, i nomi, spesso le parole dei protagonisti. Il libro è anche questo: una incredibile occasione per ascoltare storie che pochi ricordano o conoscono, storie di violenza e di resistenza che mostrano chiaramente come lo sfruttamento della natura sia spesso anche sfruttamento dei poveri e la liberazione dell’una non può avvenire senza giustizia per gli altri.» (dalla Prefazione di Marco Armiero)
Questo libro svela un tratto tipico dell’ebraismo, che consiste in un atteggiamento di continuo confronto con la tradizione, di inesausta interpretazione dei testi sacri, di creativo misurarsi con i lasciti del proprio passato. La filosofia contemporanea, dal secondo dopoguerra in particolare, è stata profondamente segnata da questa tensione verso una costante ma fedele reinvenzione dei significati che un testo - il testo biblico su tutti - può avere. Che cos’è il midrash? Un tentativo di interpretazione irrazionale e prescientifica della Bibbia? Un’ermeneutica speciosa e particolarista? Una modalità di pensiero insolita e poco comprensibile? Certamente no; si tratta piuttosto di una esegesi creatrice, capace comunque di utilizzare tutte le acquisizioni delle scienze linguistiche al fine di rendere manifesto il senso del testo. Questo volume rielabora la categoria ebraica dell’interpretazione che chiamiamo midrash esponendola secondo un ordine razionale e a partire da una meditazione sulla tradizione di una lettura che costantemente ricomincia. La inscrive all’interno del dibattito avviato dalla linguistica sui concetti di segno e di senso, di testo e di interpretazione, che le forniscono una struttura di base ma che allo stesso tempo, forse, essa sconvolge. Soprattutto, si mettono qui in evidenza i tratti singolari assunti da questa modalità di lettura nel suo darsi alla sollecitazione o all’auscultazione semiologica della lingua ebraica, che fa proliferare significati inattesi tra gli spiragli di parole, frasi o parti del discorso. Da qui, dunque, una lettura infinita. Che non è riconducibile a un sapiente approfondimento e gioco, ma si capovolge e sfocia in un appello alla responsabilità verso l’altro. Qui l’interpretazione si fa invocazione, la sollecitazione conduce alla sollecitudine, svelando, al di là della neutralità del procedimento esegetico, il primato della preoccupazione morale nella trasmissione del sapere.
Un grande biologo introduce all'evoluzione intesa come processo "creativo" della vita
A duecento anni dalla nascita di Charles Darwin e centocinquanta anni dopo la pubblicazione de L’Origine della Specie, gli scienziati sono concordi nell’affermare che «niente in biologia ha significato se non alla luce dell’evoluzione». L’evoluzione è inoltre essenziale per l’agricoltura, l’epidemiologia, la medicina. Ayala presenta una sintesi di alcuni punti cardine dell’evoluzione della vita sulla Terra. Con L’Origine della Specie di Darwin lo sviluppo della vita vegetale e animale entra a far parte dell’ambito delle scienze tramite l’identificazione della selezione naturale come processo «creativo» nella formazione di ogni singola specie. Ayala verifica il portato della teoria di Darwin anche alla luce delle nuove scoperte della biologia e della genetica. Conferma così, anche in termini genetici, il processo di selezione naturale. Giunto alle trasformazioni genetiche che ci hanno portato dai primati all’uomo, Ayala rileva, con l’uomo, la presenza di un’evoluzione culturale che non può più essere studiata con i soli strumenti della scienza biologica. Se l’opposizione al darwinismo da parte della teoria dell’intelligent design è un’espressione scientificamente inaccettabile e da rifiutarsi, non si può leggere come selezione naturale lo sviluppo delle culture umane.
Communio n. 219
Gennaio-febbraio-marzo 2009
Testi di: Aldo Cazzago, Maria A.Crippa, Ibrahim Faltas, José Granados, Gaetano Passarelli, Jean-Michel Poffet, Patrizio Rota Scalabrini, Antonio M.Sicari
Un profilo mirabilmente efficace e sintetico da parte del maggiore storico vivente dell'oriente a noi più prossimo
I lavori di Georges Corm sul Medio Oriente contemporaneo e sui rapporti fra l’Europa e l’Oriente sono diventati dei testi di riferimento imprescindibili. Qui l’Autore ci propone una visione sintetica e viva della storia del Medio Oriente fin dalla più lontana antichità, cioè da ben prima della comparsa dell’islam. Ci ricorda utilmente ciò che chiama la «geologia delle culture», quei diversi strati antropologici su cui l’islam ha costruito una delle grandi civiltà della storia dell’umanità. Il Medio Oriente ci appare quindi in tutta la diversità dei suoi patrimoni culturali, con le rotture e le continuità fra Imperi e civiltà che ne hanno segnato la storia. Per meglio raffigurare la complessità di questa regione del mondo aperta su tre continenti, l’autore presenta gli «zoccoli geografici» su cui sono edificati questi Imperi: lo zoccolo anatolico, lo zoccolo iranico e mesopotamico, la zoccolo egiziano. Grazie a questo tipo di approccio risulta infine possibile uscire dall’amalgama di popoli con lingue diverse ma in permanente interazione, Iranici, Turchi e Arabi, che oggi vengono confusi nella «nebulosa islamica». Infine, le disgraziate dinamiche dei rapporti fra Occidente e Medio Oriente, nonché la decadenza di questa regione da due secoli a questa parte, vengono chiaramente e obiettivamente esplicitate tenendo conto dei fattori sociali ed economici così spesso trascurati nella letteratura sull’islam e sul mondo musulmano.
Il rapporto tra uno scrittore e suoi testi in un mirabile esempio di "saggistica narrativa"
Guardando alla ormai vasta e fortunata produzione di saggistica letteraria di Elio Gioanola, questo volume andrà a collocarsi come anta di un dittico dedicato ai due maggiori autori del primo Novecento, di cui la prima anta è Pirandello’s Story, pubblicato nel 2007. Il presupposto di questo dittico è la convinzione del rapporto organico tra uno scrittore e i suoi testi, perché vita e opere formano un inscindibile complesso significante. Questo libro ha come sottotitolo la frase dell’autore: «io non sono colui che visse, ma colui che descrissi», mentre il sottotitolo del libro pirandelliano era la frase: «la vita o si vive o si scrive». Sembrano espressioni a prima vista uguali, ma non è così: mentre Pirandello stabilisce un rapporto di esclusione, per cui la scrittura prende il posto della vita, Svevo propone una distinzione: da una parte l’esistenza di tutti i giorni, banale e ben regolata, dall’altra il fantasmatico operante nell’opera, che dichiara il vero io dello scrittore, il più profondo e autentico. L’esplorazione dell’universo sveviano è condotta con gli strumenti combinati della biografia del vissuto, dell’approfondimento critico e delle connessioni narrative (non inventate, ma sempre a base documentaria). A differenza di Pirandello, lo scrittore triestino è molto autobiografico, tanto che i tre romanzi, e la continuazione del quarto non compiuto, riflettono esattamente le tappe della vita dell’autore, adolescenza e giovinezza, maturità e vecchiaia. I venti capitoletti del libro, aperti dal racconto della morte dell’autore per un incidente automobilistico, toccano con agile sintesi i nodi essenziali delle vicende di una scrittura che obbedisce, senza censure e abbellimenti estetici, al dettato dei fantasmi profondi, delineando i tratti più autentici dell’individuo contemporaneo. La grande modernità di Svevo è garantita dall’intuizione di James Joyce, nel singolare incrocio dei destini dei due scrittori, che si sono conosciuti a Trieste, frequentati per anni, fino alla consacrazione della Coscienza di Zeno come capolavoro assoluto dovuta all’autore dell’Ulixes.
Una approfondita critica al sistema capitalista internazionale
Per comprendere il capitalismo, o meglio i capitalismi nelle varie forme assunte nell'attuale fase di mondializzazione, dobbiamo rispondere ad alcune domande fondamentali: come si organizza il lavoro? Come funzionano i mercati? Chi determina l'ammontare dei profitti e l'ammontare dei salari? Chi determina le tecnologie? Perché alcuni lavoratori guadagnano più di altri? Che cosa è una crisi e quando assume un carattere strutturale invece che congiunturale? Le risposte che si possono dare a questi interrogativi dipendono in larga misura dalla prospettiva con cui guardiamo la realtà economica, cioè dal tipo di teoria che si decide di adottare per interpretarla. Questo lavoro ha un oggetto delimitato nel tempo e nello spazio. Non è un'esposizione della cosiddetta "economia pura", ma si offre come guida alla comprensione della fase attuale di mondializzazione della produzione e riproduzione sociale in forma capitalistica e della sua crisi strutturale e sistemica, con riferimenti alla teoria del modo capilatistico di produzione come processo complessivo. In questo senso si tratta di economia applicata e non della dizione accademica che individua le varie economie applicate: all'ambiente, all'ingegneria, alla sociologia, ecc. Per giungere a tale risultato, ci vuole quella "cassetta degli attrezzi" che ha permesso a Marx di appropriarsi degli strumenti dell'economia politica per poi sottoporli a critica serrata, realizzando quindi, sempre in chiave scientifica, una teoria complessa per il loro superamento e, con esso, per il superamento del modo di produzione capitalistico.
Le fertili riflessioni sulla dimensione umana del costruire e dell'abitare di uno fra i più grandi storici dell'arte del novecento
Il testo raccoglie una serie di saggi che Eugenio Battisti scrisse tra il 1958 e il 1989 riferiti all'architettura e ai suoi sconfinamenti, attraverso esplorazioni che ne aggirano, come in un vortice o in un caleidoscopio di riferimenti, le infinite sfaccettature tematiche. Con un linguaggio piano e nello stesso tempo fermo nelle posizioni, l'autore, tra i massimi storici dell'arte del nostro secolo, taglia e riduce fili e trame dell'architettura, con l'occhio sempre pronto a carpire l'infinitamente grande con l'infinitamente piccolo delle contraddizioni interne alla disciplina. Battisti anticipa argomenti come la Controstoria già avvertita nel 1952; il monumento come anticipazione dell'architettura; la casa come macchina in continua traformazione; l'inutilità degli schemi proporzionali; formula l'ipotesi di un'arte che non bisogna di diplomatici ma di profeti; definisce il ruolo della prefigurazione nell'immaginare l'architettura, lo scopo della città osservata in un ciclo di "autogenesi". I saggi qui raccolti sono testi mirati sul contemporaneo riordinati in quattro sezioni: per la casa oltre le cose; l'occhio globale; riorganizzando il caos; didattica e profezia. Come storico, Battisti introduce metodi e indagini ora alla portata di molti e con sorprendente preveggenza fa riscoprire il fascino degli esiti della ricerca quando essa è condotta in assoluta libertà. Battisti progettava con la storia, stabilendovi nessi e impensabili paradossi teorici. "Chi inventa", diceva, "bisogna che abbia la testa svagata, che trovi un suo ritmo biologico totalmente distinto dal tempo ufficiale, che faccia una quantità di esperienze inutili e superflue, che sprechi dunque vita, tempo, soldi, rapporti sociali e rinunci all'attendibilità in attesa di un miracolo".
La storia dell'uomo di Neandertal è la storia dell'umanità vissuta in Europa per alcune centinaia di migliaia di anni. Alla luce delle nuove scoperte sembra che caratteri neandertaliani siano già presenti nei fossili europei a partire da almeno 600.000 anni indicando il carattere endemico del popolamento dell'Europa nel Pleistocene medio. 150 anni di scoperte e di studi evidenziano caratteristiche fisiche , interessi culturali, spirituali e sociali che fanno cadere molti pregiudizi sui Neandertaliani, visti spesso come un livello inferiore di umanità. Recentemente si sono aggiunte le analisi del DNA dei reperti. Restano però aperte alcune questioni, come i rapporti con l'umanità moderna, proveniente dall'Africa e le cause della loro estinzione. Il volume, che riporta contributi di specialisti di livello internazionale, fa il punto delle attuali conoscenze sui Neandertaliani.
Il viaggio di Antonio Sicari attraverso la schiera dei santi disposti a corona intorno al trono di Dio acquista consistenza e sempre più evidente diventa il progetto dell’autore: mostrare la gloria di Dio nella vita dei discepoli che, illuminati e guidati dallo Spirito, hanno seguito le orme del Maestro.
Il presente volume si divide in due parti: la prima è un percorso attraverso la tradizione. Ambrogio, Benedetto, Brigida di Svezia e Alfonso Maria de Liguori sono santi dell’agire cristiano. In epoche di crisi essi hanno mostrato che il cristianesimo può essere "norma di vita", guida per dare un’impronta più autentica alla storia cristiana.
I pastorelli di Fatima, santa Faustina Kowalska, Madeleine Delbrêl e padre Pio, delineati nella seconda parte, sono piuttosto un richiamo. Nel tempo dalla transizione che portava alla fine dell’epoca moderna, con la loro vita e i loro messaggi essi hanno trasmesso il richiamo di Dio e hanno dato, per così dire, dimensioni più ampie alla storia dell’uomo. Questa non è circoscritta alla terra, ma si apre al mondo di quel dio che è venuto sulla terra proprio per riprendere i fili della sua comunione con gli uomini.