Nella Grande Guerra chi non si schiera con il suo paese è un traditore: sono traditori e condannati a morte il patriota italiano ma cittadino austriaco Cesare Battisti, il patriota irlandese Roger Casement impiccato dagli inglesi, la ballerina più famosa dell'epoca, Mata Hari, fucilata come spia. Per fascismo, nazismo e comunismo saranno traditori tutti coloro che li combattono: migliaia se non milioni di persone. Nella seconda guerra il tradimento riguarderà soprattutto le spie, mentre nel corso della guerra fredda il clima di paura e sospetto farà diventare traditore chiunque non si dichiari leale al proprio governo. Dai collaborazionisti (Pétain in Francia, Quisling in Norvegia, gli scrittori Brasillach, Celine, Pound, Hamsun) alle spie atomiche vere o presunte (Sorge, Fuchs, i coniugi Rosenberg), dai ribelli sudafricani (Mandela) alle lotte intestine dentro i movimenti di liberazione, il concetto di tradimento si trasforma e si amplia fino a diventare sinonimo di spia e a connotare chi combatte per la trasparenza e l'informazione condivisa, come in anni recenti i casi Assange e Snowden.
Se il fiorentino letterario del Trecento impone il proprio primato nel panorama linguistico del tempo, è grazie al ruolo di Dante, Petrarca e Boccaccio, "le tre Corone". Se poi quel fiorentino è diventato la lingua degli italiani, lo si deve a Pietro Bembo, a cui a buon diritto questo libro attribuisce il titolo di "quarta Corona". Di quella lingua Bembo studiò in principio le strutture scrivendo gli "Asolani" e curando, fra il 1501 e il 1502, due edizioni rivoluzionarie del "Canzoniere" di Petrarca e della "Commedia" di Dante. Ventitré anni dopo pubblicò l'opera che lo avrebbe reso famoso per sempre, la grammatica più importante dell'intera storia dell'italiano, nota sino a oggi come "Prose della volgar lingua" (che però non è il vero titolo - come scopre qui Patota!). Entrando nell'officina del grammatico, il volume mette a fuoco i momenti centrali dell'esperienza bembiana, per dar conto del peso che hanno avuto nella definizione della norma non solo le regole esplicitamente fissate da messer Pietro, ma anche quelle non dichiarate, da lui silenziosamente applicate nella scrittura e imitate dagli scrittori che lo seguirono.
Oltre agli eccidi tragicamente noti, come quelli di Monte Sole e di Sant'Anna di Stazzema, il periodo compreso fra l'8 settembre del '43 e la fine della lotta di liberazione ha visto cadere sotto il fuoco tedesco e fascista un numero spaventoso di italiani, tutti cittadini inermi ed estranei alla lotta partigiana, vittime di rastrellamenti o uccisi senza motivi apparenti. Molti di questi episodi della guerra civile non erano stati finora indagati a fondo, mentre da una loro comparazione è possibile dedurre informazioni sulle strategie di guerra dei nazisti e sul ruolo dei fascisti repubblicani. Risultato di un censimento svolto su oltre cinquemila casi di violenza perpetrati ai danni della popolazione civile, questo volume fornisce una mappa delle stragi che hanno insanguinato l'Italia, analizzandole dal punto di vista storiografico, interpretativo e geografico. Accanto alla ricostruzione degli avvenimenti, sono presi in esame i contesti nei quali le stragi ebbero luogo, il ruolo dei responsabili, le dinamiche delle azioni partigiane, le strategie di sopravvivenza dei civili, ponendo in rilievo i nessi fra i singoli episodi e gli obiettivi dell'esercito tedesco in Italia. Il volume è dotato di un apparato cartografico che illustra le fasi principali del conflitto in relazione alla cronologia delle stragi.
"Che figura, figurone, fuguraccia!", "salvare la faccia", "faccia tosta", "sfacciato"... Riproposto in una nuova edizione, questo libro è dedicato a simili modi di dire e affronta una serie di interrogativi concernenti l'esperienza comune: perché la "faccia", intesa come l'immagine che ciascuno offre di sé agli altri, è così importante? Perché riteniamo fondamentale offrire di noi un'immagine positiva?
Si può progettare una macchina ad alta velocità riducendo la capacità di frenare, oltre che potenziando il motore? Qualcosa del genere accadde nel passaggio al capitalismo finanziario, e specie tra gli anni ottanta e novanta, fino a produrre una modificazione genetica dell'economia, della politica, della società e del diritto. Il nuovo modello, nato sotto l'egida di una grande spinta libertaria e liberatrice, e con il formidabile aiuto di una tecnologia in rapido sviluppo, sembrava favorire non solo gli appetiti finanziari, ma anche una grande effervescenza individuale e collettiva. "Meno stato", "privatizzazioni", "concorrenza", "efficienza", "smaterializzazione", "empowerment", "trasparenza", "meritocrazia" diventarono le stelle polari di un nuovo cammino e la trama di una narrazione nella quale siamo stati tutti immersi. Quel mondo più grande e più ricco di opportunità che avevamo intravisto è diventato invece un mondo opaco e incerto, sia nelle biografie individuali che collettive, senza visione, schiacciato sul presente, che produce e vende rischio, arricchisce i più ricchi ed è insofferente a controlli e regole. Come siamo giunti a questo, attraverso quali snodi e quali idee, è il racconto di questo libro.
Tra i tanti tipi di sogno, per secoli ve n'è stato uno che tutti gli uomini hanno equamente condiviso: il senso della scoperta e del superamento dei limiti geografici, sfidati spingendo imbarcazioni in acque ignote, studiando venti e correnti, superando deserti e montagne. Uno spirito che oggi non possiamo più coltivare dato che quasi tutto è stato esplorato, cartografato, mappato. Permeato dalla sottile nostalgia e dalla fascinazione per quello stupore ormai perduto, il volume rivisita le grandi memorie di viaggio, da quelle celeberrime di Marco Polo a quelle, meno note ma avvincenti, del monaco buddista cinese che nel 600 d.C. intraprese un viaggio verso l'India, oppure del più grande viaggiatore musulmano che attorno al 1300 d.C. si avventurò in Africa, India e Cina - per poi dedicarsi agli esploratori più "occidentali". Tutti tasselli di un racconto unitario, dove la terra si fa poco a poco più piccola e dove la conoscenza pare progressivamente chiudersi in spazi sempre più stretti. Ma nessuna storia del libro finisce con una resa: se è vero che la scoperta ci è sempre più negata, è vero che le possibilità della fantasia sono ancora infinite.
Confusi, irritati, ansiosi, talvolta orgogliosi di non averla mai capita: siamo in molti a provare questi stati d'animo di fronte alla matematica. Qual è il motivo di questo rifiuto? Il nostro cervello è naturalmente attrezzato per parlare, per muoversi nell'ambiente nel modo più produttivo, non lo è invece per leggere, scrivere e per pensare la matematica; per farlo gli si devono imporre forzose e complesse manovre neurali. Una scienza dunque "innaturale" e lontana dal senso comune? Questo libro è una passeggiata tra i solchi della nostra mente e le creazioni matematiche - dall'algebra alla geometria al calcolo delle probabilità - che cercano di seminarvi qualcosa. Giunti alla sua conclusione avremo forse capito le cause delle nostre difficoltà e come riuscire a superarle: perché la matematica, se comunicata in modo appropriato, può diventare piacevole e appassionante.
La caduta del muro di Berlino, simbolo dell'ordine bipolare sorto dalla seconda guerra mondiale, sembrò inaugurare una stagione in cui sarebbero venute meno molte altre frontiere, insieme alla liberalizzazione e integrazione dei mercati, la creazione di vaste zone di libero scambio, la nascita di una nuova unione politica e monetaria. Solo trent'anni dopo quella tendenza appare invertita e si assiste a una rivalutazione di confini e frontiere, a un'espansione del loro numero e persino alla loro reintroduzione là dove, come in Europa, erano state virtualmente abolite. Un illusorio ritorno di fiamma della sovranità nazionale, un fenomeno controtempo o la rivincita del peso della storia e del potere del luogo? Il fatto che le frontiere siano tornate di attualità, ci avverte l'autore nella sua analisi delle più pericolose linee di faglia che si sono aperte nel mondo contemporaneo, non significa però che esse corrispondano a ciò di cui l'attualità avrebbe bisogno.
"In principio Dio creò il cielo e la terra": comincia così la Genesi biblica, il libro dell'Antico Testamento che più di ogni altro ha impregnato di sé la religione, la storia, la cultura tutta della nostra civiltà. Nei suoi 2500 anni di vita è stato l'inizio e la fine di ogni domanda su Dio, sulla realtà e sull'umanità, per la religione ebraica come per quella cristiana. E ancora oggi continua a svolgere un ruolo chiave nei dibattiti in tema di scienza, politica e diritti umani. Dopo aver raccontato l'origine del libro (la "genesi della Genesi") come combinazione di fonti e storie provenienti da antiche tradizioni, l'autore ne delinea le diverse modalità interpretative, da quella letterale a quella simbolica o figurale, accompagnando il lettore in un viaggio che muove da san Paolo, passa per Lutero, Spinoza, Galileo e Darwin, e giunge a Giovanni Paolo II e al suo tentativo di armonizzare teologia e scienza come due forme di conoscenza. È la storia di un testo complesso, contraddittorio, incoerente, e tuttavia divino.
L'atto del giudicare nelle aule di giustizia è sempre stato considerato un esercizio di assoluta razionalità: in tale ambito non ci dovrebbe essere posto né per le emozioni, né per procedure intuitive, né per i pregiudizi. Ma le scienze cognitive e le neuroscienze hanno dimostrato che le emozioni sono componenti ineliminabili e determinanti delle decisioni e che possono significativamente influenzare anche soggetti esperti come gli operatori di giustizia. Il libro chiarisce come anche i giudici - al pari di tutti gli umani - possano incorrere in errori sistematici del ragionamento, nelle trappole cognitive, nelle distorsioni generate dall'intuizione e nella ingiustificata fiducia nelle proprie conoscenze ed abilità. Le insidie cognitive ed emotive per chi deve giudicare sono disseminate lungo tutto il percorso del processo, a partire dalla formazione della prova fino alla decisione finale.
Frutto del lavoro coordinato di sette esperti italiani e stranieri, il volume presenta in modo approfondito e scientificamente fondato la storia, le specificità e la complessità dell'Organizzazione dello stato islamico. Gli autori ne affrontano le origini politiche e organizzative, le matrici ideologiche, le pratiche di governo, i finanziamenti, la propaganda, il contesto regionale e internazionale. Inquadrare l'Organizzazione dello stato islamico nei processi di trasformazione del Medio Oriente, di cui è parte costituente, consente di circoscrivere nello spazio e nel tempo i caratteri di base e gli obiettivi reali dell'organizzazione, compreso l'uso propagandistico a fini di reclutamento dei riferimenti alla religione islamica e alle sue istituzioni, come il califfato.
Nell'Europa lacerata dalle guerre e percorsa dal millenarismo, dal profetismo, dal radicalismo, la Compagnia di Gesù nacque col duplice scopo di affiancare il papa nella riconquista dei paesi passati al protestantesimo e di evangelizzare i mondi d'oltremare. Nonostante lo speciale voto di obbedienza che la fece rappresentare come l'esercito agguerrito della Santa Sede, numerosi sono stati, nella storia, gli scontri tra la Compagnia e il papato. Fu un papa, Clemente XIV, a sopprimere nel 1773 l'ordine religioso, con il pretesto che la sua presenza ostacolava la pace vera e durevole nella Chiesa. Ciononostante la Compagnia continuò a esistere In piccole enclaves, europee e non, fino a che - di nuovo per volontà di un capo della Chiesa, Pio VII, nel 1815 - l'ordine rinacque, pronto a rimettersi al fianco di Roma e a difenderne le posizioni più conservatrici. Divenne così il simbolo della restaurazione in Europa, oltre che il principale ostacolo a ogni forma d'incontro tra cultura cristiana e mondo moderno. Ancora una volta la Compagnia diventò un'organizzazione capace di accogliere intransigenti e moderati, intellettuali conservatori e moderni, evoluzionisti e molti altri opposti, così com'era stato al momento della sua nascita e della sua storia in età moderna. E ancora una volta generò conflitti e conciliazioni, sopravvivenze e rinnovamenti della tradizione e dell'esperienza religiosa che alimentarono contrasti con il papato, particolarmente gravi all'epoca del pontificato di Giovanni Paolo II.