In questo volume l'autore tratteggia l'evoluzione dell'Inghilterra nel Novecento non solo dal punto di vista politico, sociale ed economico, ma anche in termini culturali. All'inizio del secolo l'Inghilterra era la più grande potenza mondiale; un secolo dopo, tutto è cambiato. L'ossessione del declino è diventata uno stato d'animo nazionale. Clarke adotta una prospettiva diversa: è vero che c'è stato un declino, ma la vicenda del primato internazionale dell'Inghilterra non è l'unica storia che si può raccontare. Accanto ad essa abbiamo anche la storia interna del paese, del suo progresso economico e sociale, del mutamento nei costumi, dell'allargamento della democrazia.
A lungo la rivoluzione francese è stata interpretata come una lotta della borghesia contro l'aristocrazia. In questo libro Sutherland adotta una nuova prospettiva e mette al centro di quei tempestosi decenni di storia francese il conflitto tra rivoluzione e controrivoluzione. L'andamento della rivoluzione fu in gran parte determinato dalla presenza di una forte resistenza alle riforme rivoluzionarie. E in nome dell'ordine del paese furono sacrificati molti di quei valori di libertà e uguaglianza che avevano originariamente ispirato il movimento rivoluzionario.
Queste pagine ripercorrono la storia dell'invenzione e della diffusione delle macchine del tempo, vale a dire gli orologi, i primi apparecchi di precisione che scandiscono e regolano i tempi della vita sociale. Richiamandosi al tema dei rapporti tra progresso tecnologico, cultura e strutture della società, l'autore spazia dalle fucine medioevali, dove i fabbri costruivano insieme orologi e bombarde, al laboratorio di orologi creato alla fine del Seicento nel palazzo imperiale di Pechino. Uno scenario cronologicamente e geograficamente vasto, nel quale vengono studiati in concreto i problemi come l'importanza della migrazione fra tecnica e scienza nel corso della Rivoluzione Scientifica.
Accreditata da una parte della storiografia, la mitologia assolutoria che nega la presenza del razzismo nella storia italiana conserva intatta la propria influenza. Questo mito storiografico narra di un processo di formazione dello stato nazionale immune dalla etnicizzazione della cittadinanza e racconta di un'esperienza coloniale eccezionalmente mite. Questo libro fornisce gli argomenti per confutare tale vulgata autoassolutoria. Esso documenta come anche la storia d'Italia abbia annoverato, tra le sue componenti essenziali, ideologie e pratiche razziste nei confronti dei nemici interni, delle aree di popolazione subalterna, dei nemici esterni e degli ebrei, sintesi di tutte queste dimensioni.
Parole rubate dall'informatore, lettere sequestrate alla censura, relazioni settimanali degli organi di polizia che registrano per il Duce lo "stato d'animo delle popolazioni". Cavallo è riuscito a ricostruire come la pensavano gli italiani, quasi giorno per giorno, sulla guerra. Questo libro non costituisce dunque una storia della guerra in Italia, dei fatti politici e militari, ma una storia dei sentimenti, dell'immaginario che la guerra ha generato: in breve una storia di come essa è stata percepita e vissuta. Un tema in larga parte inedito, studiato anche su fonti e materiali come canzonette, film, commedie e barzellette, ossia tutta quella produzione che al tempo stesso rispecchia e influenza l'immaginario collettivo.
Sergio Anselmi propone dodici racconti che danno corpo a quei fantasmi incontrati in una vita di scavo negli archivi di qua e di là dell'Adriatico. Vite non illustri, destini oscuri e dimenticati che hanno lasciato solo qualche labile traccia nelle carte. Anselmi ricombina quelle tracce in racconti dove "tutto è falso e vero a un tempo, ma tutto è storicamente fondato".
Per Sen l'idea di uguaglianza deve confrontarsi con la sostanziale eterogeneità degli esseri umani, dovuta a caratteristiche personali e a circostanze esterne, e con la molteplicità di variabili in relazione alle quali l'eguaglianza può essere valutata. Per Sen il cuore del problema è nella domanda "eguaglianza di che cosa?". Nel fornire una risposta egli si concentra sulla capacità degli individui di svolgere efficacemente le loro funzioni e sulla libertà che essi hanno di perseguire i loro piani di vita.
Il concetto di "interesse" ha avuto una vicenda così rocambolesca che viene spontaneo chiedersi se esso possegga realmente una sostanza politica. Il volume affronta le tappe rilevanti di questo percorso: dall'origine dell'utile nel mondo antico all'incerta nascita moderna dell'interesse, dal cosmo degli interessi dell'Ancien Régime all'interesse di Stato, all'interesse nazionale, alla democrazia degli interessi. Filo conduttore della ricostruzione sono i conflitti fra interessi o i loro più o meno instabili equilibri.
Lo scenario delle nostre pratiche di consumo è mutato negli ultimi anni. Enormi centri commerciali, impianti sportivi, giganteschi parchi di divertimenti, cinema multisala, impianti sportivi che all'occorrenza si trasformano in palcoscenici di megaconcerti, spettacoli non stop e altri 'eventi' popolano le nostre città e le nostre vite. Anche la nostra sfera privata ne è travolta. Come agisce tutto ciò sulle esistenze individuali e sulla vita sociale? Con quali conseguenze? Ritzer afferma che oggi nelle cattedrali del consumo si celebra forse l'ultimo culto del nostro tempo.
Passiamo la maggior parte del nostro tempo ad emettere giudizi di valore, nella maggior parte dei casi perché crediamo in essi. Ma perché ci crediamo? La domanda è stata posta da tutte le scienze umane, ottenendo risposte molto diverse. Il problema dell'origine dei valori ha attirato l'attenzione di sociologi e di filosofi. E' possibile scegliere tra le diverse risposte? Esprimono teorie equivalenti? A partire da una rilettura di Max Weber, Boudon elabora in questo testo una proposta teorica intesa a superare tale contraddizione.